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23 Dicembre
La riforma universitaria: premi al merito. I poteri dei cda. I ricercatori. La valutazione PDF Stampa E-mail

Premi al merito
Un contenitore ad hoc per i premi collegati al merito; il diritto a essere rappresentati nel CDA, nel senato e accademico e nel nucleo di valutazione degli atenei; la possibilità di partecipare alle commissioni paritetiche per il monitoraggio della didattica. Sono le principali novità che la riforma Gelmini introduce per gli studenti. Senza però stanziare nuovi fondi.

Su 29 articoli della riforma Gelmini ce n'è uno che interessa in particolare gli iscritti ai corsi universitari: il 14 che crea presso il ministero dell'Istruzione un fondo con cui «promuovere l'eccellenza e il merito tra gli studenti», dopo averne valutato le capacità attraverso prove standard lungo tutto lo Stivale. Il fondo potrà erogare premi di studio, anche sotto forma di esperienze di studio all'estero, buoni studio (che andranno restituiti parzialmente tranne che dai laureati con il massimo dei voti) e finanziamenti a tassi agevolati garantiti dallo stato. Tutti gli strumenti elencati saranno cumulabili con le borse attualmente corrisposte dalle regioni.

Per essere operativo il fondo - che sarà gestito dal Miur di concerto con il MEF - necessiterà di uno o più decreti ministeriali di viale Trastevere con cui saranno decisi, ad esempio, gli importi massimi dei buoni e delle borse di studio o il contributo chiesto agli studenti sui finanziamenti ricevuti. Ad alimentarlo ci penseranno i versamenti di privati, enti e fondazione, i trasferimenti pubblici di volta in volta disposti e i contributi versati dagli stessi destinatari dei finanziamenti agevolati. Gli eventuali mecenati potranno poi essere chiamati a fare parte di un comitato consultivo insieme ai rappresentati dei dicasteri e ai membri designati dal consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu). Un altro intento del ddl è di coinvolgere i destinatari dell'offerta formativa nella gestione degli atenei. Lo testimonia l'articolo 2 che sancisce il diritto degli studenti di essere rappresentati sia nel consiglio di amministrazione sia nel senato accademico. E lo stesso varrà per il nucleo di valutazione. Ma gli studenti potranno dire la loro anche sulla qualità della didattica e sui servizi offerti dal corpo docente. Non solo nelle assemblee ma anche affiancando i professori in un'apposita commissione paritetica che, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, potrà essere costituita in ogni dipartimento. (Eu. B.)

I poteri dei CDA
Fondi sempre più «meritocratici», e gestione «manageriale» delle risorse. È una delle idee guida della riforma universitaria, che prova a concretizzarla in due modi: un ruolo forte del consiglio di amministrazione (massimo 11 membri, di cui tre esterni), che avrà il compito di approvare i programmi finanziari e di personale, approvare i bilanci e dire la sua sulla «sostenibilità finanziaria di ogni iniziativa». La quota premiale (oggi è di circa 550 milioni, il 7% del fondo ordinario), distribuita in base ai risultati degli atenei e prevista dal decreto Gelmini del 2008, dovrà poi crescere almeno dello 0,5% l’anno. Nei parametri di virtuosità chiamati a guidare la distribuzione dei premi, poi, entra anche il peso degli stipendi sul totale delle risorse e l'entità dei progetti di ricerca nazionale e internazionale messi in campo. Fín qui le proposte per il futuro, ma il presente è un po' più problematico. Mentre si discute dei prossimi anni, non sono ancora stati distribuiti i premi per il 2010, perché la discussione sui criteri si è incagliata prima dell'estate e, complice il complicato iter parlamentare della riforma che ha catalizzato l'attenzione degli addetti ai lavori, non si è più arrivati alla soluzione del problema. Anche sul personale, la realtà è più prosaica. Giusto ieri il milleproroghe ha confermato gli «sconti» sui calcoli della spesa per il personale convenzionato con il servizio sanitario, che salva (solo contabilmente) una ventina di atenei dal superamento dei limiti massimi di spesa. (G. Trovati)

I ricercatori
Addio progressivo al ruolo dei ricercatori, che sarà assorbito (in parte) con il piano straordinario per le assunzioni ad associato previsto dalla legge di stabilità. Nell'università ridisegnata dalla riforma, i ricercatori saranno a tempo determinato, e la loro attività sarà regolata da contratti triennali: massimo due (il primo allungabile per altri due anni). Nel corso di questa fase, pensata per "testare" chi è adatto alla carriera accademica, i ricercatori potranno concorrere per l'abilitazione nazionale al ruolo di associato. I ricercatori saranno sottoposti anche al giudizio dell'ateneo: se l'università giudica positivamente un proprio ricercatore, è tenuta a blindare nel bilancio le risorse necessarie alla sua assunzione. Per diventare ricercatori, naturalmente, bisognerà superare un concorso, il cui bando va pubblicato sul sito dell'ateneo e su quelli di ministero e unione europea. Nella selezione, che per la prima volta prevede obbligatoriamente il superamento di una prova di lingua straniera, saranno prima di tutto valutati i titoli e le pubblicazioni; continua a essere possibile fissare un tetto al numero di pubblicazioni presentabili, che però non potrà essere fissato sotto quota dodici. Dopo una valutazione preliminare, i candidati migliori saranno amméssi a una discussione pubblica, che si concentrerà sempre su titoli e produzione scientifica; divieto assoluto di esami scritti od orali, con l'unica eccezione della prova di lingua. Chi supera la prova otterrà il contratto che, a differenza di quanto accade oggi, specificherà anche gli obblighi di didattica e servizi agli studenti. (G. Trovati)

La valutazione
Valutazione è una delle parole che ricorrono più spesso all'interno del disegno di legge Gelmini. E da cui dipenderà buona parte dei destini di atenei e docenti. Ma per pesarne l'impatto reale bisognerà attendere le norme di attuazione. Lo testimonia l'articolo 5 del provvedimento che affida a uno o più decreti legislativi il compito di fissare i criteri per introdurre meccanismi premiali a favore delle università che si distinguano, ad esempio, per un'efficiente politica di reclutamento o per i risultati conseguii in termini di didattica o di ricerca. Nel farlo l'esecutivo dovrà tenere conto dei suggerimenti dell'agenzia nazionale per la valutazioni (Anvur). Qualche paletto è comunque introdotto già dal ddl Gelmini. Ad esempio sul numero di ore che docenti e ricercatori dovranno effettivamente dedicare a studio, ricerca e insegnamento: 1.500 ore se assunti a tempo indeterminato, che scendono a 750 in caso di tempo definito. Con la previsione ulteriore che i professori ne dedichino almeno 350 alla didattica e al servizio agli studenti (250 in caso di contratto a tempo determinato). Limite che per i ricercatori è fissato, rispettivamente, a 350 e 250 ore. Il rispetto delle prescrizioni andrà autocertificato dai diretti interessati in base alle modalità decise dai regolamenti de-si singoli atenei. Un margine di autonomia che varrà anche perle attività di verifica che dovranno però conformarsi a dei criteri oggettivi stabiliti dall'Anvur. (Eu. B.)

(Il Sole 24 Ore 23-12-2010)
 
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