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27 Giugno
Gli stipendi dei ricercatori e professori universitari confermati nel ruolo negli anni dal 2011 al 2013 PDF Stampa E-mail

Tre settimane fa sono stato sollecitato da un collega dell'Università di Bologna a considerare la singolare situazione in cui vengono a trovarsi i ricercatori e professori universitari confermati nel ruolo negli anni dal 2011 al 2013, per i quali vige il blocco degli stipendi del pubblico impiego. Il loro caso non rientra perfettamente in nessuna delle fattispecie individuate dal decreto legge 78 del 2010 che ha introdotto il blocco. Eppure le amministrazioni degli atenei, tra cui quello di Bologna, in assenza di espliciti chiarimenti ministeriali, ritengono di non poter riconoscere il connesso adeguamento stipendiale. Ho presentato quindi un’interpellanza urgente al Ministero dell'Istruzione esponendo argomenti di cui il Ministero stesso ammette la fondatezza, concludendo che nulla osta all'adeguamento stipendiale. Tuttavia si rifiuta di emanare una circolare interpretativa al riguardo e dunque i dubbi degli amministratori degli atenei permangono. Sto ora valutando se non sia necessaria un’ulteriore iniziativa. Ogni considerazione al riguardo è benvenuta. Di seguito sono riportati tutti i testi e il video della.presentazione in Aula dell'interpellanza.
(Fonte: S. Vassallo 14-06-2011)

Da A. Pagliarini, dopo che ha preso visione dell’interpellanza:

La risposta è chiara ed è in linea con la interpretazione da me data alla norma in merito alla conferma in ruolo o al passaggio ad ordinario. Diffondo subito la notizia nella speranza che l'interpretazione sfavorevole data da diverse sedi sia modificata dalle stesse. Ritengo, comunque, che il MEF (ministero economia e finanze) o la Funzione pubblica potrebbero emanare non una circolare ma una nota illustrativa sull'applicazione dell'art. 9, commi 1 e 21 della legge 122/2010 o, al limite, un D.M. (decreto ministeriale) del MEF che fissi i criteri di applicabilità ai docenti universitari delle predette norme.
 
Rilievi a una proposta sul trattamento economico dei docenti di materie cliniche PDF Stampa E-mail

Il prof. Pagliarini propone una “quota retributiva” da attribuire ai Professori e Ricercatori Universitari convenzionati con il SSR, uguale alla metà dello stipendio del Dirigente Medico ospedaliero di pari grado. Anche se questa proposta avrebbe il vantaggio di essere estremamente semplice nell’applicazione, a mio modo di vedere, comporta alcuni elementi critici che spiego appresso. Attualmente nella maggioranza delle regioni è stato applicato, seppur in modo eterogeneo, il DM 517/1999 “Bindi Zecchino” che prevede un “trattamento economico aggiuntivo” (TEAG) per i docenti di materie cliniche “oltre alla retribuzione universitaria”. Tale TEAG è riferito, come dice testualmente la sopracitata legge, all’art. 6, a:

a) un trattamento aggiuntivo graduato in relazione alle responsabilità connesse ai diversi tipi di incarico;

b) un trattamento aggiuntivo graduato in relazione ai risultati ottenuti nell’attività assistenziale e gestionale, valutati secondo parametri di efficacia, appropriatezza ed efficienza, nonché all’efficacia nella realizzazione della integrazione tra attività assistenziale, didattica e di ricerca.

Se, come succede in alcune regioni, il TEAG al punto a) contiene alcune voci stipendiali ospedaliere come lo stipendio di posizione, l’indennità di rapporto esclusivo, l’indennità di direzione di struttura complessa e di dipartimento e alla voce b) l’indennità di risultato, ne risulta che la somma di queste voci, in talune regioni, è sicuramente superiore alla soglia del 50% indicata da Pagliarini, l’applicazione della quale genererebbe una progressione “in pejora” inaccettabile.

