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23 Dicembre
La riforma Gelmini secondo il Presidente della CRUI PDF Stampa E-mail

«I processi devono arrivare a una conclusione, e ora bisogna chiudere. Se nel testo ci sono aspetti da rivedere, c'è la possibilità di farlo con i decreti attuativi. Ma è fondamentale che a gennaio si possa partire, tanto più che le risorse minime per il 2011 sono state assicurate».

Meglio correggere in corsa? «Certo. Scommettiamo sulla fattibilità della legge, sulle nuove forme di reclutamento, sulle garanzie di competitività, sulla valorizzazione delle carriere. Sono tutti elementi che non sempre sono stati compresi, e che invece dovrebbero togliere molte ombre allo stato d’incertezza in cui ora vivono i giovani».

Il dissenso nasce da un'errata percezione della riforma? «In parte sì. Ma vedo anche non poca ideologia. E su questo punto c'è poco da fare. Trovo comunque paradossale protestare contro il Parlamento in un'occasione in cui si è fatto un grande lavoro, da parte di maggioranza e opposizione, per migliorare la riforma. Fosse avvenuto o avvenisse più spesso... ».
(Corsera 20-12-2010)
 
Tutti i contributi sulla riforma universitaria messi in rete da Lavoce.info PDF Stampa E-mail
Lavoce.info ha seguito da vicino il dibattito sulla riforma dell'università e mette a disposizione non solo i contributi più significativi ma anche le proposte che ha ospitato nel corso del 2010 (http://www.lavoce.info/dossier/pagina2962.html)
 
Al centro (il MIUR) la responsabilità di governare il sistema dopo la riforma PDF Stampa E-mail

Pochi hanno sottolineato che la Gelmini potrà passare alla storia come l’unico ministro, dopo Giovanni Gentile, ad essere riuscito a riformare (dal punto di vista legislativo, s’intende) sia la scuola superiore sia l’università.

Governance degli atenei, concorsi, valutazione: dopo la riforma cambierà poco e anzi, se nei nuovi statuti, che le università dovranno approvare entro sei mesi, non si presterà attenzione agli equilibri tra strutture di primo livello (i dipartimenti) e le strutture di secondo livello (le facoltà o schools) potrebbero nascere significativi problemi nell’organizzazione dell’offerta formativa, con danni evidenti per gli studenti.

C’è una questione strategica, però, che non è affrontata dalla riforma dell’università: il ruolo del centro del sistema. Perché un sistema universitario funziona non solo se le singole università funzionano, ma anche se il centro del sistema fa bene il suo mestiere.

E nei paesi occidentali i “centri” garantiscono che una serie di funzioni siano svolte in modo preciso e con tempistica adeguata: l’allocazione dei fondi, la valutazione periodica, la statuizione degli obiettivi di sistema da raggiungere. Queste attività essenziali sono svolte malamente dal centro del sistema universitario (il ministero insomma).

L’allocazione dei fondi alle università pubbliche avviene ormai con un anno di ritardo. La valutazione è fatta con modi e tempi discutibili. La valutazione della ricerca è stata fatta una volta agli inizi del decennio (senza essere usata in modo rilevante per l’allocazione delle risorse) e la seconda tornata è appena iniziata (quando finirà?). La valutazione finalizzata all’assegnazione di parte del finanziamento pubblico è sempre operata in modo tale da non “premiare” davvero le università migliori e da “non danneggiare” troppo le università peggiori.

Così, alla fine della fiera, nessuno la prende mai sul serio questa benedetta valutazione. Gli obiettivi di sistema (che in Italia sono stabiliti con un piano triennale) sono sempre, e da sempre, in ritardo (il piano 2010-2012 è in fase di approvazione e sarà emanato a inizio 2011).

Insomma, il nostro centro del sistema fa davvero male le cose che dovrebbe fare, e questo crea un disincentivo strutturale alle attese azioni virtuose degli atenei e delle corporazioni accademiche.

Se il centro non “guida” bene, è tutto il sistema a risentirne.

Non c’è nulla nella nuova legge per correggere questi tratti persistenti del “centro”. Le cose funzionerebbero certamente meglio (e anche la stessa attuazione della riforma) se il centro del sistema facesse meglio le cose che sono chiamato a fare, viste le responsabilità che gli competono.

