Home 2011 23 Maggio
23 Maggio
Eliminata la “cultura generale” nei test d’ammissione PDF Stampa E-mail
Il modulo dei quesiti cosiddetti “generali o di attualità” spariscono dai test d’accesso per le facoltà a numero chiuso. Si comincerà, infatti, da settembre con i nuovi quiz destinati ad aspiranti medici, veterinari e architetti, che si vedranno alle prese con 80 domande ben diverse. A sostituire la cultura generale ci sarà infatti un modulo di quesiti logico-deduttivi, oltre a domande declinate in modo preciso sulle materie che lo studente andrà ad affrontare nel corso di laurea che aspira ad intraprendere. Nel decreto del Miur la composizione dei test non è però l’unica novità che cambia le carte in tavola alle aspiranti matricole dei corsi di laurea a numero chiuso. Viene, infatti, introdotto per la prima volta un test unico per Medicina e Odontoiatria, e nelle varie università che dispongono di tutta l’offerta ci sarà comunque un’unica graduatoria sulla base della quale saranno gli studenti a scegliere a quale facoltà iscriversi. Altra novità, seppur in fase “beta”, sarà poi il fatto che i test saranno su base regionale e sarà pertanto possibile concorrere per più atenei grazie a graduatorie valide per diverse università della regione. Decise anche le date delle prove, si inizierà il 5 settembre con Medicina e Odontoiatria, mentre, per le aspiranti matricole di Architettura, l’appuntamento è due giorni dopo, il 7. Per quanto riguarda la facoltà di Veterinaria, il test d’ingresso è fissato per il 6 settembre. A concludere il giro saranno le professioni sanitarie il cui test di ingresso è previsto per l’8 settembre.
(Fonte: università.it 16-05-2011)
 
Il ritardo della cultura in Italia è ritardo della cultura scientifica PDF Stampa E-mail

Il pensiero di Croce, che per gli amanti delle etichette possiamo chiamare "filosofia dello spirito" o "storicismo assoluto", per dirla tutta, non pone neanche la differenza tra filosofia e scienza ma, più precisamente, tra giudizio e logica o giudizio e pratica e tutti - filosofi e no, scienziati e no - facciamo "uso" ora di questi ora di quelli, come ci fa più comodo o secondo bisogno e necessità. Croce dissolve semplicemente l'esistenza stessa delle discipline (ma non delle funzioni), né più né meno come fa Popper: «Per prima cosa, la mia disciplina non esiste perché le discipline non esistono. Non ci sono discipline, né rami del sapere o, piuttosto, d'indagine: ci sono soltanto problemi e l'esigenza di risolverli...» e via così secondo il maggior epistemologo del Novecento. La verità è che il dibattito sul ritardo della cultura scientifica italiana è in ritardo con se stesso. «Tutta la vita è risolvere problemi» diceva Popper come se citasse Croce che a sua volta diceva che tutta la vita è risolvere problemi sempre nuovi.

I problemi che abbiamo noi oggi non sono quelli del tempo di Croce il cui pensiero, che se è qualcosa di "anti" è anti-metafisico, pur ci può ancora servire come "strumento di lavoro". Se la cultura scientifica italiana è in ritardo è soprattutto perché il sistema scolastico e universitario non "produce" più né tecnici, dei quali c'è gran bisogno, né teste pensanti delle quali c'è sempre penuria. E cosa produce? Carte, diplomi, lauree, attestati insomma il "possesso del sapere" che l'illusione di sapere qualcosa. Ecco perché il ritardo della cultura in Italia è ritardo della cultura scientifica perché è ritardo della cultura della libertà.

Dai professori non viene mai la critica al nostro sistema dell'istruzione e della ricerca se non in termini di potenziamento statale in nome del dogma del "pubblico" che in realtà è un monopolio.

