Home 2011 1 Novembre
1 Novembre
OCSE. Education at a glance 2011 (uno sguardo sull’istruzione). Nota paese – Italia PDF Stampa E-mail

• Gli individui tra i 55 e i 64 anni con titolo d'istruzione terziaria guadagnano molto di più rispetto agli individui tra i 25 e i 64 anni con livello simile d’istruzione, in particolare in Italia, dove 46 punti percentuali separano i due gruppi, rispetto ai 13 punti percentuali di differenza che si registrano in media nell’area OCSE.

• Nel corso della loro vita, gli uomini italiani con titolo d'istruzione terziaria possono guadagnare oltre 300.000 dollari americani in più rispetto agli uomini con livello d'istruzione inferiore. Mediamente nei Paesi OCSE tale somma si attesta a 175.000 dollari americani.

• Tuttavia, in Italia, solo il 79% degli adulti con istruzione terziaria ha un impiego, mentre la media OCSE è dell’84% (e la Turchia, con il 74%, registra la percentuale più bassa tra i Paesi OCSE). Il tasso di occupazione per chi possiede titoli d'istruzione terziaria supera di oltre 28 punti percentuali quello di chi non ha completato un ciclo d'istruzione secondaria superiore. La differenza media nei Paesi OCSE è di 27 punti percentuali.

• I datori di lavoro sono disposti a pagare di più per assumere dipendenti che abbiano non solo un livello superiore d'istruzione, ma anche un’esperienza lavorativa alle spalle. Comparando il costo del lavoro per gli uomini tra i 25 e i 34 anni, che hanno da poco conseguito il livello d'istruzione terziaria, e quello per gli uomini nella fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni, con laurea e 20-30 anni di esperienza professionale, risulta che tali costi variano notevolmente da un Paese all’altro. In media nell’area OCSE, un datore di lavoro può prevedere di pagare 29.000 dollari americani in più (circa il 50% in più) all’anno per un laureato con esperienza rispetto a un giovane appena laureato. In Italia e Portogallo, i datori di lavoro pagano almeno il 120% in più per un lavoratore con esperienza e titolo d'istruzione terziaria, mentre in Estonia, i giovani laureati sono pagati di più rispetto ai loro pari con esperienza.

• Nel corso delle loro vite lavorative, i lavoratori in Italia trascorrono meno della metà del tempo in cicli d'istruzione non formale rispetto alla media OCSE. In Italia, si parla di 353 ore d'istruzione non formale tra i 25 e i 64 anni, rispetto alla media OCSE di 988 ore.

• In Brasile e in Italia, le donne con titolo d'istruzione terziaria guadagnano il 65%, o ancora meno, di quanto guadagnano gli uomini con pari grado d'istruzione (la media OCSE è del 72%).

• Nel 2008, l’Italia ha speso il 4,8% del PIL per l’istruzione, ovvero 1,3 punti percentuali in meno rispetto al totale OCSE del 6,1% (posizionandosi al 29 posto su 34 Paesi). In parte, ciò si spiega con il fatto che gli investimenti privati nell’istruzione sono piuttosto limitati. Nel 2008, l’8,6% della spesa totale destinata agli istituti d'istruzione in Italia proveniva da fonti private, ampiamente al di sotto della media OCSE del 16,5%.

• In Italia, tra il 2000 e il 2008, la spesa sostenuta dagli istituti d’istruzione per studente nei cicli di livello primario, secondario e post-secondario non universitario è aumentata solo del 6% (rispetto alla media OCSE del 34%). Si tratta del secondo incremento più basso tra i 30 Paesi i cui dati sono disponibili.

• La spesa per studente universitario è aumentata di 8 punti percentuali, rispetto alla media OCSE di 14 punti percentuali.

• Diversamente dalle loro controparti in altri Paesi membri dell’OCSE, la spesa per studente sostenuta dagli istituti d’istruzione non aumenta notevolmente in base al livello d'istruzione: in Italia, la spesa passa da 8.200 dollari americani al livello pre-primario a 9.600 dollari americani al livello terziario, rispetto all’aumento medio nell’area OCSE da 6.200 dollari americani al livello pre-primario a 13.700 dollari americani al livello terziario.

• In media nei Paesi OCSE, lo stipendio per studente al livello d’istruzione secondario superiore è di 3.450 dollari americani, rispetto ai 2.998 dollari americani in Italia.

