Home 2011 26 Febbraio
26 Febbraio
Il rafforzamento della governance degli atenei nella L. 240/10 PDF Stampa E-mail
Il rafforzamento della governance ha due aspetti: l’identificazione del CDA come il vero, unico organo deliberante dell’ateneo e l’attribuzione di un potere enorme al rettore. Alle prerogative fissate dalla legge (tra cui spiccano le “funzioni d’indirizzo, d’iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche”, la “proposta del direttore generale”, l’“iniziativa dei procedimenti disciplinari”), va aggiunto dell’altro. La riforma lascia agli statuti la decisione sulla modalità d’ingresso nel CDA tra “designazione” o “scelta”. E’ evidente che i rettori potrebbero avere un peso decisivo sui nuovi ingressi, ciò che renderebbe del tutto particolare la loro forza nell’unico organo deliberante dell’ateneo. A fronte di tutto questo, la sancita responsabilità del rettore “del perseguimento delle finalità dell’università, secondo criteri di qualità e nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e promozione del merito” è un’affermazione che non ha nessun reale contenuto. Suvvia, siamo realistici: il massimo cui si può pensare, se quei criteri e principi non saranno rispettati, è qualche contestazione o qualche denuncia pubblica, e i rischi maggiori su un terreno così scivoloso potrebbero esser corsi da chi contesta e da chi pubblicamente denuncia. Discutibile è poi la decisione, raggiunta nella fase conclusiva dell’iter parlamentare, di un mandato unico di sei anni: come garanzia di assenza di condizionamenti all’attività del rettore è alquanto debole, se non proprio risibile. I rettori non sono stati vittime nella deriva dell’ultimo decennio! Ad ogni modo, sei anni sono un tempo molto lungo: una fisiologica, più celere alternanza, una sana intercambiabilità di ruoli, lo spirito di servizio piuttosto che gli investimenti personali, non sono aiutati da un mandato così lungo. Il rettore-sovrano è un ritorno al passato, per certi aspetti addirittura al passato pre-autonomia, quando il diretto rapporto ministro-ministero-rettore aveva un discreto peso nei piani di sviluppo degli atenei. C’è infine un altro motivo per non farsi illusioni sulla rilevanza del mandato unico: un’alleanza rettore-direttore generale (ex direttore amministrativo) sarà sufficiente per creare una dinastia! Un’eventualità, questa, forse completamente oscura ad alcuni difensori o consiglieri della riforma Gelmini. Questo tipo di governance non crea il miglior contesto possibile in cui un giovane davvero brillante, desideroso di costruire, ma, per temperamento, indipendente e non disposto a ossequiare gruppi di potere, scelga di entrare.
(P. Potestio, NFA 10-02-2011)
 
All’università Carlo Cattaneo (LIUC) già attuata la riforma del CDA PDF Stampa E-mail
"Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione - commenta A. Taroni, presidente della LIUC - così come per altri aspetti legati alla gestione dell'ateneo, si tratta di normative già ampiamente praticate dalla nostra Università che, essendo privata, è già abituata a far conto su risorse proprie. Il nostro CDA è composto in maggioranza da membri esterni ed è netta la distinzione tra i suoi compiti e quelli del Senato Accademico; è già inoltre presente la figura del Direttore Generale. Devo dire che questa situazione ha dimostrato negli anni la propria validità organizzativa". Più complesso appare invece l'iter dal punto di vista dei nuovi modelli organizzativi per le Università pubbliche, che vanno incontro a mutamenti radicali in fatto di governance e che dovranno modificare i loro statuti. Su questo punto afferma: "È indispensabile mettere quanto prima gli atenei – che devono a loro volta avviare la revisione dei rispettivi statuti - nella condizione di conoscere i criteri di ammissione all'eventuale sperimentazione di particolari modelli funzionali e organizzativi in deroga, com’è previsto, alle disposizioni della legge".
(Il Sole 24 Ore 31-01-2011)
 
Sul reclutamento dei ricercatori nella L. 240/10 PDF Stampa E-mail

Com’è noto il ruolo dei ricercatori è stato messo a esaurimento dalla Riforma Moratti (Legge 230 del 2005). Gli effetti di questa disposizione erano però rinviati al 2013. La legge Gelmini dispone  invece che fin da ora non possano essere più banditi posti di ricercatore “a tempo indeterminato” (art. 29, comma 1). Questo significa che la posizione di professore associato diviene la prima posizione accademica di ruolo. Ci saranno però “ricercatori a tempo determinato” (Art. 24), con compiti di ricerca e di didattica analoghi a quelli degli attuali ricercatori. Essi saranno titolari di un “contratto di lavoro subordinato” con l’università. Secondo l’Art. 24 i contratti di ricercatore saranno di due tipi: a) e b).

