RICERCA. COME VALUTARE LE RIVISTE UMANISTICHE Stampa

La premessa necessaria è che tutto questo ragionare su come valutare le riviste umanistiche deriva dal fatto che – a torto o a ragione – si ritiene che nelle discipline tecnico-sperimentali le riviste siano classificabili e classificate con strumenti consolidati e accettati a livello internazionale e quindi inattaccabili. Nelle discipline socio-umanistiche invece ciò non avviene: non avviene per mancata o ridottissima presenza all’interno dei grandi database commerciali e non avviene soprattutto se consideriamo i singoli ambiti nazionali, nei quali la comunità degli studi è ancora (probabilmente per sua natura) articolata. Ma qualcuno, in varie realtà europee e alla fine anche in Italia, ha pensato, non da oggi certamente, alla possibilità di elaborare ranking delle riviste socio-umanistiche e di farlo con metodi sostanzialmente diversi da quelli bibliometrici classici. Alla fine del 2011 si disponeva comunque di un buon numero di ranking di riviste umanistiche redatti per varie discipline nonostante le operazioni non avessero avuto alcun tipo di coordinamento e sebbene non mancassero elementi di dubbio (forti disparità di valutazione di riviste intersettoriali a seconda del settore che le ha valutate). A questo punto l’effetto combinato ANVUR-VQR ha indotto uno stato di fibrillazione. Le liste di riviste classificate erano troppo ampie, troppo diverse, troppo discordanti tra loro, troppo disugualmente distribuite per discipline, troppo poco discusse e condivise per rappresentare uno strumento affidabile. L’ANVUR non si è intromessa nella valutazione, non ha interferito con i criteri, non ha predeterminato la distribuzione percentuale in fasce di merito, ha solo chiesto che le classifiche distinguessero tipologie di riviste (settoriali, intersettoriali, fascia A e fascia B, nazionali e internazionali: e, attenzione, l’ha fatto anche con riferimento alla materia spinosissima delle case editrici).
Vediamo allora la sostanza della materia e chiediamoci se, in generale, hanno senso i ranking delle riviste umanistiche. Il mio parere personale è che abbiano senso eccome, a patto di sgombrare il campo da due idee fasulle (per le humanities ma anche per tutti gli altri saperi tecnologico-sperimentali): la prima è che strumenti del genere possano dare rappresentazioni di valore oggettive, incontestabili e come tali suscettibili di diventare inespugnabile baluardo contro l’arbitrio dei favoritismi e dei personalismi; la seconda idea totalmente fasulla è che ci sia corrispondenza automatica tra qualità del contenitore e qualità del contenuto.
Ranking delle riviste e bibliometria possono coincidere, ma possono anche costituire due cose completamente diverse. Possono essere costruiti, come nei grandi database e indici citazionali commerciali, mediante valori ricavati da analisi quantitative (fattori di impatto raffinatissimi, numeri di citazioni, numeri medi, assoluti, normalizzati, numeri di pagine, prezzo di copertina o quel che vogliamo) rese possibili dall’esistenza di dati suscettibili di analisi automatizzata. Ma possono anche essere elaborati in base a valutazioni di carattere qualitativo, che riguardino cioè il profilo editoriale di una rivista, identificabile in base a una serie di parametri piuttosto – anzi, sicuramente – condivisi a livello internazionale. Analizzare quei parametri (sui quali non mi soffermo per ragioni di spazio, ma sono evidentemente questi gli oggetti di cui discutere) non significa fare bibliometria. Significa che una persona esperta prende in esame una rivista su un dato numero di annate e ne valuta non tutto il contenuto (come si farebbe in un vero peer review delle riviste, in questo caso impossibile), bensì il profilo scientifico-editoriale secondo parametri dotati di un certo valore e in base a scale di pesi prestabilite. Ne emerge un valore numerico che però serve solo a esprimere sinteticamente quel lavoro analitico qualitativo e anche con un certo margine di soggettività. Questa non la chiamerei bibliometria, ma analisi diretta qualitativa su parametri dati. Naturalmente, in una simile procedura di valutazione, sono i parametri a dover essere oggetto di discussione preliminare e di consenso. Stabiliti questi, sarà possibile sottoporre gli oggetti da valutare a un’analisi che darà luogo a una scala di posizioni. Questa potrà poi essere verificata non perché i valutati abbiano modo di dire se l’esito va loro a genio o se non sia meglio cambiare le regole, ma per capire se ci sono paradossi o evidenti errori o sproporzioni di pesi e se si debba tarare diversamente lo strumento. Così fatto, un ranking di riviste potrà sicuramente dare informazioni. Non sul valore oggettivo dei singoli articoli e saggi, ma su come quello strumento di comunicazione scientifica agisce nell’interesse della stessa e quindi anche degli autori che vi pubblicano. Ma c’è qualcosa di più. Tale ranking avrà reso necessaria preliminarmente un’analisi ravvicinata del mondo editoriale accademico disciplina per disciplina, ne avrà potuti evidenziare debolezze e punti di forza, avrà permesso di verificare la diffusione reale delle migliori pratiche riconosciute internazionalmente, cosa che verosimilmente aiuterà a elevare gli standard operativi scientifici, redazionali e editoriali. Si dice che le piccole riviste (o le piccole case editrici) ne soffriranno e rischieranno di scomparire. Ma si tratta spesso di un mondo arretrato, chiuso, ripiegato su se stesso, dove ancora capita di sentire battute del genere: “ma quale peer review? se decido io è buono e basta!”. Vogliamo negare che questo sia uno degli aspetti di maggiore debolezza della situazione italiana? Ben venga dunque un lavoro analitico di conoscenza diretta e approfondita del mondo delle riviste accademiche di discipline umanistiche.
Conclusione: i ranking causano certamente irritazione e scottature (“rankling”). Però sono possibili, sono utili, sollecitano le comunità, le inducono ad autovalutarsi, aiutano la diffusione delle migliori pratiche, attenuano l’autoreferenzialità. Basta però saperli organizzare, coordinare, mettere su basi solide e condivise ed eseguirli nei tempi necessari
(Fonte: G. Abbattista, roars 05-03-2012)