• In Italia, circa il 70,3% dei giovani tra i 25 e i 34 anni ottiene un diploma d’istruzione secondaria superiore, ma tale percentuale è di gran lunga inferiore alla media OCSE dell’81,5% per la stessa fascia d’età (posizionandosi al 29 posto su 35 Paesi). Tuttavia, l’Italia è uno dei sette Paesi in cui il numero di giovani tra i 25 e i 34 anni con diploma secondario superiore o universitario supera di almeno 30 punti percentuali il numero di individui tra i 55 e i 64 anni con livelli simili d'istruzione. Ciò indica che l’accesso all’istruzione secondaria superiore è aumentato notevolmente negli ultimi 30 anni.

• L’Italia detiene uno dei più bassi tassi di conseguimento di diplomi d'istruzione terziaria tra i Paesi OCSE: in Italia, il 20,2% dei giovani tra i 25 e i 34 anni raggiunge tale livello d’istruzione, rispetto alla media OCSE del 37,1% relativa alla stessa fascia d’età (posizionandosi al 34 posto su 37 Paesi).

• Il tasso di conseguimento dei diplomi d’istruzione secondaria superiore e terziaria (di durata maggiore e fondamentalmente teorici) si attesta al di sotto della media OCSE (l’80,8% rispetto all’82,2% per l’istruzione secondaria superiore e il 32,6% rispetto al 38,6% per l’istruzione terziaria).

• In media nei Paesi OCSE, nella scuola primaria vi sono 16 studenti per insegnante. La proporzione studente-insegnante va da 24 studenti o oltre per insegnante in Brasile e Messico, a meno di 11 in Ungheria, Italia, Norvegia e Polonia.

• Se la media dei tempi d'istruzione per gli studenti tra i 7 e i 14 anni nei Paesi OCSE è di 6.732 ore, i tempi obbligatori di insegnamento formale vanno dalle 4.715 ore della Polonia alle 8.316 ore dell’Italia.

• A causa del maggior numero di ore d'istruzione e dei tempi più brevi di insegnamento (rispetto alla media OCSE), lo stipendio per studente si attesta al di sopra della media OCSE nella scuola primaria e secondaria inferiore. Al livello secondario superiore, lo stipendio per studente si attesta al di sotto della media OCSE a causa degli stipendi degli insegnanti comparativamente inferiori.

• Gli insegnanti delle scuole secondarie inferiori raggiungono, in media nei Paesi OCSE, il livello più alto della loro fascia retributiva dopo 24 anni di servizio, mentre in Italia, ciò avviene solo dopo 35 anni di servizio.

• Nei Paesi OCSE, tra il 2000 e il 2009, gli stipendi degli insegnanti sono aumentati in media del 7%, in termini reali, ma in Italia sono leggermente diminuiti (-1%).

• Gli stipendi relativi degli insegnanti della scuola primaria, secondaria inferiore e secondaria superiore sono bassi in Italia, dove essi guadagnano meno dello stipendio medio di altri professionisti con livello d'istruzione terziaria. Gli stipendi degli insegnanti sono di circa il 40% inferiori agli stipendi di lavoratori con livello d'istruzione comparabile.

• L'Italia ha una lunga storia di esami su scala nazionale ai livelli d'istruzione secondaria inferiore e superiore. Essi sono obbligatori per tutte le scuole, tanto pubbliche che private, e nessuno studente ne è esente.

• Le valutazioni su scala nazionale, utilizzate per fornire un riscontro al fine di migliorare i programmi d'istruzione, sono state adottate in Italia solo recentemente (nel 2008 ai livelli primario e secondario inferiore). I risultati ottenuti da tali valutazioni nazionali sono condivisi tra gli amministratori scolastici e le autorità competenti in materia d’istruzione, ma non tra gli insegnanti, i genitori, gli studenti o i media. Tra i Paesi in cui hanno luogo valutazioni su scala nazionale, solo la Finlandia procede in tal modo.

• Le famiglie italiane hanno il diritto di scegliere tra le diverse scuole pubbliche, dal momento che gli studi continuano a essere finanziati anche quando gli studenti cambiano scuola, sebbene tali aggiustamenti non avvengano automaticamente. Gli studenti possono anche iscriversi alle scuole private indipendenti e le famiglie possono usufruire di detrazioni fiscali delle rette scolastiche, in modo da sostenere più agevolmente i costi dell’insegnamento privato.