I contratti di tipo a) corrispondono a posizioni “post-dottorali” delle quali non è prevista la trasformazione in posti permanenti (non sono cioè, secondo la terminologia corrente, “tenure track”). La durata massima di questi contratti è di cinque anni (tre anni con un possibile rinnovo di due anni), anche se usufruiti in sedi diverse.

I contratti di tipo b) corrispondono a posizioni cosiddette “tenure track” cioè posizioni suscettibili di trasformarsi in posizioni permanenti nel ruolo dei professori associati. I contratti di tipo b) possono essere stipulati solo con chi ha usufruito per almeno tre anni di contratti di tipo a), ovvero, sempre per almeno tre anni, di assegni di ricerca o borse postdottorali in Italia o di analoghe posizioni all’estero.

I ricercatori di tipo b) che conseguono la “abilitazione scientifica” sono “valutati” dall’università “ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato”, che è deliberata a maggioranza (dei professori di prima e seconda fascia) dal dipartimento competente. Non è previsto che il ricercatore di tipo b) in possesso di abilitazione sia immesso direttamente nei ruoli di professore associato, tuttavia la valutazione (aggiuntiva a quella dell’abilitazione) operata dall’università dovrà riguardare solo l’attività scientifica e didattica del ricercatore. Un eventuale esito negativo non potrà quindi essere motivato da ragioni di bilancio. Infatti, la legge impone che l’università assicuri le disponibilità di bilancio necessarie per l’assunzione del ricercatore di tipo b) come professore associato nell’ambito della (obbligatoria) programmazione triennale delle risorse (Art. 24, comma 5). Una mancata valutazione o una valutazione negativa motivata da ragioni di bilancio sarebbero suscettibili di ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale o al Consiglio di Stato da parte dell’interessato. Non hanno quindi fondamento le critiche alla legge che lamentavano la possibilità di non procedere all’assunzione definitiva dei ricercatori di tipo b) abilitati, per carenza di fondi disponibili.

Si può ritenere che saranno molto rari i casi di ricercatori di tipo b) che conseguono l’abilitazione a professore di seconda fascia e non sono chiamati dall’università nella quale sono stati ricercatori. Per il reclutamento dei professori la selezione dei ricercatori di tipo b) è quindi il passo più importante.

La legge prevede che questa selezione sia disciplinata da un regolamento dell’ateneo, per il quale indica alcuni principi.  Come si è detto potranno partecipare a queste selezioni solo i soggetti che siano stati per almeno tre anni “ricercatori di tipo a)”, assegnisti o borsisti postdottorali. Ci sarà un bando di selezione, relativo a un “settore concorsuale” che, in generale, sarà più ampio degli attuali settori scientifico disciplinari. Tuttavia il bando stesso potrà indicare uno o più settori scientifico disciplinari tra quelli raccolti nel “settore concorsuale”. Sarà questa probabilmente la scelta di quasi tutti i bandi. Nella sostanza, come oggi, il bando sarà quasi sempre aperto solo agli specialisti di un settore scientifico disciplinare. Si prevede una valutazione preliminare dei candidati basata sul “curriculum” e sulla produzione scientifica. Tra il 10 e il 20 per cento dei candidati, e almeno sei di essi (tutti, se i candidati sono meno di sei), saranno ammessi a una successiva prova orale che consiste nella discussione dei titoli. Infine ci sarà una (proposta di) chiamata da parte del dipartimento con voto favorevole della maggioranza dei professori di prima e di seconda fascia (sono esclusi dal voto i ricercatori a tempo indeterminato). La chiamata sarà infine ratificata dal Consiglio di Amministrazione.

La selezione si svolge quindi a livello locale. In mancanza di regole o prassi consolidate che contrastino il cosiddetto “inbreeding”, si accentuerà probabilmente il localismo nelle assunzioni che caratterizza il sistema italiano.

