IL DOTTORATO DI RICERCA PER IL DIPENDENTE PUBBLICO DOPO LA RIFORMA GELMINI Stampa

Evidente essendo lo scopo di promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica perseguito dal dottorato di ricerca, valore solennemente proclamato dall’art. 9 della Costituzione tra i principi fondamentali del nostro ordinamento («La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»), il legislatore del 1984, con la legge n. 476, ha dettato una normativa di favore sia per il dottorato di ricerca quale strumento per perseguire questo scopo, che per i dipendenti pubblici ammessi ai relativi corsi e progetti di studio, stabilendo che «il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso e usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza».
Con questa disposizione, in buona sostanza, il legislatore ha consentito al dipendente pubblico ammesso ai corsi di dottorato di ricerca di fruire, a domanda, di un congedo straordinario non retribuito per tutta la durata (normalmente triennale) degli stessi. E ciò per stimolare gli impiegati pubblici ammessi alla frequenza di un dottorato ad accrescere la loro cultura e la loro qualificazione e a fare ricerca scientifica e tecnica, nel presupposto, d’intuibile evidenza, che quest’attività arricchisce non soltanto la formazione del singolo, ma anche la professionalità e le competenze dei diversi comparti dell’apparato pubblico e, dunque, i cittadini tutti, rispetto ai cui bisogni l’amministrazione pubblica è servente e, più in generale, arricchisce il “sistema-Paese”. Il lungo articolo sul tema scritto da Nicola Longhi si può leggere integralmente suhttp://www.altalex.com/index.php?idstr=24&idnot=16950
(24-01-2012)