• In Italia non sono previste ispezioni scolastiche, né valutazioni del proprio operato da parte di ciascuna scuola. Ciò avviene solo in Grecia, Lussemburgo e Messico, tra i 33 Paesi i cui dati sono disponibili. In Italia, è richiesto alle scuole di presentare rapporti di conformità alle autorità di livello superiore. Tale dispositivo assicura che le scuole osservino leggi e regolamenti. Tuttavia, diversamente dalle ispezioni scolastiche e dalle autovalutazioni, esso non riguarda la qualità dell’istruzione né individua i punti di forza e di debolezza di ogni istituto scolastico.

In sintesi.  Gli uomini con titolo d'istruzione terziaria guadagnano sostanzialmente di più, in particolare se hanno anche un’esperienza professionale. In Italia, la percentuale del PIL destinata all’istruzione è una delle più basse di tutti i Paesi OCSE. La spesa per studente di livello secondario superiore e terziario è leggermente aumentata rispetto al 2000. Il numero di giovani che possiede un diploma d'istruzione secondaria non è mai stato così elevato, ma la proporzione di giovani italiani con tale livello d'istruzione è ampiamente al di sotto della media OCSE. Gli studenti italiani beneficiano di classi relativamente poco numerose e di tempi d'istruzione più lunghi, ma gli insegnanti guadagnano molto meno rispetto ad altri professionisti con diploma d'istruzione terziaria e la progressione di carriera sino al livello più alto della loro fascia retributiva è relativamente lunga. L’Italia ha sviluppato molteplici dispositivi per comparare la performance e l’accountability dell'offerta formativa sul mercato, ma dispone di meno dispositivi di verifica dell’accountability nella regolamentazione.
(Fonte: http://www.oecd.org/dataoecd/31/28/48669804.pdf settembre 2011)

 
Scienze Economiche. Perché studiarle PDF Stampa E-mail
Uno dei pochi aspetti positivi della crisi è che ci mette di fronte al fatto che la comprensione dei problemi economici è complessa, essenziale e richiede una capacità di analisi profonda. Lo studio dell'economia aiuta a sfatare luoghi comuni e pregiudizi, a vedere le conseguenze inattese delle cose. È affascinante sia per chi ama le discipline umanistiche sia per chi preferisce quelle matematico-quantitative. Serve anche per trovare un lavoro perché l'elemento che definisce il mondo di oggi rispetto a 25 anni fa è la sua crescente complessità. E l'economia ci insegna a capirla. Che cosa sono e che cosa studiano le scienze economiche? Perché sono utili e, soprattutto, interessanti? E perché studiare economia oggi è particolarmente importante? Per “economia”, chiarisco subito, intendo le scienze economiche in senso stretto (nei paesi anglosassoni si definisce “economics”), quindi distinte dallo studio delle discipline del management o della finanza.
(Fonte: T. Monacelli, lavoce.info 25-10-2011; articolo esteso)
 