La legge, però, cerca di contrastare il localismo (e il “nepotismo”) con tre disposizioni. La prima stabilisce che non possono essere assunti come ricercatori o docenti i parenti e gli affini (fino al quarto grado incluso) del rettore, del direttore amministrativo, dei membri del consiglio di amministrazione e dei docenti del dipartimento che effettua la chiamata (Art. 18, comma 1, lettera b) e lettera c). La seconda stabilisce che si deve prevedere, nella programmazione triennale delle risorse, che il 20% delle risorse siano impiegate per assumere personale estraneo all’ateneo (Art. 18, comma 4). La terza infine (Art. 5 comma 5) prevede che tra i criteri utilizzati nel valutare le università, ai fini della distribuzione di una quota del FFO rientri anche “la percentuale di ricercatori a tempo determinato in servizio che non hanno trascorso l’intero percorso di dottorato e post-dottorato […] nella medesima università”. L’unica disposizione non facilmente eludibile è la prima che, ovviamente, non è sufficiente per contrastare il localismo. In particolare la disposizione che riserva il 20% delle risorse programmate al reclutamento di “esterni” non impone, né può imporre, che questa riserva di risorse sia effettivamente impiegata per il reclutamento di esterni. Difficilmente percepibili da parte di chi fa le scelte, saranno poi i minuscoli ed eventuali vantaggi in termini di distribuzione di FFO associati all’assunzione di personale esterno.

Il fenomeno del localismo, cioè il fatto che in troppi casi l’intera carriera universitaria, dalla laurea al posto di prima fascia, avviene nella stessa sede, è già prevalente nell’università italiana.  E’ difficile quindi parlare di un peggioramento di questo fenomeno dovuto alla nuova legge. Si deve dire però che le recentissime norme sulla formazione delle commissioni di concorso a ricercatore che prevedevano commissioni formate da tre docenti di prima fascia di cui due esterni alla sede che aveva bandito il concorso, stavano già producendo importanti effetti di contrasto al localismo. La nuova legge costituisce quindi un passo indietro rispetto alle norme attualmente in vigore per il reclutamento al primo livello di docente.
(A. Figà Talamanca, NoiseFromAmerika 10-02-2011)
 
Sul reclutamento dei professori nella L. 240/10 PDF Stampa E-mail

Anche se (non diversamente da oggi) la maggioranza delle assunzioni avverrà attraverso la posizione di ricercatore (contratti di tipo b), la legge prevede assunzioni (e non solo promozioni) a livello di professore di seconda fascia e di prima fascia.

Per queste assunzioni la legge tenta di porre rimedio a uno degli ostacoli che rendono difficile, se non impossibile, l’assunzione di “esterni” al sistema e cioè i bassi stipendi iniziali. E’ prevista, infatti (Art. 8) una revisione della scala stipendiale che abolisce il periodo di straordinariato e la “ricostruzione della carriera” e cioè il parziale trascinamento dell’anzianità nel passaggio da un ruolo all’altro. La revisione dovrebbe dar luogo a uno stipendio iniziale pari a quello conseguibile con il massimo di “ricostruzione della carriera”. Si regalerebbero cioè a tutti quelli che entrano nei ruoli di professore otto anni di anzianità. Il costo di questa revisione dovrebbe essere modesto perché già ora quasi tutti i soggetti che entrano nei ruoli di professore hanno maturato dodici anni di anzianità nel ruolo precedente ed entrano quindi con otto anni di anzianità nel nuovo ruolo. L’effetto, tuttavia, sarebbe quello di offrire lo stesso stipendio iniziale nel ruolo sia agli esterni sia agli interni al sistema.

Requisito indispensabile (Art. 18) per entrare nei ruoli di professore di prima o seconda fascia è il conseguimento dell’abilitazione relativamente ad una fascia e a un “settore concorsuale” (Art. 16). Un’eccezione è prevista per gli studiosi “stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni pari a quelle oggetto del bando.”

I settori concorsuali saranno più ampi degli attuali settori scientifico disciplinari, perché è previsto il numero minimo di cinquanta professori di prima fascia afferenti al settore.

Per ogni settore concorsuale sarà nominata una commissione per l’abilitazione che resta in carica per due anni. Sarà composta di quattro professori di prima fascia appartenenti al settore concorsuale e da uno studioso straniero. I commissari appartenenti alle università italiane saranno scelti attraverso un sorteggio da una lista di autocanditati che non abbiano ricevuto una valutazione negativa della loro ultima relazione triennale sull’attività svolta. Lo “straniero” sarà sorteggiato da una lista curata dall’ANVUR (Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca).  Una disposizione intelligente stabilisce che se non è pronta la lista degli “stranieri” si sorteggerà un quinto italiano. Si potrà fare domanda per il conseguimento dell’abilitazione ogni anno, ma chi non consegue l’abilitazione dovrà aspettare due anni prima di ripresentare domanda.

