FINANZIAMENTI ALLA RICERCA. DAL 2016 A OGGI ABBIAMO “PERSO” VERSO L’ESTERO UNA MEDIA DI 23 STARTING GRANT L’ANNO, MA SONO IN VISTA CAMBIAMENTI Stampa

Sull'assegnazione degli Starting Grant ERC degli ultimi cinque anni, l'Italia è sempre lì: tra l'ottavo (2017, 2019) e l'undicesimo posto (2016, 2018), mentre i suoi ricercatori si piazzano stabilmente tra il secondo e il terzo, sorpassandosi a vicenda con i colleghi di nazionalità francese (v. grafico su ERC SG 2020 dove figuriamo al secondo posto). Dal 2016 a oggi, abbiamo "perso" verso l'estero una media di 23 Starting Grant l'anno, una quota sempre superiore al 50% delle borse vinte da italiani, con punte (nel 2018 e nel 2020) oltre il 60%. I motivi per cui non attiriamo ricercatori sono gli stessi per cui li perdiamo: non tanto singole iniziative, ma le lacune del nostro ecosistema accademico e di ricerca, che Luca Carra, Segretario del Gruppo 2003 per la Ricerca Scientifica, individua nella mancanza di finanziamenti e in tanta burocrazia, in un sistema poco flessibile per carriere e stipendi, nonché in una – relativa – mancanza di infrastrutture capaci di fare "massa critica". In altre parole, laboratori ben finanziati che possano attrarre ricercatori e creare lavoro.
Ma qualcosa sta (si spera) cambiando. Lo scorso maggio il Decreto "Rilancio" ha stanziato mezzo miliardo di euro per l'istituzione del Fondo per il trasferimento tecnologico e 1,4 miliardi di euro per le università e gli enti nazionali di ricerca, in parte dedicati all'assunzione di più di 3.000 nuovi ricercatori e al finanziamento con 550 milioni tra 2021 e 2022 del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) per lo sviluppo dei Progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN). Un passo seguito, l'8 settembre, dalla notizia di una possibile svolta che potrebbe arrivare da Next Generation EU. (F: S. Porciello, linkiesta 10.09.20)