Una critica a logiche mercantili della formazione PDF Stampa E-mail

Un filo rosso lega il cosiddetto 3+2 di Luigi Berlinguer alla recente riforma dell'Università firmata Maria Stella Gelmini e Giulio Tremonti. È la convinzione che il sistema educativo debba rispondere a criteri mercantili. Così inizia un articolo de ‘Il Manifesto’ che riporta stralci di un testo di A. D’Orsi pubblicato su MicroMega. Il punto forte dell'analisi proposta dallo storico piemontese è la critica a una formazione basata su logiche mercantili che avrebbero caratterizzato le politiche statuali negli ultimi tre decenni per far tornare l'università e la ricerca luoghi in cui il sapere deve essere trasmesso per sviluppare attitudini critiche. Da quegli stralci estraggo i seguenti passi:
“Le diverse riforme succedutesi negli ultimi anni hanno prodotto un progressivo peggioramento, sotto ogni aspetto, della scuola, dell'università e della ricerca in Italia. Che questi tre comparti, che sono decisivi in qualsiasi comunità organizzata statualmente, siano ancora funzionanti, pur malamente, malgrado i formidabili colpi ricevuti, dimostra che non di improvvide «riforme» più o meno «complessive» essi avevano bisogno, ma di finanziamenti adeguati, di impegno del personale (e per scuola e università, anche del corpo studentesco), e, a monte, di serietà del ceto politico. La premessa implica dunque un azzeramento degli ultimi quindici vent'anni, con il conseguente tentativo di riparare un terreno calpestato e devastato da politici incolti, sovente rozzi, assecondati da gruppi o singoli docenti. La cancellazione del sistema 3+2 (che, come ha impietosamente mostrato un caustico pamphlet di Gian Luigi Beccaria, è «uguale a zero») costituisce il punto essenziale di un programma che davvero vuole rilanciare l'università, il quale non può non configurarsi come un vero e proprio ritorno, ma non all'indietro, bensì al futuro, in quanto se non si correggono gli errori - gravissimi - del passato, non è possibile costruire un futuro e si andrà verso l'estinzione del sistema educativo e dell'intero comparto ricerca nel nostro paese.
La logica che dovrà guidare le nuove politiche per l'università e la ricerca dovrà essere del tutto estranea a quella attuale, mercantilistica e aziendalistica, fondata su un malinteso concetto di efficienza, sull'esiziale combinato disposto tra lassismo e didattocrazia (come l'ha chiamata Giorgio Bertone), tra la mitizzata «autonomia» (fasulla e insieme pericolosa) e il persistente burocratismo centralistico. La nuova università dovrà altresì rifiutare l'idea di un sistema, opportunamente aziendalizzato, che gerarchizza gli atenei, in modo che ogni classe, ogni individuo, ogni ambiente sociale abbia la «sua» università.
L'esame di maturità deve riguadagnare il suo significato di porta d'accesso all'età adulta e di verifica di un impianto culturale complessivo. Da quella porta larga oggi escono studenti che per la gran parte «prova» l'iscrizione a una facoltà universitaria, spesso in modo casuale, senza una base sufficiente per affrontare alcun corso di studio, ponendosi così le basi per quel catastrofico tasso di abbandono per ovviare al quale (tale la giustificazione fornita a suo tempo) si giunse al famigerato 3+2: che viene chiamato laurea breve.
Sarà opportuno ribadire e precisare un punto fermissimo: la scuola, di ogni ordine e grado, deve formare, non deve produrre profitto. (...). Così come la ricerca non deve esser funzionale al mercato, ma piuttosto deve andare incontro ai bisogni della collettività: si fa ricerca scientifica per produrre conoscenza, che non sempre è direttamente e immediatamente «utile» a qualcuno, o fruibile dal mercato; la conoscenza, d'altronde, è utile in sé. (...) Dopo quel livello, dunque opportunamente riqualificato, deve partire la formazione universitaria.
I corsi di studio o di laurea dovranno essere drasticamente ridotti, risalendo quella china esiziale che si è percorsa a precipizio negli anni scorsi, parcellizzando il campo del sapere, seguendo la dannosa utopia della specializzazione precoce, sulla base, sempre, dell'idolatria del mercato: ossia formare i discenti non sulla base di un progetto culturale, ma cercando di intercettare di volta in volta le «esigenze» del mondo produttivo. Se questo è stato il presupposto della «nuova università» italiana, rovesciandolo potremo procedere a un recupero non della «vecchia» ma di un’università che abbia in sé la propria dignità e la propria ragion d'essere.
Per quanto concerne il reclutamento, mi sono convinto, nella mia carriera di docente, che la cooptazione, fatti salvi certi principi generali, sia un buon sistema, anzi sia il sistema più ovvio e sensato nell'università. La storia accademica, infatti, ci insegna che solo attraverso la cooptazione si creano le «scuole», e che solo gruppi di allievi che fanno comunità con i loro maestri, diventando a loro volta maestri, sono in grado di gareggiare virtuosamente tra loro. Se docenti mediocri reclutano allievi mediocrissimi, ne pagheranno il fio; anche in termini di perdita di capacità di attrarre discenti e dunque risorse. (...). Naturalmente occorrono dei criteri generali, che ciascun «gruppo disciplinare» indicherà in modo rigoroso, sulla base di indicazioni di massima del ministero, che garantiscano un'omogeneità di fondo, che non mortifichi tuttavia le specificità. Cooptazione non s’identifica con premiazione dei «candidati interni» ad ogni costo. Se sono capre, restino a brucare. (...) I ricercatori dovranno diventare una fascia docente a tutti gli effetti, con compiti ben individuati, doveri e diritti definiti, che lascino loro un congruo spazio per la ricerca, dunque con obblighi didattici ridotti rispetto alle altre due fasce. Si collega al reclutamento, la questione importante della mobilità. Sono propenso a stabilire come obbligatorio un periodo di soggiorno in sedi universitarie, italiane o straniere, diverse da quella in cui ci si è formati. Anzi, il ministero si dovrà impegnare a favorire con incentivi sostanziosi i docenti e con sostegni le facoltà per facilitare la mobilità interna”.
(Fonte: A. D’Orsi, Il Manifesto 25-10-2011)