Tuttavia, il ritardo - in qualsiasi campo, non solo in quello scientifico - si recupera se si è disposti a riconoscere che la "scienza" (qualunque cosa sia) si fonda non sulle cattedre e i titoli ma sulla libertà e le sue lotte che è il mondo nel quale Croce visse e operò.
(Fonte: G. Desiderio, Il Riformista 17-05-2011)
 
La riforma della ricerca universitaria. La scuola dei sindacati PDF Stampa E-mail

"Molti professori universitari (fortunatamente non tutti) sono oggi in grande agitazione, occupano rettorati, proclamano scioperi. Sono forse impegnati a ottenere dal governo un eccellente provvedimento che, come quello voluto da Tony Blair in Gran Bretagna, aumentando le tasse studentesche, possa servire al rilancio dell'Università? Oppure protestano perché il governo non ha ancora rimediato ai guasti prodotti dall’applicazione della riforma detta "del tre più due", voluta dal precedente governo di centro sinistra? Assolutamente no. Disinteressati alle vere ragioni del degrado del sistema universitario, si agitano per tutt'altro. Protestano contro quella che, in perfetto sindacalese, chiamano "precarizzazione". Ce l'hanno con la ventilata riforma dello stato giuridico dei docenti volta a introdurre anche in Italia ciò che esiste in tutte le buone università straniere: contratti di ricerca, anziché "posti di ruolo", nella fase iniziale della carriera accademica. Spalleggiati dalla sinistra strillano in difesa del "posto fisso". Questo brutto episodio di agitazione corporativa può essere l'occasione per dare la sveglia a chi fa orecchie di mercante sullo stato del nostro sistema di istruzione. Mentre si discute del "riformismo" e dei suoi limiti all'interno della sinistra, mi pare utile porre qualche domanda ad alcuni colleghi professori che sono anche, guarda caso, leader dello schieramento detto riformista: il professor Romano Prodi, il professor Giuliano Amato (cui spetta la responsabilità di redigere il programma della sinistra riformista), il professor Arturo Parisi e altri ancora. Come mai non si è sentita ancora una parola di autocritica, da parte della sinistra riformista, sulle politiche dell'istruzione (Università, ma anche scuola) dell'epoca del centrosinistra? E come mai la suddetta sinistra riformista non ha ancora preso le distanze dalle rivolte corporative in atto? Vi siete chiesti perché le corporazioni sono in rivolta contro la Moratti ma non lo furono contro i ministri di centrosinistra? Non fu forse perché quei ministri si guardarono dal fare riforme in contrasto con gli interessi corporativi vigenti? Penso che i suddetti professori-leader sappiano che, per com’è stata attuata, la riforma "del tre più due" sia stata, soprattutto nelle facoltà umanistiche, una iattura. E penso che sappiano che la riforma dello stato giuridico proposta dal ministro Moratti sia, nel complesso, una buona riforma. Perché non lo dicono? E, soprattutto, perché non ci dicono cosa faranno di diverso da quello che fecero quando erano al governo se vinceranno le elezioni del 2006? Lo stesso discorso vale per la scuola. I sindacati fanno la guerra al ministro Moratti. Si capisce perché. E' dai tempi della DC che la scuola è gestita, di fatto, da un’alleanza perversa fra i sindacati della scuola e i funzionari della Pubblica Istruzione. Ma solo dei folli possono pensare che una scuola sul cui funzionamento i sindacati hanno l'ultima parola possa essere una buona scuola. L'ipoteca sindacale sulla scuola non fu affatto spezzata all'epoca del centrosinistra. E persino un buon ministro come Letizia Moratti quando fa passi falsi, li fa per tenere buoni i sindacati. Ai riformisti della sinistra è lecito chiedere di non perseverare, di non lasciare più l'ultima parola ai sindacati il giorno in cui torneranno al governo. Non so se la si possa qualificare "riformista" ma è certo che una "buona" politica dell'istruzione, se davvero tale, è il frutto di un’elaborazione autonoma, non dell'asservimento al volere di corporazioni e sindacati".

