Home 2011 8 Giugno
8 Giugno
Proposta bipartisan per l’aumento delle tasse universitarie PDF Stampa E-mail
Mercoledì 18 maggio un gruppo di senatori bi-partisan (Pd, Udc, File Api) ha presentato un'interrogazione al governo in cui chiede di aumentare le tasse universitarie sul modello britannico che dal 1998 ad oggi ha sfondato il tetto delle 9 mila sterline all'anno (10.324 euro) provocando l'insurrezione degli studenti. La squadra del Pd, partito anarchico per eccellenza quando si parla di università, mette in campo nomi del calibro di Pietro Ichino, Stefano Ceccanti, Ignazio Marino, Nicola Rossi e Tiziano Treu. C'è l'indomito finiano Giuseppe Valditara. Chiude il plotone Adriana Poli Bortone di «Io Sud», insieme a Francesco Rutelli dell'Api. I senatori elencati sono quasi tutti professori ordinari e non hanno mai mancato di lodare le virtù della riforma Gelmini. La loro intemerata nasce sotto l'ombrello dell'osservatorio Università «oltre la Gelmini» del fui gL•oettM, un'associazione che auspica la competizione fra gli atenei e vuole premiare il merito «senza penalizzare i più poveri». Tra i soci fondatori e quelli ordinari di questa piccola lobby ci sono alcuni scienziati le cui ricerche registrano un alto numero di citazioni nel data base dell'Isi. Tra gli oltre 50 nomi presenti nel board dell'associazione spuntano quelli del presidente dell'Inaf Tommaso Maccacaro, del chimico Luigi Nicolais (Pd) e del fisico Giorgio Parisi.Il testo dell'interrogazione è ideologico anche quando confessa di cercare una possibile mediazione tra il «polo Alfa» rappresentato dall'università italiana (tasse basse, irresponsabilità degli studenti e bassa qualità media degli atenei) e il «polo Omega» dell'università britannica (tasse alte, sbarramento monetario all'accesso, divisione e competizione tra atenei ricchi e poveri). Non è nuova questa ricetta sulla quale insistono da tempo gli atenei pubblici secondo le regole della govenance aziendale e imporre agli studenti il peso di un debito che non riusciranno a ripagare. Chi, nell'Italia con il 30 per cento di disoccupazione giovanile, riuscirà a raggiungere un reddito di 30 mila euro per ripagare il suo debito formativo? I senatori bipartisan chiedono infine di trasformare il «Fondo per il merito» in una «Fondazione per il merito» con una dotazione iniziale di 9 milioni. A questo carrozzone verrebbero concessi in comodato beni immobili facenti parte del demanio e del patrimonio statale.
(Fonte: R. Accerchi, Il Manifesto 25-05-2011)
 
Prestiti di stato e aumenti delle tasse PDF Stampa E-mail

Oggi l'Erario non può destinare somme maggiori agli atenei, neanche se tagliasse, come sarebbe auspicabile, altri sprechi nella spesa pubblica o recuperasse evasione fiscale. C'è però una strada alternativa percorribile, promossa dall'Osservatorio sull'Università del Gruppo 2003 che ha dato origine ad un'interrogazione parlamentare presentata al Senato il 18 maggio (http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/tasse-piu-alte-studi-migliori). Una strada contro cui sta montando un'opposizione ideologica ottusa e preconcetta, costruita su una descrizione fuorviante e infondata della proposta. Sono molti gli studenti che sicuramente potrebbero pagare di più per i loro studi universitari: sono i figli delle famiglie abbienti che attualmente pagano meno di quanto costi il loro addestramento. Questo consente loro di incrementare il capitale umano e i redditi futuri a spese della fiscalità generale, e in particolare dei poveri che pagano le tasse ma mandano con minor frequenza i figli all'università. Non riesco a trovare un solo argomento contro la proposta di alzare le tasse universitarie pagate dagli studenti più abbienti. È comunque uno scandalo che essi non paghino per un investimento di cui loro per primi godranno. Sorprende che la sinistra ancora non se ne sia accorta. Ma che fare per gli studenti meno abbienti? Purtroppo, non bastano le tasse universitarie pagate dai super ricchi per finanziare un'istruzione terziaria di alta qualità per tutti gli altri che meritano di accedervi. E d'altro canto, dare ai poveri un'università gratis ma di pessima qualità è una truffa. Sono loro gli studenti maggiormente interessati ad atenei ben finanziati, che funzionino meglio e possano offrire quell'ascensore sociale che manca nel nostro Paese. Nonostante istruirsi costi poco in Italia, la mobilità intergenerazionale è tra le più basse nei paesi avanzati.  Esiste poi una classe media che potrebbe pagare gli studi universitari dei suoi figli, se di questi costi fosse avvertita per tempo. In Usa molte famiglie iniziano quando i figli nascono a mettere da parte per il loro "college". Ma in Italia queste stesse famiglie rifiuterebbero oggi, a buon diritto, un improvviso aumento delle tasse universitarie, anche se a regime fosse equo e consentisse di migliorare la qualità degli atenei. Una soluzione c'è, però, anche per questi casi. Le università potrebbero essere lasciate libere, se vogliono, di aumentare le tasse universitarie (differenziate per reddito familiare) e lo Stato potrebbe anticipare l'eventuale spesa aggiuntiva degli studenti meno abbienti ad una condizione: che siano essi stessi (e non le loro famiglie) a dover ripagare il debito, ma solo se e quando, e qui sta il punto cruciale, arriveranno a guadagnare un reddito sufficiente per farlo. Solo da quel momento, e comunque gradualmente, dovranno saldare il loro debito attraverso una voce specifica del prelievo fiscale a cui saranno assoggettati.
(Fonte: A. Ichino, Il Sole 24 Ore 27-05-2011)

