Home 2011 12 Agosto
12 Agosto
Measuring Nepotism: the case of italian academia PDF Stampa E-mail

«Measuring Nepotism: the Case of Italian Academia» è il titolo della ricerca di Stefano Allesina, che da Carpi è volato a Chicago, dove si occupa di modelli matematici applicati all'ecologia. Spulciando la banca dati del ministero dell'Istruzione, questo ricercatore di 35 anni ha controllato quante volte lo stesso cognome si ripete dentro le nostre 94 università. Un lavoro lungo ma in fondo semplice, «statisticamente rozzo» come spiega lui stesso al telefono. Perché avere lo stesso cognome non vuol dire per forza essere parenti, visto che ci possono essere casi di omonimia. E perché le vie del nepotismo sono infinite, con la possibilità di concedere la spintarella ad amici, cugini e magari amanti che si chiamano in altro modo e quindi sfuggono ad un controllo del genere. Tra gli oltre 61 mila professori e ricercatori a tempo indeterminato delle università italiane, ci sono 4.583 cognomi ripetuti due volte, 1.903 che compaiono tre volte. Il record spetta ai signor Rossi, ovviamente, ce ne sono 255, seguiti da Russo, Ferrari e Romano. Tutti sopra quota cento ma in fondo sono anche i cognomi più diffusi nel Paese. L'analisi diventa più interessante quando si calcola il tasso di nepotismo all'interno delle singole università. Le cose vanno peggio al Sud, con il primo posto assoluto alla Lum Jean Monnet, piccolo ateneo privato della Puglia, seguito da Sassari e Cagliari, mentre per trovare la prima università del Nord bisogna scendere fino alla 15esima posizione con Modena e Reggio Emilia.

Altra classifica per le aree disciplinari: i sospetti maggiori si concentrano su Ingegneria industriale, seguita da Diritto, Medicina, Geografia e Pedagogia. I settori più virtuosi, invece, sono Demografia, Linguistica e Psicologia. Anche qui un indizio non fa una prova. Sbotta Luigi Frati, rettore della Sapienza: «La meritocrazia non ha cognome. Piuttosto si veda se uno studioso è bravo oppure no». Virgilio Ferrario, preside di Medicina alla Statale di Milano, dice che il «nepotismo c'è ma si faccia la cortesia di vedere cosa succede nell'amministrazione pubblica». Lui, l'autore dello studio, ribatte di «aver solo offerto uno strumento per combattere il fenomeno».
(Fonte: L. Salvia, Corsera 04-08-2011)
 
Quanto costa frequentare l’università in Italia PDF Stampa E-mail
In Italia le migrazioni interne per ragioni di studio coinvolgono il 20,5% degli studenti, in altre parole è classificato come “fuori sede” un universitario ogni cinque. Certo studiare e mantenersi in un’altra città pesa sulle tasche degli studenti. Ma quanto costa frequentare l’università? Nella media nazionale, le tasse universitarie annuali vanno dai 470 euro per chi ha un reddito lordo fino a 6mila euro, ai 1.747 per chi supera i 30mila euro di reddito. Ma questa forbice tra fasce di reddito è molto diversa da regione a regione e può toccare differenze di oltre 2.800 euro. Secondo uno studio di Federconsumatori, gli studenti del Nord pagano rette più alte del 13% rispetto alla media nazionale per la prima fascia e il 32% in più se si considera la fascia più alta. L’ateneo più caro è Parma con una media di 865 euro l’anno per la fascia più bassa, segue la Bicocca di Milano con 737 euro, che diventano 3.819 per un’iscrizione scientifica in quinta fascia; al terzo posto segue Verona. L´ateneo più economico è l’Aldo Moro di Bari, le cui tasse vanno da 283 a 1.290 euro. All’Alma Mater di Bologna la politica del diritto allo studio consente agli studenti “sotto i 6.000 euro reddituali” di iscriversi a Lettere o a Ingegneria con solo 302 euro. I corsi di laurea più costosi? Medicina, Farmacia, Ingegneria e Architettura. Un ingegnere può costare a una famiglia 1.432 euro l’anno alla Federico II di Napoli ma oltre il doppio, 3.000 euro, alla Bicocca di Milano.
(Fonte: www.telesanterno.com 01-07-2011)
 
Comunicato CRUI. I successi dell’università rischiano di essere compromessi PDF Stampa E-mail

La CRUI ha incontrato nei giorni scorsi il Ministro Gelmini e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In entrambi i casi è stato evidenziato il contributo che l’Università italiana, pur in un momento di obiettive difficoltà, ha offerto alla crescita del Paese.

Le cifre sono eloquenti a riguardo. Corsi di studio e numero dei docenti sono stati razionalizzati. Le attività di ricerca e trasferimento tecnologico al servizio dei Territori e dell’impresa sono state incrementate. Più della metà degli Atenei ha già completato i nuovi statuti, con risultati innovativi soprattutto nella promozione del merito in tutte le sue forme.

Si aggiungono i risultati certificati a livello internazionale e le eccellenze nella preparazione dei giovani e nella loro capacità di affermarsi anche fuori dal nostro Paese.

