VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE DI UNA RIFLESSIONE SULL’ABOLIZIONE Stampa

Abolire il valore legale del titolo di studio appare oggi in Italia come la rinuncia da parte dello Stato al suo ruolo di garante della qualità della formazione superiore e la rinuncia a svolgere la propria funzione pubblica di controllo e responsabilità.
Tutta la legislazione italiana, prima e dopo l’autonomia, si è sempre mossa nella direzione opposta rispetto all’abolizione del valore legale. La stessa legge 30 dicembre 2010, n. 240 e le deleghe in essa previste vanno nella direzione di ricondurre, con maggior forza, alla competenza dello Stato la responsabilità di assicurare alla formazione superiore un elevato livello di qualità. I processi di Valutazione della Qualità della Ricerca VQR, le nuove e (si spera) più rigorose modalità di reclutamento e le procedure di accreditamento dei corsi di studio vanno chiaramente in questa direzione. In particolare con l’accreditamento dei corsi di studio si riconosce allo Stato la competenza di stabilire quali di essi possiedano qualità sufficiente per essere attivati e con le normative sul reclutamento dei professori universitari si riconosce allo Stato il diritto/dovere di stabilire, sulla base di criteri di qualità, chi possa svolgere la funzione di professore universitario. Il fatto che coloro che sostengono, con convinzione, l’esigenza di abolire il valore legale del titolo di studio siano gli stessi ispiratori della riforma introdotta con la Legge 30 dicembre 2010, n. 240 appare un’incomprensibile contraddizione di termini, un vero e proprio ossimoro.
Sulla base di quanto detto appare chiaro che l’abolizione del valore legale del titolo di studio costituirebbe una risposta sbagliata a problemi che pur esistono, ma che vanno affrontati e risolti con strumenti e metodi diversi, peraltro già previsti e avviati.
(Fonte: A. Stella, roars 25-04-2012)