La seconda ragione della mia contrarietà sta nel fatto che l’applicazione di questa ipotesi ai colleghi più giovani, intendo i ricercatori, genererebbe sostanzialmente una notevole sperequazione tra gli stipendi degli universitari rispetto a quella dei “pari mansioni” ospedalieri. I ricercatori universitari o i giovani associati, hanno, infatti, uno stipendio tabellare universitario, di gran lunga inferiore, almeno dal 5° anno di anzianità, rispetto ai pari mansioni ospedalieri. Per questa ragione, in molte regioni italiane, l’applicazione della legge 517 è stata accompagnata dall’applicazione della vecchia “De Maria” (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761) che riguarda la parte di stipendio tabellare. In buona sostanza, i giovani associati e i ricercatori con poca anzianità e senza incarichi di struttura semplice o complessa, non si giovano dell’applicazione della 517 (per loro il TEAG è vicino allo zero perché non rivestono incarichi particolari) e, siccome è presente una notevole differenza tra gli stipendi tabellari (lo stipendio tabellare degli ospedalieri è maggiore), si giovano, ove questa interpretazione è applicata, di una compensazione tra i due stipendi (chiamata assegno perequativo). Questa compensazione, in taluni momenti della carriera, all’inizio per intenderci, potrebbe essere superiore al 50% della retribuzione ospedaliera. Il mio disaccordo, inoltre, poggia su un’ulteriore ragione: il TEAG e l’assegno perequativo rappresentano elementi utili ai fini della pensione e del TFS, dal 2011 TFR, grazie al fatto che sono emolumenti presenti nelle voci stipendiali ospedaliere traslati nello stipendio universitario. La somma del 50% dello stipendio ospedaliero, riferita dal collega Pagliarini, non rivestendo le caratteristiche di alcuna voce stipendiale, rischierebbe di trasformarsi in un assegno “ad personam” potenzialmente scollegato ai meccanismi di calcolo della pensione e del TFS.

In conclusione, per quanto l’ipotesi Pagliarini, a una prima analisi, potrebbe considerarsi “risolutiva”, la sua applicazione genererebbe, a mio modo di vedere, più problemi di quanti ne andrebbe a risolvere. Naturalmente è del tutto auspicabile un intervento del legislatore volto a dare un’interpretazione univoca della “517” nell’intento di generare un’omogenea applicazione della stessa in tutte le realtà universitarie convenzionate con il SSN.
(Fonte: G.C. Avanzi 20-06-2011)
 
I primi decreti attuativi della Legge 240/2010 PDF Stampa E-mail

E’ stata inviata al CUN dal MIUR la prima serie di decreti attuativi della Legge 240/2010, che, una volta applicati, rendono operativi alcuni tra i più rilevanti punti di intervento della riforma universitaria.

Tali decreti riguardano:

1.  art. 2, comma 1 lett. n): criteri e ai parametri per la determinazione del trattamento economico del direttore generale

2.  art. 5, comma 1, lett. b): procedure per il commissariamento degli Atenei in dissesto economico-finanziario

3.  art. 5, comma 1, lett. b): nuovo regime di contabilità patrimoniale

4.  art. 6, comma 9: definizione criteri per la costituzione e partecipazione a società di spin-off

5.  art. 6, comma 11: definizione dei criteri per l'attivazione delle convenzioni per lo svolgimento dell'attività didattica e di ricerca di professori e ricercatori presso altri Atenei

6.  art. 7, comma 5: criteri e modalità per favorire la mobilità interregionale professori che hanno prestato servizio presso corsi o sedi soppresse

7.  art. 8, commi 1 e 3:  revisione disciplina trattamento economico professori e ricercatori in servizio - Rimodulazione progressione economica nuovi professori e ricercatori

8.  art. 12, comma 3: individuazione università telematiche finanziabili, cui spetta contributo premiale

9.  art. 16, comma 2: modalità di espletamento delle procedure finalizzate al conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale

10.  art. 18, comma 1, lett. b): definizione tabelle di corrispondenza ai fini della partecipazione ai procedimenti per la chiamata di professori di I e II fascia, di studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o nell’insegnamento universitario

11.  art. 20, comma 1: applicazione, per un periodo sperimentale di tre anni, del principio della tecnica di valutazione tra pari

12.   art. 22, comma 7: definizione importo minimo assegni di ricerca

13.  art. 23, comma 2: determinazione trattamento economico spettante ai titolari dei contratti per attività di insegnamento

14.  art. 24, comma 2, lett. c): criteri e parametri per la valutazione preliminare dei candidati (ricercatori a tempo determinato)