Un Commento:

In uno Stato in cui l'evasione fiscale (e quindi l'assoluta virtualità della dichiarazione dei redditi e di conseguenza chi figura come povero e come ricco) è lo sport nazionale, una proposta del genere è perlomeno ingenua. Ma il punto non è questo. Il punto è che con i redditi che si prospettano in futuro per gli studenti attuali la percentuale di chi non sarebbe in grado di restituire la somma sarebbe talmente alta che si finirebbe ben presto per dire "oh, scusate, dobbiamo rivedere la soglia minima entro la quale bisogna restituire", perché si sfonderebbe il budget messo a disposizione (che probabilmente sarebbe comunque insufficiente persino in partenza, visto la generosità degli stanziamenti) rapidissimamente. Dato che "non ci sono soldi" (così si dice) - ossia fondi statali -, ci andrebbero di mezzo o gli studenti o gi atenei (che però, visto che sono baronalmente rappresentati in parlamento, vedrebbero bene di non andarci di mezzo, rivedendo appunto la soglia minima). E se ci assicuraste che non accadrebbe, onestamente... non vi si filerebbe nessuno, perché di rassicurazioni campate in aria ce ne siamo sorbite una valanga negi ultimi venti anni. D'altro canto gli studenti dopo poco si sarebbero indebitati per cifre talmente alte che solo i figli dei plutocrati italiani (quelli che non avrebbero bisogno del prestito, circa il 10%) potrebbero restituirli in tempi non biblici, Scordavo... il meccanismo è tra l'altro del tutto inefficiente: Gli atenei non hanno soldi quindi li fanno pagare attraverso un innalzamento delle tasse a piacere agli studenti; gli studenti non possono pagare quindi gli atenei dovrebbero riassorbire la perdita... qual è il vantaggio se non per il governo che così non si vedrebbe rinfacciare di non aver investito scaricando la responsabilità del finanziamento sugli atenei? (e distinguo stato da governo, perché il governo non rappresenta più, ormai, lo stato, questo ormai è evidente).
(da Paola, Il Sole 24 Ore 30-05-2011)
 
Reazioni alla proposta di aumentare le tasse universitarie PDF Stampa E-mail
La riforma varata nel Regno Unito può rappresentare un modello anche per l’Italia. Parte da questo assunto la proposta, contenuta in un’interrogazione presentata al Senato il 18 maggio scorso, che intende far fronte alla necessità di risorse per gli atenei italiani aumentando le tasse agli studenti che vengono dalle famiglie più ricche. Inoltre, l’idea nata in seno all’Osservatorio sull’università del Gruppo 2003 e diventata poi un’interrogazione parlamentare “bipartisan”, prevede che le università siano lasciate libere di determinare l’entità della retta, con lo Stato che interviene con un prestito a integrare la cifra che dev’essere pagata dai meno abbienti. Questi ultimi poi, ottenuto un lavoro al termine degli studi, provvederanno a restituire il prestito ricevuto “attraverso una voce specifica del prelievo fiscale a cui saranno assoggettati”. I firmatari prevedono che attraverso un sistema di bonus-malus siano le stese università a coprire con un fondo le eventuali insolvenze e, spiegano, questo sarebbe un ulteriore incentivo per gli atenei a migliorare la qualità dell’offerta didattica e a formare persone più capaci, in modo da ridurre il rischio che gli studenti “in debito” non restituiscano la cifra che gli ha consentito di terminare gli studi. Le reazioni all’interrogazione arrivate da più fronti. Flc-Cgil ha definito l’interrogazione una “operazione ideologica vergognosa”, perché “sottende l’idea che il costo dell’istruzione debba gravare fondamentalmente sui singoli perfettamente in linea con la legge 240 e le politiche del governo Berlusconi”. Il segretario del sindacato, Domenico Pantaleo, spiega che difende la qualità espressa dagli atenei italiani (“questa è una vulgata che serve a delegittimare il sistema per ridurre le risorse pubbliche”) e accusa i firmatari dell’interrogazione di mettere in discussione il diritto costituzionale allo studio. Dal coordinamento universitario Link spiegano che il rischio della proposta è di creare un ulteriore ostacolo all’ascensore sociale, perché “migliaia di studenti non potrebbero accedere ai gradi più alti di formazione” e in più introdurre una nuova “categoria” di studenti e neolaureati, coloro che si indebitano per poter studiare. I proponenti invece sostengono l’idea di una “scommessa comune tra atenei e studenti” e Andrea Ichino, fratello del senatore Pietro che è tra i firmatari, spiega sulle pagine del Sole24Ore che si è attivata “un’opposizione ideologica ottusa e preconcetta, costruita su una descrizione fuorviante e infondata della proposta”.
(Fonte: D. Lupoli, università.it 30-05-2011)
 