E allora, se la legge assegna un bel compitino alle università (che nei prossimi mesi dovranno ridisegnare i loro assetti interni, pena un intervento ministeriale), è il caso di assegnare il compitino anche al centro del sistema.

Sarebbe opportuno che, ad esempio: i decreti attuativi siano emanati nei tempi previsti (anzi, con qualche settimana di anticipo); la programmazione triennale sia rimodulata per renderla realistica (che il piano in corso di approvazione sia quello per il triennio 2011-2013, perché tanto se si salta il 2010 non se ne accorge nessuno); il finanziamento pubblico 2011 sia assegnato entro e non oltre la fine del prossimo gennaio; sia immediatamente esplicitato come saranno utilizzati i risultati della valutazione della ricerca in corso di svolgimento; sia immediatamente programmata un’attività di monitoraggio dell’attuazione della riforma appena approvata.

Insomma, che il centro cominci a governare il sistema e non indulga nel solito errore di pensare che l’approvazione di una legge abbia risolto i problemi.
(G. Capano, Europa 23-12-2010)
 
La riforma universitaria: assegni di ricerca. Trasferimenti. Coniugi di professori e rettori. Accesso al tenure-track. Precariato. Pensionamento. Le quote per gli "esterni" PDF Stampa E-mail

Assegni di Ricerca
Ad un certo punto gli assegni di ricerca valevano il 75% dello stipendio di un ricercatore. Era scritto nel testo licenziato dal Consiglio dei Ministri. Poi l'aumento scomparve. Poi, in Commissione Cultura Camera, passò un emendamento di Aprea per aumentarlo a 20.000 euro annui. Poi in Aula anche questo emendamento è scomparso. E ora?

Trasferimenti
C'è stato un momento in cui i ricercatori non potevano trasferirsi da una sede all'altra. La riforma ha abolito le procedure di trasferimento previste dalla legge Berlinguer. I professori che vorranno trasferirsi dovranno partecipare ai concorsi insieme agli altri concorrenti. Fin qui tutto ok. C'e' pero' un problema: che il ddl mette in esaurimento i ricercatori a tempo indeterminato e quindi non ci saranno piu' concorsi da ricercatore a tempo indeterminato. La conseguenza e' che per i ricercatori sarebbe stato impossibile trasferirsi da una sede all'altra. Eppure il provvedimento tiene a precisare di voler favorire la mobilità. Dell'errore ci si e' accorti in extremis, quando il testo e' arrivato in Aula alla Camera. Un emendamento del Governo ha reintrodotto le procedure di trasferimento previste dalle legge Berlinguer per i ricercatori.

Coniugi di professori e rettori
A norma di legge il "coniuge" non è ne' parente ne' affine, perche' non ci sono legami di consanguineita'. Di conseguenza la norma anti-parentopoli fa salvi i coniugi, che potranno continuare senza problemi ad essere assunti nello stesso Dipartimento del marito o della moglie. Una svista voluta?

Accesso al tenure-track
La tenure-track e' il percorso che dal precariato porta all'inquadramento nel ruolo di professore associato. Essa e' regolata dai contratti da ricercatore a tempo determinato art. 24, comma 3 lettera b. Il DDL prevede un meccanismo molto complicato: per accedere a questi contratti bisogna prima svolgere 3 anni di contratto da ricercatore a tempo determinato senza tenure-track (comma 3 lettera a). Sarebbero quindi rimasti tagliati teoricamente fuori tutti gli attuali precari. Per il rotto della cuffia, l'ultimo giorno in Aula alla Camera, è passato un emendamento del Pd, riformulato dal Relatore, che permette anche agli assegnisti e borsisti post-dottorato, in Italia o all'estero, con 3 anni di servizio di accedere a questi contratti (nel comma 3 lettera b dell'articolo 24). Ma nel riformulare l'emendamento del PD, il Relatore ha incluso i titolari di assegni o borse presso ATENEI stranieri. E un ricercatore precario che lavora al CERN di Ginevra o alla NASA (che non sono "atenei" ma centri di ricerca)? I tanti italiani che lavorano al CNRS in Francia e nei tanti enti di ricerca sparsi per il mondo? Rimangono tutti tagliati fuori. Resta il problema che non ci sono incentivi per gli atenei a bandire questo tipo di posti, cioè ricercatori tempo determinato con tenure-track. Gli atenei bandiranno solamente posti senza tenure-track, meno costosi e piu' "flessibili" per i loro bilanci. I giovani non avranno alcuna certezza per il futuro, purtroppo.

