LA PROSPETTIVA DELLA CADUTA DEL VINCOLO DEL TIPO DI LAUREA NEI CONCORSI PUBBLICI Stampa

Venerdì prossimo, in Consiglio dei Ministri, confronto sul tema della laurea: il suo valore legale, il peso che ha nei concorsi pubblici. Sullo sfondo, la proposta di un diverso criterio di accreditamento dei singoli atenei: ovvero il peso specifico che potrà avere il prestigio accademico di un'università (quindi anche i suoi criteri selettivi) rispetto ad altre. Stando alle indiscrezioni, nelle cartelle del governo sarebbe pronto per la discussione un provvedimento con molte novità.
Primo: nei concorsi pubblici, soprattutto per i quadri dirigenziali, dovrebbe cadere il vincolo del tipo di laurea. Basterà un titolo per partecipare. Ci saranno le doverose eccezioni «tecniche» (nel caso in cui occorra una competenza specifica, per esempio, da ingegnere). Però conteranno maggiormente la capacità e la professionalità dimostrata dal candidato durante il concorso. In sostanza, per diventare dirigente di una Asl poco importerà se ho una laurea in Giurisprudenza o in Lettere, sarà decisivo il mio risultato personale nel concorso. L'articolo 9 del Dl prevede: «Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all'equiparazione dei titoli di studio e professionali provvede il Dipartimento della funzione pubblica, sentito il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Con eguale procedura si stabilisce l'equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell'ammissione al concorso e della nomina». Innovando così la normativa del 2001 che affida tale compito a un decreto del presidente del Consiglio. Né a Palazzo Vidoni né al Miur confermano che si tratti di una prima spallata al valore legale del titolo di studio. Certo la novità non sarebbe di poco conto. Anziché un Dpcm, che deve comunque passare per il Consiglio dei Ministri, potrebbe bastare un decreto interministeriale a stabilire quale peso dare ai titoli di studio in questo o quel concorso.
Secondo: revisione del criterio legato al voto di laurea, che dovrebbe sparire come elemento di punteggio.
Terzo: diverso accreditamento, cioè «apprezzamento», delle singole università, che smetteranno di essere di fatto tutte uguali.
In Confindustria si fa sapere che «non si può non essere d'accordo» con una mossa che «va sicuramente nella direzione di una vera liberalizzazione». Ma si rileva anche come si debba proteggere il «consumatore di formazione» (lo studente, la sua famiglia) circa la qualità del prodotto che si sceglie. Ovvero aiutare quel «consumatore» a capire quale sia l'ateneo giusto. O se, addirittura, certi atenei siano da evitare. Naturalmente nel settore privato la laurea in sé ha un peso specifico diverso rispetto al settore pubblico. La Confindustria da sempre guarda con favore alla prospettiva di un maggior rigore nella selezione degli atenei e a un’autentica concorrenza tra i migliori. E ripone molta fiducia nel lavoro dell'ANVUR, l'Agenzia nazionale di valutazione del Sistema universitario e della ricerca.
Dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli: «Nel settore privato non cambierà molto. E' del tutto ovvio che un capo del personale di una qualsiasi azienda assuma valutando i pro e i contro delle caratteristiche dei candidati, indipendentemente dalla laurea e dal suo stesso punteggio. Detto questo, se davvero il Consiglio dei Ministri varasse un provvedimento del genere, si stabilirebbe un principio sacrosanto anche per la pubblica amministrazione. Cioè la possibilità di accedere per le competenze acquisite dalla singola persona e non solo in base al famoso "pezzo di carta". Mi sembra molto giusta la prospettiva di rimuovere, per esempio, il blocco del tipo laurea per accedere alle professioni della pubblica amministrazione».
(Fonti: P. Conti, Corsera 22-01-2012; Eu. B., IlSole24Ore 24-01-2012)