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04 Dicembre
Lettere inviate dal segretario nazionale dell’USPUR PDF Stampa E-mail

Al Dott. Marco Tomasi. Direttore Generale per l’Università

Si fa riferimento:

a) all’art. 69 del d.l. 25 Giugno 2008, n. 112, come modificato dalla legge di conversione n. 135 del 6 Agosto 2008, che così si esprime: “Con effetto dal 1° Gennaio 2009, le categorie di personale di cui all’art. 3 del D.l. 30 marzo 2001, n. 165, la maturazione dell’aumento biennale o della classe di stipendio, nei limiti del 2,5 per cento, previsti dai rispettivi ordinamenti è differita, una tantum, per un periodo di dodici mesi, alla scadenza del quale è attribuito il corrispondente valore economico maturato. Il periodo di dodici mesi di differimento è utile anche ai fini della maturazione delle ulteriori successive classi di stipendio o degli ulteriori aumenti biennali”;

b) all’art. 9, comma 1 del d.l. 31 Maggio 2010, n. 78, coordinato con la legge di conversione 30 Luglio 2010, n. 122, di seguito trascritto: “Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010”.

In considerazione di quanto sopra si ritiene utile evidenziare che, in detto trattamento non è ovviamente da comprendere il differimento del 2,5 per cento sopra richiamato sia perché si parla di trattamento ordinariamente spettante, sia perché il differimento è di tipo “una tantum”.

In aggiunta si tenga poi conto che, mentre il periodo di differimento di 12 mesi è utile ai fini della maturazione delle successive classi di stipendio, o degli ulteriori scatti biennali, gli anni 2011, 2012 e 2013, ai sensi del comma 21 dell’art. 9, non sono utili ai fini di dette maturazione delle successive classi.

Allo scopo di perseguire un’applicazione univoca della normativa richiamata da parte di tutte le sedi universitarie, si prega di voler esprimere il proprio parere su quanto evidenziato. (Firenze 13 Ottobre 2010)

Al Dott. Stefano Quaranta, e mail: squaranta@inpdap.gov.it

Applicazione della normativa di cui al comma 10 dell’art. 12 della legge Tremonti.

In questi giorni è giunta la circolare Inpdap n. 17, datata 8/10/2010, con oggetto la normativa di cui al titolo della presente lettera. La domanda che formulo riguarda il paragrafo 5) della circolare, che attiene alle “modalità di calcolo del TFS. Viene detto che:

a) la “prima quota” di TFS ha come base di calcolo la retribuzione contributiva annua percepita al momento del collocamento a riposo, comprensiva della tredicesima mensilità, e il suo ammontare è pari a un dodicesimo dell’ottanta per cento di detta base di calcolo, moltiplicato per il numero di anni di servizio, prestati e riscattati, al 31 Dicembre 2010 (niente è specificato sull’indennità integrativa speciale, se va, o no, compresa nella base di calcolo e con quale percentuale);

b) la “seconda quota” (anzianità dal 1° Gennaio 2011 fino alla cessazione dal servizio) ha come base di calcolo la retribuzione contributiva utile ai fini del TFS per ciascun anno di servizio (non sono specificate le componenti di detta retribuzione; nella relazione tecnica allegata al decreto Tremonti è detto che la base di calcolo, chiamata anche retribuzione di riferimento, è pari al 100% dello stipendio (è da intendere: stipendio annuo compresa la tredicesima?), più l’ISS (non è detto con quale percentuale). La quota annuale è poi determinata applicando l’aliquota dal 6,91 per cento alla base di calcolo; l’importo così determinato sarà rivalutato annualmente ai sensi dell’art. 2120, comma 4, del codice civile (1,5%, più il 75% dell’indice Istat di variazione dei prezzi al consumo).

In considerazione di quanto esposto, si prega di voler cortesemente fornire i dati per chiarire i punti “oscuri” della normativa. (Firenze 4 novembre 2010)

All’Onorevole Mariastella Gelmini Ministro I.U.R.