15.  art. 24, comma 3, lett. a): modalità, criteri e parametri per valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte da ricercatori al termine del contratto, ai fini della proroga

16.  art. 29, comma 7: individuazione programmi di ricerca di alta qualificazione ai fini chiamata diretta di studiosi

17.  art. 29, comma 19: criteri e alle modalità per l’attribuzione degli scatti premiali a professori e ricercatori.
(Fonte 21-06-2011)
 
In dirittura d’arrivo i nuovi statuti PDF Stampa E-mail

Mancano poche settimane al termine entro il quale gli statuti degli atenei italiani dovranno essere revisionati, come previsto dalla riforma Gelmini. Dead-line per l’approvazione delle nuove “carte costituzionali” d’ateneo è il 26 luglio: spuntano dunque in questi giorni a macchia di leopardo le bozze dei nuovi statuti, per lo meno in quelle università che non hanno già provveduto a tempo di record, come Ca’ Foscari, dove lo statuto è già ufficiale e operativo da marzo.

Bozze sono state presentate nei giorni scorsi all’Università di Firenze, ma anche a Foggia, a Modena e Reggio Emilia e molti altri istituti in Italia. A sfornare i documenti sono state commissioni preposte, composte in modalità molto diverse – dall’elezione democratica alla nomina – così come differenti sono stati i livelli di trasparenza: bozze e verbali sono pubblici in alcuni casi, riservati agli addetti ai lavori in altri. Ma come cambiano le università italiane? In ballo c’è soprattutto la governance degli atenei, attraverso il ridisegno degli organi decisionali, ma anche la semplificazione e la razionalizzazione delle strutture.

Ovunque si assiste a una riduzione del numero di membri degli organi accademici: l’Università di Foggia passa dagli attuali 38 componenti a 24 mentre in senato accademico e nel consiglio di amministrazione dagli attuali 22 a 10. A Modena e Reggio Emilia il Cda scende da 25 a 11 membri, di cui 8 saranno designati dal senato. Anche a Firenze i membri del CDA saranno 11: oltre al rettore ci saranno due rappresentanti degli studenti, cinque membri interni all’ateneo, e tre esterni, che dovranno presentare la propria candidatura secondo appositi avvisi pubblici. In alcuni casi spuntano le quote rosa, come a Bologna dove la bozza diffusa un mese fa prevede che il consiglio non possa essere composto di soli uomini (né di sole donne) e tuttavia non sono mancate le proteste nei confronti di uno statuto che i docenti definiscono “antidemocratico”.

L’altro nodo fondamentale nella stesura degli statuti è relativo invece al numero e alla struttura dei dipartimenti. Se la legge Gelmini fa sparire le facoltà, gli statuti dovranno stabilire i criteri di accorpamento dei dipartimenti, che andranno a ridursi ovunque per amore di semplificazione. A Firenze numero minimo di docenti per formare un dipartimento sarà 50, mentre a Modena e Reggio Emilia la quota scende a 35 (il minimo stabilito dalla riforma).
(Fonte: C. Ferro, università.it 14-06-2011)
 
Una posizione di parte sindacale (FLC CGIL) sugli statuti di ateneo PDF Stampa E-mail
Nel nuovo modello di governance delineato dalla legge Gelmini è evidente un impianto finalizzato alla riduzione degli spazi democratici e a un accentramento verticistico del potere. In particolare, ciò si evince dalla possibilità lasciata ai Rettori di nominare CDA e Presidenti delle nuove strutture di raccordo (le Scuole), dalle prerogative attribuite a soggetti esterni portatori di interessi, dalla riduzione dei poteri decisionali e di controllo dei Senati Accademici (unici organi rappresentativi a livello di Ateneo), dalla non esplicita individuazione di un criterio di rappresentanza per fasce nella composizione degli organi. Attraverso la lettura delle prime versioni definitive di Statuto prodotte dalle Università, si evince come quello della legge sia l'impianto assunto anche da alcuni Atenei: accentramento di poteri nelle mani di Rettori e CDA, e riduzione della rappresentanza e della partecipazione della comunità accademica in tutte le sue componenti.
(Fonte: Flc Cgil 08-06-2011)
 
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