E’ lecito chiedersi quanto severa potrà essere la selezione degli “abilitati”. Ovviamente non si può rispondere con sicurezza. Si può osservare però che, per lo meno per le abilitazioni di seconda fascia, non c’è alcun incentivo alla severità. Se mai gli incentivi vanno nella direzione opposta perché i settori concorsuali che hanno pochi “abilitati” avranno anche pochi “posti” di ruolo. Il caso della facoltà di medicina merita una considerazione a parte. Il fatto che la promozione ad associato non dia automaticamente diritto a un “primariato” rende, equivalenti, agli occhi di un professore di prima fascia, e dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, le posizioni di ricercatore e di professore di seconda fascia. Una commissione composta di professori di prima fascia non ha quindi ragioni di negare una promozione che non costa nulla a chi decide, e non incide sull’organizzazione delle cliniche. Diverso sarà il caso delle abilitazioni di prima fascia. In questo caso la relativa severità può servire ad alimentare, nei commissari, la fantasia di appartenere a un gruppo ristretto di “eccellenti”. Inoltre per le facoltà di medicina i commissari (come già avviene ora per le idoneità nei concorsi) potrebbero essere condizionati dalla disponibilità di posizioni “apicali” (primariati) nelle università di appartenenza dei concorrenti all’abilitazione. Dobbiamo tuttavia osservare che chi si offre di diventare commissario per l’abilitazione sarà probabilmente interessato all’abilitazione di qualche candidato. Sarà quindi disponibile a trattare con gli altri commissari per favorire il suo protetto. E’ quello che avviene nelle commissioni di concorso, e che può avvenire più facilmente in assenza di una limitazione sul numero degli abilitati.

Possiamo in prima approssimazione concludere che, mentre l’abilitazione di prima fascia potrebbe costituire un ostacolo all’indiscriminata espansione del ruolo dei professori ordinari, anche in relazione all’esistenza di “primariati” disponibili, è probabile, invece, che l’abilitazione alla seconda fascia sia conseguita da tutti gli attuali ricercatori di ruolo che sono attivi nella ricerca (la stragrande maggioranza) e da tutti i ricercatori a tempo determinato di tipo b) che siano restati attivi nella ricerca dopo il conseguimento del dottorato.

La via formalmente ordinaria per entrare nei ruoli di professore, dopo aver conseguito l’abilitazione, è la partecipazione alle selezioni per le chiamate che sono regolate dai singoli atenei, e che prevedono un bando, una valutazione dei titoli scientifici e del curriculum, e una (proposta di) chiamata da parte del dipartimento competente ratificata dal Consiglio di Amministrazione. Ai fini di queste chiamate sono considerati “abilitati” anche i professori che sono in servizio al momento dell’entrata in vigore della legge. In altre parole, le stesse procedure di chiamata sono utilizzate per i trasferimenti. Per gli “idonei” non ancora chiamati, dei concorsi banditi sulla base della vecchia normativa (Legge 210/1998) continuano ad applicarsi le vecchie regole (Art. 29, comma 4), ma è prevista anche l’equiparazione dell’idoneità all’abilitazione (Art. 29, comma 8).

Si è parlato di via “formalmente” ordinaria, perché (Art. 24, comma 6) fino al 31 dicembre 2016 i ricercatori di ruolo e i professori associati che hanno conseguito l’abilitazione rispettivamente di seconda fascia e di prima fascia potranno essere chiamati direttamente alle posizioni per le quali sono abilitati, con le procedure previste dalla legge per i titolari di contratto di tipo b), e cioè in assenza di un bando di concorso cui possano partecipare altri soggetti. Cessato il periodo transitorio, resterà comunque in vigore la disposizione che regola la chiamata diretta del titolare di contratto di tipo b) che abbia conseguito l’idoneità ad associato. Non più del 50% delle immissioni in ruolo dovrebbe avvenire attraverso chiamate dirette. Nulla vieta, tuttavia, che anche attraverso i bandi aperti all’esterno sia prevalentemente promosso personale interno, come già avviene per i concorsi previsti dalla vecchia normativa.

Si può concludere che le nuove procedure di reclutamento e promozione non contrasteranno e forse accentueranno l’attuale localismo. Tuttavia, la revisione della scala stipendiale dovrebbe rendere almeno possibile l’assunzione di esterni come professori di prima o seconda fascia. Certamente le assunzioni di esterni nei ruoli di docente resteranno un fenomeno raro.

Dobbiamo allora chiederci fino a che punto la pressione degli “abilitati” che chiedono di essere promossi al livello della loro abilitazione consentirà agli atenei di reclutare giovani, come ricercatori a tempo determinato di tipo b).