Come dire che bisognerebbe sentire tutte le campane, e non giudicare solo per pregiudizio ideologico. Ma in Italia non abbiamo scampo: una riforma, per quanto buona, valida e utile sia, se viene fatta dalla controparte politica, è sempre obbrobriosa (questo vale per entrambe le parti).
(Fonte: A. Panebianco, acpadova.it 17-05-2011)
 
CUN: senza finanziamenti non ci sarà modernizzazione PDF Stampa E-mail

Le istituzioni universitarie sono pronte a contribuire attivamente al processo di riforma degli atenei ma per realizzare il percorso verso la modernizzazione del sistema universitario, cosi come delineato dalla legge, questo deve essere accompagnato da un'adeguata politica di finanziamento mentre con l'ulteriore taglio del 5 % delle risorse, così come previsto per il 2012, sarebbe difficilmente sostenibile. E quanto emerso al termine dell'audizione del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), svolta al Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dedicata alla comunità accademica impegnata nel recepimento e nell'attuazione della riforma universitaria. Sono oltre 200 i rappresentanti del sistema universitario presenti all'incontro e 50 le richieste di audizione. «Certamente - ha sottolineato Andrea Lenzi, presidente del CUN - il percorso verso la modernizzazione, la razionalizzazione del sistema universitario, perché consegua il proprio naturale obiettivo, ossia quello di rendere gli Atenei italiani, e con essi gli studiosi italiani, più competitivi a livello europeo e internazionale, deve essere accompagnato, e aiutato, da un'adeguata politica di finanziamento. In questo senso, va detto, con chiarezza, e il Ministro ne è consapevole, che un ulteriore taglio del 5% delle risorse, già previsto per il 2012, sarebbe difficilmente sostenibile».

La revisione degli Statuti universitari e il nuovo modello di governance, punto cardine della legge Gelmini, è anche il tema più discusso della giornata: la distinzione fra i poteri accademici e la nuova definizione delle funzioni dei diversi organi di governo degli atenei, sancita dalla legge, secondo il CUN, «deve essere poi orientata verso una più puntuale definizione dei compiti per garantire un bilanciamento e un equilibrio fra i diversi poteri decisionali e una più chiara individuazione delle responsabilità». L'abilitazione scientifica nazionale dei concorsi e il reclutamento a ''chiamata locale'' è un passo decisivo verso il riconoscimento la valorizzazione del merito. Il CUN «ritiene di potere assolvere un ruolo determinante per predisporre gli indicatori di qualità dei candidati e dei commissari per l'abilitazione e per monitorare le varie forme di chiamata locale messe in atto dagli atenei». Cambia radicalmente anche l'organizzazione degli atenei, stabilisce la riforma: i dipartimenti si dovranno occupare di didattica e di ricerca. «Gli atenei - ha sottolineato Lenzi - sono pronti a rivoluzionare l'organizzazione ma si aspettano che le diverse e nuove attività possano essere definite tenendo conto dei contesti socio-economici e territoriali delle singole istituzioni universitarie».

Siamo di fronte a un processo di revisione profondo delle geometrie interne agli atenei - ha aggiunto il presidente del CUN - in cui il ruolo dei dipartimenti viene ridefinito per assumere nuove funzioni di raccordo fra didattica e ricerca. L'università non può svolgere solo attività di didattica o di ricerca e le due cose non possono essere distinte». Per Lenzi «la ricerca va declinata in didattica perché deve essere finalizzata anche ad insegnare ai giovani a ricercare, criticare, sviluppare le loro idee e a ''fare rete'' con i colleghi, così come accade nei laboratori di ricerca più prestigiosi del mondo».
(Fonte: ustation.it 12-05-2011)
 
Guida alle università PDF Stampa E-mail
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(Fonte: http://www.ustation.it/universita)
 
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