Nel Regno Unito anche i professori di Oxbridge contrari all’aumento delle tasse agli studenti PDF Stampa E-mail
Dopo le proteste degli studenti inglesi andate avanti per mesi, ora è la volta dei professori. I docenti di Cambridge hanno affiancato i loro colleghi di Oxford nella battaglia contro la riforma dell’università approvata dal governo britannico, che prevede un notevole aumento delle tasse universitarie. La petizione ha raccolto sino ad ora circa 150 insegnanti che hanno firmato un documento per richiedere ai due atenei tra i più prestigiosi al mondo, un “voto di sfiducia” al provvedimento di aumento delle rette voluto sia dai Liberali che dai Conservatori. La proposta del ministro dell’università inglese David Willetts, prevede infatti oltre ai tagli sui sussidi per gli studenti, anche una riduzione dei budget destinati agli insegnanti, invadendo il potere di auto-regolamentazione degli atenei. Va sottolineato che, se la mozione incontrasse il favore e il supporto del consiglio delle università, nel mese prossimo, sarebbe la prima volta che un ateneo inglese da un voto di “no confidence” a un ministro. Tale intervento del corpo docente che insegnò allo stesso Willets fa sembrare la battaglia contro la riforma dell’università alquanto differente da come lo è stata fino ad oggi. Mentre infatti la coalizione politica e gli stessi media potevano far passare l’immagine di studenti in protesta senza un adeguato bagaglio culturale per poter giudicare le decisioni, ora nessuno potrebbe dire che gli accademici di Oxford o di Cambridge non abbiano esperienza necessaria per criticare l’agenda di governo.
(Fonte: G. Pistoia, università.it 04-06-2011)
 
Il potere di chiamata ai dipartimenti PDF Stampa E-mail
La riforma Gelmini impone che il potere di chiamata dei docenti, il più delicato tra i poteri nel mondo accademico, passi dalle aggregazioni didattiche a quelle scientifiche, ossia dalle facoltà ai dipartimenti; impone dipartimenti di almeno 40 docenti nei maggiori atenei (di 35 in quelli con meno di mille docenti), tutti afferenti a settori disciplinari omogenei; impone che siano gli stessi dipartimenti a farsi carico dell'attività didattica, annullando le facoltà, salvo che non preferiscano costruire strutture di coordinamento interdipartimentali, comunque denominate, che non potranno essere più di dodici nell'Ateneo. È una riforma che promette maggiore produttività scientifica e didattica. In particolare è positivo che il potere di chiamata passi ai dipartimenti, soprattutto se si svilupperà il sistema di valutazione di ateneo e nazionale, con connessa erogazione di premi e penalità. Tutto è discutibile, ma la valutazione dei dipartimenti è più attendibile di quello delle facoltà, dove è difficile accertare la qualità del laureato e si rischia, premiando le facoltà con minori tassi di abbandono e minori ritardi di laurea, di stimolare la permissività e punire il rigore. Nel nuovo contesto c'è un interesse collettivo a ricevere più risorse grazie ad una buona valutazione. Dovrebbero perciò diminuire i voti di scambio che in certe facoltà hanno introdotto troppi parenti e affini e troppi allievi locali. Al contempo, attenzione a non passare da un estremo all'altro. Il pericolo di autoreferenzialità dei dipartimenti è elevato e potrebbe portare a percorsi didattici su misura.
(Fonte: G. Muraro, Il Piccolo 30-05-2011)
 
« InizioPrec.123456789Succ.Fine »

Pagina 4 di 9