Precariato
Inizialmente il periodo massimo fruibile per assegni di ricerca e contratti da ricercatore a tempo determinato era 10 anni. Al Senato un emendamento del Relatore aumentava i contratti da ricercatore a tempo determinato senza tenure track fino a 5 anni, ma distrattamente lasciava inalterato il limite dei 10 anni. La conseguenza era che non si sarebbe stati in grado di completare il tenure-track. Alla Camera, si sono accorti dell'errore e il limite dei 10 anni è stato nuovamente riportato a 12.

Pensionamento
A un certo punto volevano mandare tutti in pensione a 65 anni. Nel testo licenziato al Senato, era stata abolita una norma della legge Moratti che poneva a 70 anni l'età' di pensionamento dei professori associati. Questo, per una serie di leggi abrogate e applicazioni di leggi precedenti molto datate, avrebbe comportato che l'età' di pensionamento sarebbe scesa a 65 anni - peraltro l'età' che sul Corriere della Sera aveva proposto proprio la Gelmini, salvo poi fare retromarcia! -. Alcuni sindacati di professori, per esempio il Cipur, avevano denunciato questo "rischio" (per loro). Purtroppo al Ministero devono essersi resi conto dell'"errore" e quindi hanno cambiato il testo quando esso è passato alla Camera. Quindi: prof ordinari in pensione a 70 anni e associati a 68.

Le quote per gli "esterni"
Questo era uno dei cavalli di battaglia, all'inizio, della Gelmini. "Ci saranno più esterni".
Infatti, il testo inziale prevedeva che 2/3 dei professori assunti nei primi 6 anni della riforma fossero "esterni", cioè non avessero prestano servizio presso l'ateneo nei precedenti 3 anni. Anche Irene Tinagli, in un editoriale su La Stampa, salutava con soddisfazione questa norma. Questa quota dei 2/3 però si è dimostrata assai fragile. In Commissione Cultura Senato si è passati da 2/3 a 1/2, quindi metà. E in Aula al Senato si e' scesi addirittura a 1/5.

(F. Amabile, La Stampa 22-12-2010)
 
Punti principali della riforma e critiche PDF Stampa E-mail

Ricercatori
I ricercatori non avranno più contratti a tempo indeterminato. Saranno assunti soltanto con contratti a tempo determinato per una durata massima di sei anni. Se al termine saranno assunti diventeranno professori associati altrimenti dovranno lasciare l’insegnamento e trovare un’occupazione diversa. Gli anni da ricercatori potranno rappresentare un titolo valido in caso di concorsi pubblici o come esperienza da inserire in un curriculum. Chi protesta avverte che la quantità di ricercatori da assumere a questo punto dipende non solo dalla performance dei ricercatore ma anche dai soldi a disposizione delle università che i tagli hanno drasticamente ridotto.

Abilitazione nazionale
Al posto di sostenere il concorso i futuri nuovi docenti associati e ordinari dovranno innanzitutto essere inseriti sulla base dei loro titoli e pubblicazioni in una lista di abilitazione scientifica nazionale. Sarà valida per quattro anni e realizzata da una commissione composta da quattro professori scelti su sorteggio. La selezione vera e propria avverrà in una seconda fase da parte delle singole università che sceglieranno il candidato ideale all’interno dei nomi presenti in lista. Chi protesta sostiene che in realtà le università potranno così scegliere liberamente i docenti e non ci sarà alcun ordine basato sul merito. L’abilitazione sarà concessa indiscriminatamente, senza limiti numerici (non previsti dalla legge). Tutti i posti saranno assegnati solo ed esclusivamente tramite chiamata diretta, e la commissione delegata a chiamare sarà composta da 4 membri del dipartimento che ha richiesto il nuovo docente.