Ovviamente tutto dipenderà dai fondi a disposizione, fondi che proverranno dal pensionamento in atto dell’attuale personale docente. Possiamo tuttavia essere sicuri che la promozione degli “interni” abilitati avrà la precedenza sull’assunzione di personale potenzialmente a tempo indeterminato come i ricercatori di tipo b). Questo si applicherà in particolare alla promozione dei ricercatori di ruolo abilitati alla docenza di seconda fascia. Essi, infatti, al contrario dei giovani “esterni” votano per l’elezione del rettore e del direttore del dipartimento. Inoltre, in quasi tutti i casi, i ricercatori di ruolo svolgono le funzioni didattiche che spettano ai professori di ruolo e possono rifiutarsi di svolgerle, dal momento che queste funzioni non sono obbligatoriamente previste dal loro attuale stato giuridico.

Nella sostanza, le nuove disposizioni di legge aprono la strada alla promozione ad associato di tutti gli attuali ricercatori di ruolo attivi nella ricerca, cioè la stragrande maggioranza. Ne seguirà anche che i fondi disponibili a seguito dei pensionamenti saranno spesi, in gran parte, per le sedi e per i settori che contano il maggior numero di ricercatori di ruolo. In particolare i fondi andranno alle Facoltà di Medicina che hanno maggiormente “beneficiato” dell’immissione nei ruoli di ricercatore dei “tecnici laureati”, a loro volta frutto di assegnazioni clientelari di posti di tecnico, o “assegnisti della legge sulla disoccupazione giovanile” al di fuori di qualsiasi programmazione. Si sarà persa così l’occasione di sfruttare il corrente e imminente massiccio pensionamento del personale docente per una distribuzione più razionale del personale tra le diverse sedi e all’interno di ciascuna sede.
(A. Figà Talamanca, NoiseFromAmerika 10-02-2011)
 
Sui ricercatori a tempo determinato nella L. 240/10 PDF Stampa E-mail

I ricercatori a tempo determinato anche se formalmente simili alla posizione di assistant professor USA (sei anni) formalmente sono divisi in due periodi triennali. Per usare la terminologia del post, sono un contratto di tipo a) per i primi tre anni, e diventano uno di tipo b) nei secondi tre. Quindi in teoria sarebbe possibile reclutare un ricercatore TD per tre anni e poi buttarlo fuori, reclutando qualcun altro. La situazione che si è creata con il passaggio parlamentare è diversa da quella iniziale. In particolare, non ha più senso parlare di "6 anni" di tenured trek, ma solo di 3, quelli da RTD(b). Quando uno ha un contratto da RTD(a), non matura alcun diritto soggettivo per un RTD(b), e anzi deve concorrere in un normalissimo concorso per averlo. L'unica cosa che può ottenere è un prolungamento di altri 2 anni del suo iniziale contratto da 3. Ed è fatto apposta, non è un "comportamento suicida", ma solo il mezzo giuridico e sociale per eliminare qualcuno senza aspettare ancora dell'altro tempo.

I contratti di tipo a) corrispondono a posizioni “post-dottorali” delle quali non è prevista la trasformazione in posti permanenti (non sono cioè, secondo la terminologia corrente, “tenure track”). Però esistono ed esisteranno ancora gli assegni di ricerca (Art. 22), che anzi diventeranno l'esclusivo strumento d’ingaggio per giovani ricercatori in attesa di poter eventualmente concorrere per un RTD(a), o financo per un RTD(b) - infatti, è stata tolta l'"esclusiva" agli RTD(a) per il concorso a RTD(b), basteranno 3 anni di esperienza con assegni o con borse post-doc, anche all'estero. Ovviamente tutto dipenderà dai fondi a disposizione, fondi che proverranno dal pensionamento in atto dell’attuale personale docente. Mentre si filosofeggia sui fondi a disposizione, nel testo del tradizionale decreto milleproroghe di fine anno, questa volta, manca la proroga degli "sconti" nel calcolo della spesa in stipendi degli atenei (assegni fissi: AF) forniti da un "computo ridotto" del personale medico (per quelle Università con Facoltà di Medicina). Questi "sconti" erano sempre stati concessi negli ultimi anni, onde evitare il repentino peggioramento del rapporto AF/FFO oltre il 90%, che causerebbe il blocco delle assunzioni per quelle Università. Ora, la novità di oggi è che la Commissione Bilancio del Senato ha espresso parere contrario "per mancanza di copertura" a tutti gli emendamenti al decreto milleproroghe che avrebbero consentito di prorogare gli "sconti". Quindi oltre ai fondi, vanno tenute presenti queste "tagliole", oltre che le già note limitazioni (tipo percentuali) "per singola fascia".
(Renzino l'Europeo, 10-02-2011)
 
Altri articoli...
« InizioPrec.12345678910Succ.Fine »

Pagina 9 di 15