Signor Ministro,

tra gli argomenti che Lei porta in difesa del “suo” DDL, primeggia quello che riguarda la capacità della legge di combattere i “baroni” e di porre fine a “perentopoli”. A questa sua affermazione ha fatto seguito un insieme di articoli sulla stampa, che hanno ribadito e hanno fatto da cassa di risonanza a quanto da Lei dichiarato. Commentando, poi, le proteste per l’Università ha aggiunto che gli studenti fanno gli interessi dei baroni. Le chiediamo, signor Ministro, di voler fare chiarezza sul significato della frase “baroni universitari” la quale, se intesa in maniera impropria, può portare a indicare tutta la categoria dei professori universitari, anziché riferirsi a quei docenti, o a loro combriccole, che alimentano, o addirittura portano avanti prassi nepotistiche che condizionano l’esito dei concorsi universitari di loro interesse. L’uso improprio di tale frase porta a denigrare e a logorare l’intera categoria dei professori universitari, che, in stragrande maggioranza, è fatta di persone sane e rette, che fedelmente adempiono al mandato che il Paese ha loro affidato: accumulo, produzione e trasmissione di conoscenza. Su un quotidiano di oggi leggiamo con piacere che “tra i tanti mali che affliggono l’università, parentopoli è di gran lunga il minore. Tolte alcune situazioni aberranti, e giustamente segnalate dai giornali, c’è la normalità universitaria, che per l’appunto non fa notizia, e nella quale parentopoli non esiste”. Non possiamo quindi essere con Lei, signor Ministro, quando dichiara “Non comprendo perché una parte degli studenti sia schierata con i baroni”. Così pure non ha senso dichiarare che gli studenti, quando protestano fanno gli interessi dei baroni. Noi non apparteniamo a lobby conservatrici; noi siamo con Lei quando dice che l’unica strada da percorrere è quella del merito a tutti i livelli: per il reclutamento dei professori, per il finanziamento alle università e per gli scatti stipendiali (componente premiale del merito). Esprimiamo tuttavia dubbi sull’applicazione della normativa relativa al reclutamento dei docenti. Infatti, l’idoneità, come insegna l’esperienza, non sarà negata a nessuno e la selezione dei candidati sarà praticamente tutta nelle mani dei “locali”, dando, così, continuazione a una prassi, quella dei vituperati “concorsi locali”, che andava invece cancellata. Siamo d’accordo sul fatto che in questo campo non c’è una soluzione migliore in assoluto, ma forse la fissazione di un limite al numero dei concorrenti da abilitare avrebbe portato a un risultato migliore. Così pure evidenziamo che l’apertura alla meritocrazia e la valutazione degli Atenei e dei Docenti sono tutte di là da venire, richiedendo la loro attuazione un grandissimo numero (forse 27) di decreti che, temiamo, non vedranno mai la luce, cosa questa che si è verificata per la legge Moratti per l’Università. Temiamo, poi, che l’attribuzione degli scatti stipendiali su base premiale, in mancanza di una precisa norma che specifichi le modalità che devono essere applicate (da parte di chi?) per individuare in maniera certa i docenti da premiare, possa portare a contestazioni legali di esito incerto e certamente perturbatrici della comunità accademica.

Siamo stati, e rimaniamo contrari alla norma che abolisce la ricostruzione di carriera, a meno che non siano reinserite al comma 3 lettera b) dell’art. 8 le parole “in misura almeno pari all’attuale classe quarta”. Siamo a favore della norma “anti-parentopoli” purché la sua applicazione interessi tutta la generalità del pubblico impiego (politici, giornalisti, magistrati e via dicendo). Siamo soddisfatti per il limite di sei anni posto al mandato dei rettori: il rettore è pur sempre un professore, che viene “prestato” ad altro incarico solo per un limitato e ben definito periodo, ma che deve poi tornare a contendere con i suoi pari per primeggiare in ricerca e didattica. Ben articolata ci sembra anche la nuova normativa sulla fascia di formazione alla docenza. Ci auguriamo che il decreto, emendato nelle parti segnalate, possa essere presto approvato dalle Camere. (Firenze, 27 novembre 2010)
 
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