I nuovi vertici delle università.
Il Senato accademico avrà poteri molto più limitati: avanzerà proposte di carattere scientifico, sarà invece il consiglio di amministrazione ad avere piena responsabilità per le assunzioni e delle spese. All’interno del CDA ci saranno almeno 3 membri esterni su 11. Il presidente potrà essere un esterno. La critica: il senato accademico (organo elettivo, che elegge rappresentati di tutte le categorie all’interno dell’università) è esautorato di gran parte dei propri poteri e è posto al di sotto del cda, dove la rappresentanza esterna può assumere un peso determinante. Il ddl prevede, infatti, l’ingresso obbligatorio non semplicemente facoltativo di un numero minimo di componenti esterni, in rappresentanza degli interessi privati.

Parenti no
Esiste un solo limite alle chiamate dirette di futuri docenti dalla lista nazionale. Non potranno essere scelti parenti fino al quarto grado, ovvero fino ai cugini, di chi lavora all’interno dello stesso dipartimento di un ateneo. All’interno di una stessa università invece non potranno essere assunti i parenti del rettore, del direttore generale e dei componenti del CDA. Chi protesta ricorda che non sono stati previsti limiti per un altro tipo di parentopoli molto diffusa, quella tra marito e moglie. E che comunque i parenti assunti nello stesso dipartimento sono una parte limitata del fenomeno. Quella più diffusa prevede accordi incrociati per sistemare i rispettivi raccomandati in altre sedi.

Il fondo per il merito
Le borse di studio saranno affiancate da una novità, il fondo per il merito. Il fondo permetterà di premiare coloro che lo meriteranno ma a prescindere dal reddito. Si dovrà superare un test nazionale standard che sarà una verifica della reale capacità di comprensione della lingua scritta, di ragionare e risolvere i problemi. Ogni anno saranno scelti i migliori 1.000 studenti alla fine delle superiori e offerte generose borse di studio per andare a studiare nell’università migliore anche se lontane da casa, afferma il governo. Chi critica la riforma sa che si tratta finora di una promessa priva di fondi. Per stanziarli sarà necessario un provvedimento ad hoc oppure, come spera il governo, anche un finanziamento da parte delle aziende, probabilmente le stesse che saranno entrate a far parte del CDA. Inoltre sono stati tagliati gran parte dei fondi delle borse di studio che invece sono date a chi ha un rendimento scolastico buono ma anche reddito basso.

Lo stipendio si basa sul merito. Ma quale?
Finora lo stipendio aumentava secondo gli scatti di anzianità. La riforma introduce gli scatti di merito sia per gli associati sia per gli ordinari. La valutazione di chi premiare sarà effettuata da nuclei formati da professori interni ed esterni che avranno il compito di giudicare il lavoro di ricerca dei docenti. Ci sono 18 milioni per il 2011, 50 per il 2012 e altrettanti per il 2013. In caso di valutazione negativa si perde lo scatto di stipendio e non si può partecipare come commissari ai concorsi. I critici sostengono che su questa misura non si sa altro, che è tutto affidato ai decreti attuativi e che quindi non è chiaro sulla base di quali criteri saranno realizzate le valutazioni. Si passa quindi da elementi obiettivi e validi per tutti come quello dell’anzianità, ad altri del tutto soggettivi e rispetto ai quali finora è tutto ancora indefinito. Si aggiunga che le somme stanziate non garantiscono che tutti i meritevoli siano retribuibili.

I tagli alle sedi e ai corsi
Diminuiranno drasticamente università, facoltà e corsi di studio. E’ una delle norme su cui il governo punta per ridurre gli sprechi e liberare risorse da destinare al merito. Potranno unirsi università vicine in modo da limitare i costi. E diminuiranno i settori scientifico-disciplinari, dagli attuali 370 alla metà (consistenza minima di 50 ordinari per settore). E le facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo. In realtà gli addetti al settore sostengono che gli atenei sono solo invitati a fondersi, che i settori scientifico-disciplinari sono i codici attribuiti ai diversi esami e che quindi la loro riduzione non porterà grosse modifiche. Il limite sulle facoltà può essere aggirato con un forte accentramento delle facoltà e il mantenimento delle diverse discipline come dipartimenti. Anche in questo caso il risultato finale potrebbe non essere molto diverso.
(F. Amabile, La Stampa 23-12-2010)

 
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