Questo sforzo compiuto e tutti i successi riconosciuti saranno irrimediabilmente compromessi dal taglio di più del 5% del FFO previsto per il 2012. Il taglio complessivo subìto dal sistema universitario italiano nel triennio 2010-2012 non ha eguali nel contesto internazionale: toccherà il 12% che diviene il 18% se vi si aggiungono gli effetti dell’inflazione. Né può essere passato sotto silenzio il taglio superiore al 50% del contributo alle Università non statali.

Per la prima volta il FFO del 2012 risulterà inferiore per circa 300 mln di euro al valore delle spese per stipendi e assegni fissi, al netto – si badi bene - dei risparmi derivanti dalle cessazioni e malgrado gli stipendi siano nominalmente bloccati.

Questi si devono necessariamente aggiungere gli almeno 100 mln di euro che mancano dal fondo per il diritto allo studio, in pratica azzerato per il prossimo biennio.

L’alta formazione è un investimento per il futuro e non una semplice spesa tanto più importante nei momenti di disagio economico e sociale come quelli che il Paese sta vivendo. Solo partendo da questo riconoscimento si potrà dare una prospettiva a un’intera generazione di giovani.
(Fonte: CRUI 22-07-2011)
 
Lo schema di decreto per il commissariamento degli atenei. La posizione della FLC CGIL PDF Stampa E-mail

Il finanziamento preminente delle Università statali (discorso differente quello per gli altri Atenei non statali) è dato dai trasferimenti da parte dello Stato, questo comporta che l’eventuale insolvenza di un’Università possa essere determinata proprio dalla diminuzione della contribuzione attesa o dall’aumento delle spese in conseguenza di interventi esterni ed estranei alla responsabilità delle università.

I presupposti per il dissesto a nostro parere non possono quindi limitarsi a una constatazione oggettiva ma devono risalire, anche per predisporre gli opportuni rimedi, alle cause che lo hanno prodotto.

Lo schema di decreto prevede che le condizioni di dissesto siano accertate dai revisori dei conti secondo parametri economico - finanziari che saranno definiti con regolamento adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 400/1988.

Data la composizione del collegio dei revisori prevista dalla L. 240/2010, risulta molto forte l’influenza ministeriale e la scarsa indipendenza o almeno l’influenza che può essere esercitata sulla loro indipendenza di giudizio.

Sarà di particolare importanza e significato politico il regolamento al quale lo schema di decreto fa rinvio e che, per questa ragione, dovrebbe essere sottoposto al vaglio delle Commissioni parlamentari.

In tutto il decreto traspare una preoccupante visione dell’Università, tutta ragionieristica e contabile, senza alcuna considerazione per il ruolo scientifico, didattico e culturale che tale istituzione riveste.

Il decreto non prevede formalmente alcuna interlocuzione tra il Consiglio di Amministrazione e i revisori qualora sanciscano il sussistere di parametri negativi che portino alla dichiarazione di dissesto finanziario.

Esprimiamo la nostra contrarietà a che le Università siano tenute a quel punto alla pura amministrazione ordinaria, con l’unico obiettivo del contenimento o della riduzione dei costi.

Il piano di rientro, secondo i criteri dell’art. 4, è finalizzato esclusivamente alla riduzione dei costi, alla penalizzazione del personale, soprattutto quello amministrativo di cui non si comprende la responsabilità, e alla liquidazione del patrimonio.

Qualora si pervenga al commissariamento dell’Ateneo, ai sensi dell’articolo 6 dello schema di decreto, si nominano da uno a tre commissari sulla base della consistenza numerica del personale in servizio.

Si tratta di un criterio a dir poco semplicistico che non tiene conto di altri elementi ben più significativi: la complessità dell’organizzazione e delle strutture, la composizione del bilancio e, più in generale la complessiva attività dell’università interessata.

I commissari possono essere funzionari o dirigenti dei Ministeri dell’Economia e del MIUR con grave pregiudizio per l’autonomia rispetto agli organi nominanti.

I commissari subentrano al Consiglio di Amministrazione che decade con l’assurdità che anche le funzioni strategiche dell’Università sono messe in capo a funzionari ministeriali. (Fonte: Flc Cgil)
 
Proposta di sorteggio per i membri togati del CSM come per le commissioni dei concorsi universitari PDF Stampa E-mail

L'importanza di riorganizzare il lavoro dei giudici è stata dimostrata in alcuni seri lavori scientifici, ma questo cambiamento non è possibile se non si modifica il modo in cui sono scelti i presidenti dei Tribunali e i capi degli uffici. Oggi essi sono designati dal Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) con un meccanismo simile a quello dei vecchi concorsi universitari: i magistrati che fanno parte del Csm (due terzi dei componenti del Consiglio) sono eletti dai loro colleghi e pertanto, presumibilmente, contraggono debiti verso i loro elettori che spesso poi «ripagano» con promozioni e trasferimenti. Un sistema, come accadeva nei vecchi concorsi universitari, che raramente promuove i migliori.

Negli atenei il ministro Gelmini, prima di varare la sua riforma, sostituì le elezioni con il sorteggio delle commissioni: un meccanismo che nei due anni passati, almeno in alcune discipline, ha fatto saltare molti accordi dietro le quinte, consentendo la promozione di giovani ricercatori di valore. Si potrebbe istituire il sorteggio anche per i membri togati del Csm.
(Fonte: A. Alesina, F. Giavazzi, Corriere di Bologna 11-07-2011)
 
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