VALUTAZIONE. OSSERVAZIONI A MARGINE DI UN CONVEGNO SULLA VALUTAZIONE DELLE HUMANITIES Stampa
Nell’introdurre il convegno organizzato il 21 marzo a Roma dal PD su “La valutazione della ricerca in ambito umanistico” il deputato Eugenio Mazzarella, ordinario di filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha toccato alcuni punti chiave che si inseriscono più che appropriatamente nel dibattito attuale intorno al destino delle discipline umanistiche e alla loro valutazione. Ma è soltanto a partire da considerazioni più generali e cioè nel quadro di un progetto culturale e politico più ampio che dovrebbe situarsi la discussione intorno alla valutazione dell’attività di ricerca nell’università  proprio nel campo umanistico. Mazzarella ha giustamente suggerito di interrogarsi sul quel “secondo livello” di valutazione e cioè sul cosa fare quando affioreranno  delle “zone d’ombra”, dei vuoti, delle mancanze di contributi rilevanti alla ricerca. Anche qui l’allusione, mi pare, al tema rilevantissimo del destino complessivo dei dipartimenti ed atenei sottoposti alla valutazione appare quanto mai appropriata, e tuttavia, salvo qualche eccezione, non è stata raccolta nella discussione che è seguita all’intervento di Mazzarella. Molti relatori si sono concentrati – anche perché questo era stato l’invito da parte degli organizzatori del convegno – sul tema specifico della valutazione delle Humanities in termini di criteri, ranking/rating delle riviste, distinguo tra diverse discipline, criteri bibliometrici e/o di peer review. Insomma, è emersa tutta una “contabilità” della ricerca, anche interessante, nella quale però sembra che sia sfuggito quello che dovrebbe essere il vero oggetto di discussione. Sintomatico il fatto che nessuno  abbia parlato per esempio di “innovazione” (metodologia, storiografica etc.) come uno dei criteri chiave per valutare un contributo scientifico. Chi ne ha parlato, alla fine, è stato invece il ministro, nel momento in cui ha parlato di “social innovation” come uno dei punti da integrare a Horizon proprio per sostenere e valorizzare il ruolo delle discipline umanistiche e delle scienze sociali. Più in generale quel “che fare?” è rimasto come sospeso nel vuoto, come se non sia interesse e compito non solo della politica ma anche di chi in questo momento dialoga con essa discutere di strategie più generali di intervento sull’università.
(Fonte: L. Roscioni, ROARS http://www.roars.it/online/?p=6364 27-03-2012)