FINANZIAMENTI. FFO E ALTRE FONTI. DIFFERENZE TRA ATENEI Stampa
Il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) del MIUR, le tasse pagate dagli studenti, gli introiti provenienti dai bandi di ricerca nazionali ed internazionali e dalla vendita di servizi al mondo delle imprese, ed infine le risorse provenienti dagli enti territoriali per il diritto allo studio, sono le quattro fonti di finanziamento delle università italiane. «L’Ffo rappresenta la principale voce di entrata per gli atenei italiani - ricorda Andrea Lenzi, presidente del CUN - sebbene negli ultimi anni l’importo sia andato riducendosi, passando da 7,9 miliardi di euro nel 2009 a 7,1 nel 2012. La seconda voce, il gettito delle tasse universitarie, non può superare per legge il 20% del contributo pubblico proveniente dall’Ffo, quindi per molti atenei i proventi da bandi e da attività per conto terzi, così come le risorse degli enti locali, sono spesso essenziali». Questa circostanza è confermata dal rettore dell’Università della Calabria, Giovanni Latorre: «Il nostro ateneo ha un bilancio di 250 milioni di euro l’anno, di cui 100 provengono dal Ffo, 18 milioni dalle tasse universitarie dei nostri 35mila studenti, quasi 30 milioni dalla Regione per il diritto allo studio, e il resto dai fondi dei Pon e Por, nonché dai vari fondi per la ricerca (First, Firb, Prin)». Ben più ampio è il budget dell'Università di Roma La Sapienza, il più grande ateneo italiano. «Gli 880 milioni di budget, che non comprendono però le risorse del diritto allo studio, gestite dalla Regione, sono coperte per il 62% dall’Ffo - dichiara Simonetta Ranalli, responsabile della ragioneria - un altro 11% da altre risorse pubbliche, un 12% dalle tasse universitarie, e il rimanente 15% da risorse proprie, come la ricerca per conto terzi». Ma come vengono spesi questi soldi, o meglio chi decide la spesa? L'università, a partire dal 1994, ha autonomia di spesa, per quanto vi siano dei limiti, come l’obbligo di non spendere più del 90% del Ffo per gli stipendi del personale di ruolo. «Le università sono aziende pubbliche - sottolinea Lenzi - e quindi sono sottoposte al controllo della Corte dei conti. Con la riforma Gelmini (legge 240/2010) la programmazione della didattica è passata ai dipartimenti, mentre le relative spese sono state accentrate in linea di massima nel Cda». La governance degli atenei, anche per quanto riguarda le decisioni di spesa, è definita dallo statuto dell'università, che tutti gli atenei hanno dovuto modificare nel corso del 2011 per adeguarlo alle regole della riforma Gelmini. «Questa riforma - chiarisce il rettore dell’Università della Calabria - ha richiesto che vi sia solo un bilancio di ateneo, mentre finora questo bilancio era costituito dall'insieme dei bilanci dei dipartimenti e dell'amministrazione dell'ateneo, comprensivo delle facoltà». Come spiega Ranalli della Sapienza, «l’obbligatorietà del bilancio unico scatta dal 2014, ferma restando la libertà degli atenei di anticiparla, e di accentrare nel modo desiderato le decisioni di spesa». Resta aperta la questione della distribuzione delle risorse pubbliche tra i vari atenei. «Oggi - afferma Lenzi - l'Ffo viene distribuito tra gli atenei per un 87% sulla base del finanziamento storico, ed un 13% sulla base di un meccanismo premiale, che dipende da parametri quali la partecipazione a progetti di ricerca ed il numero di laureati e di studenti in corso». «La quota premiale è in crescita - fa notare Francesco Fagotto, coordinatore della commissione programmazione del CUN - come dimostra il fatto che nell'anno della sua introduzione, il 2007, era di 200 milioni di euro, mentre nel 2012 è arrivata a 900 milioni». Il riferimento al contributo storico è però fonte di squilibri, come rileva il rettore dell’Università della Calabria: «vi sono atenei che prendono fino a 6mila euro a studente, ed altri che arrivano a 2mila». Anche per Giacomo Deferrari, rettore dell’Università di Genova, che ha un budget di 400 milioni di euro, è eccessiva la differenza del contributo dell'Ffo tra università: «Va però riconosciuto che i costi di manutenzione e per la sicurezza di edifici storici, dove sono alloggiate alcune università, sono molto più alti rispetto a quelli per edifici moderni, senza contare che l’attività dell'università è molto ampia, e il riferimento al numero di studenti non consente di fotografarla interamente, ma certamente l'introduzione del costo standard su cui basare il finanziamento pubblico permetterà di superare l’attuale squilibrio».
(Fonte: M. Di Pace, La Repubblica sez. Affari Finanza 26-03-2012)