 
Lauree triennali. Applicare il processo di Bologna PDF Stampa E-mail
Dopo 12 anni il "Processo di Bologna" che ha introdotto in Italia il "3+2" è più vivo che mai. Per Luigi Berlinguer è addirittura «irreversibile» visto che l'hanno sottoscritto 47 Paesi. Ma per l'ex ministro dell'Istruzione è giunto il momento di implementarlo. In due modi: rendendo spendibile in tutti gli Stati membri la laurea conseguita all'interno dei confini nazionali e, soprattutto, smentendo il pregiudizio che con i diplomi triennali non si lavora. Laddove l'esperienza anglosassone dimostra il contrario. Concetti che lui stesso metterà nero su bianco in una risoluzione che sarà a gennaio all'esame dell'assemblea di Strasburgo. «Il processo di Bologna, che nel frattempo si è ampliato nello Spazio europeo dell'istruzione superiore, ha avviato il percorso verso un titolo di studio europeo - spiega - ma gli Stati ancora si oppongono tant'è che dopo 12 anni esiste solo qualche raro caso di titolo di studio riconosciuto all'estero». A differenza delle merci che non hanno dogana e dell'euro che può essere prelevata a Roma e spesa nel resto dell'Ue, sottolinea Berlinguer, la cultura si scontra ancora con troppe barriere. E per lui questo è «un vulnus visto che proprio la cultura dovrebbe essere universale». Il fine della risoluzione cui l'esponente dei democratici sta lavorando sarà proprio quello di impegnare gli Stati membri a far sì che «chi s’iscrive all'università di Cipro o di Glasgow possa utilizzare i suoi titoli presso tutta l'Ue». «Se la matematica è matematica ovunque - si chiede Berlinguer - per quale motivo una laurea conseguita in Italia non è riconosciuta in Francia o in Germania?». Quanto alle materie umanistiche e scientifiche, precisa ancora l'ex ministro, «se proprio hanno delle perplessità ci propongano una soluzione che sia europea e non solo italiana».
(Fonte: Il Sole 24 Ore 24-10-2011)
 
Laureati triennali. Aumenta il tasso di occupazione PDF Stampa E-mail
Il mercato del lavoro comincia a non considerare più "figlie di un Dio minore" le lauree «mini», «brevi» o di «primo livello». Come dimostra una ricerca del centro di ateneo per la ricerca educativa e didattica (Cared) dell'università di Genova secondo la quale, a 12 mesi dal termine degli studi, il 42,1% dei laureati triennali 2009 risultava occupato. Lo studio condotto da Giunio Luzzatto del Cared e Roberto Moscati della Bicocca di Milano ha il merito di incrociare ove possibile le (fin qui non incrociabili) elaborazioni di MAR-TIMI e del consorzio Stella. Portando a 63 il numero di atenei rappresentati e al 70% la quota del campione censito rispetto a tutti i laureati triennali italiani del 2009. I due autori sottolineano come l'opinione pubblica sia spesso «indotta a pensare che riferendosi ai laureati di primo livello non si possa parlare di occupazione se non in casi molto particolari (professioni sanitarie). In realtà -scrivono - non è così». E qui citano il 42,1% di occupati a un anno dalla laurea, che scende al 27,5% se si guarda solo a chi non prosegue gli studi. Valori che tra l'altro sono costanti rispetto al biennio precedente. E «tenuto conto della perdita generale di lavoro nel Paese in conseguenza della crisi - spiegano - ciò è un risultato positivo, anche a confronto con la caduta che vi è stata invece nei livelli occupazionali dei laureati magistrali». Il dato medio però non basta. Attingendo ai numeri della sola Almalaurea il dossier ci mostra un quadro abbastanza variegato. Dove accanto ai picchi di Professioni sanitarie (81,7%), Educazione fisica (66,5%) e Insegnamento (60,3%) si trovano i valori bassi di Geo-Biologico (22,9%) e Ingegneria (24,5%). Con una media che, se si estrapola il campo medico, rimane comunque interessante poiché si assesta al 38 per cento. (Fonte: Il Sole 24 Ore 24-10-2011)
 
« InizioPrec.1112131415Succ.Fine »

Pagina 12 di 15