RIFORMA GELMINI. ACCENTUAZIONE DEL CONTROLLO BUROCRATICO Stampa

La principale caratteristica dei sistemi d'istruzione superiore nella nostra età è rappresentata, dal sommarsi di finalità tradizionali, quali lo sviluppo del sapere e la sua trasmissione, con finalità di più recente identificazione, come la fornitura di conoscenza applicabile alla società sotto forma di tecnologie e di competenze professionali utili allo sviluppo economico, ma anche di collaborazione diretta e indiretta a diverse forme di evoluzione della società. Da un lato, dunque, si ripropone la combinazione - non semplice - di finalità di tipo egualitario dell'offerta formativa, rivolta al maggior numero di utilizzatori, con quella della formazione della classe dirigente (se si vuole dell'élite) del Paese; dall'altro, emerge il tema della «conoscenza utile». A quest'ultimo riguardo andrebbe chiarito, peraltro, cosa s’intenda con l'aggettivo «utile», dal momento che vi sono compresi significati economici (sviluppo dell'economia attraverso l’utilizzo delle conoscenze e delle scoperte scientifiche) e significati sociali (formazione della/alla cittadinanza). Ma questi problemi non entrano nell'ottica della legge 240, all'interno della quale la contraddizione maggiore sembra quella legata alla dimensione dell'autonomia dell'università. Da una parte, la legge tende a rinforzare il potere dei vertici dell'ateneo (rettore, consiglio di amministrazione, professori ordinari quali unici membri delle commissioni di concorso) secondo una logica che prevede la necessità/capacità di gestire una politica di ateneo, ma, dall'altra, introduce una serie di vincoli all'organizzazione della vita e delle attività degli atenei secondo uno schema tipico del modello centralistico-burocratico di origine napoleonica, fondato su un controllo formale ex ante che nessun altro sistema nell'Europa continentale mette oggi in atto in modo così minuzioso. Il risultato non potrà che essere il rafforzamento del tradizionale rapporto tra governo (Stato) e settori disciplinari (rappresentati dal Cun), a consolidamento della connessione verticale tra docenti con la loro leadership nazionale a scapito di una loro adesione-«affezione» al proprio ateneo. Con la conseguente esclusione/marginalizzazione della reale autonomia delle università (ridotte a un insieme di mini-Repubbliche tra loro indipendenti) e della loro possibile competizione nel «libero» mercato. Le valutazioni ex post delle prestazioni che dovrebbero avvenire con l'andata a regime, fra un certo numero di anni, dell'Anvur - che, costituito nel 2006, andava messo in funzione prima della legge di riforma se si voleva davvero puntare su autonomia degli atenei e valutazione di sistema - si sommeranno poi a quelle sopraindicate, ottenendo la combinazione dell'esame delle attività di processo e di quelle di prodotto.
Dunque, il quadro che emerge si connota con un'accentuazione degli elementi di controllo burocratico e quindi di omogeneizzazione forzata di istituzioni destinate a operare in realtà profondamente diverse. E del resto, in assenza di una visione complessiva delle finalità del sistema d'istruzione superiore, la realizzazione della legge sembra stia avvenendo secondo le consuete regole dell'ottemperanza alla norma nella forma, prescindendo dalle conseguenze.
(Fonte: R. Moscati, il Mulino 2/2012)