QUATTRO AUTORI SU ROARS SOSTENGONO CHE “UNA VALUTAZIONE CHE USA STRUMENTI E CRITERI DI VALUTAZIONE OMOGENEI ALLO SCOPO DI COMPARARE ENTITÀ ETEROGENEE C’EST PLUS QU’UN CRIME, C’EST UNE FAUTE” Stampa

Con la valutazione di Stato il sapere smette di essere una entità vitale, dinamica e complessa e tende ad assomigliare sempre più a qualcosa di artificiale e vagamente necrofilo. Anziché promuovere una autentica cultura della valutazione, come pretendono i suoi corifei (a proposito, se siamo "solamente" 1000 perché irritarsene così tanto?), l'ANVUR di fatto conculca e quindi inibisce ogni pratica di riflessività esercitata autonomamente al di fuori delle sue regole e dei suoi criteri. Ne risulta una valutazione totalitaria e astratta, cioè (letteralmente) "tratta fuori (dal contesto delle situazioni esaminate così come dalla comunità di pratiche di riferimento)", che è fatta al solo scopo di stabilire artificiosamente classifiche e benchmarking. Ma così la valutazione finisce proprio per negare la sua missione, che dovrebbe consistere nell'assegnare a ciascuno il giusto riconoscimento: e ciò perché converte tutte le ipotizzabili diversità qualitative in un'unica scala di differenze ordinali, nella quale ognuno si trova ad essere rappresentato come più o meno dotato rispetto agli altri di una certa qualità scelta d'autorità dall'ANVUR tra mille altre.
Una valutazione che usa strumenti e criteri di valutazione omogenei allo scopo di comparare entità eterogenee "c'est plus qu'un crime, c'est une faute". Ossia, prima ancora che un crimine contro la libertà di ricerca, è proprio un madornale errore di valutazione, un pretendere di riconoscere, che si arroga l'arbitrio, di fare a meno paradossalmente del conoscere. (F: F. Bertoni, D. Borrelli, M. Chiara Pievatolo, V.Pinto, Roars 04.03.20)