Home 2010 26 Ottobre
26 Ottobre
Un futuro a due vie per i ricercatori PDF Stampa E-mail

Quale sarà il destino finale del ddl Gelmini è difficile a dirsi. Le fibrillazioni continuano intorno al ruolo dei ricercatori universitari. Le contraddizioni sono palesi. Ne elenco solo alcune: a) le università stanno continuando a bandire posti di ricercatore a tempo indeterminato (si pensi ai "posti Mussi") in un ruolo che per legge sarà ad esaurimento nel 2013 (ex legge Moratti 2005); b) a norme vigenti il rapporto ricercatori:associati:ordinari è fissato a 60:30:10, una pseudo tenure track che implica che un ricercatore su quattro rimarrà nel ruolo ad esaurimento fino alla pensione; c) quasi un terzo della didattica frontale è svolta da ricercatori in aggiunta o in sostituzione della didattica integrativa prevista dalla 382. La protesta dei ricercatori ha fatto emergere queste contraddizioni in tutta la loro portata: non è giusto e non è saggio che una parte consistente dell'offerta formativa degli atenei sia basata su attività volontaria. Non è giusto perché il lavoro, se ha valore, si paga. Non è saggio perché il volontario può, a buon titolo, stancarsi di prestare opera gratuitamente. L'università non è una associazione di volontariato, o un club amatoriale. Purtroppo, il ddl Gelmini non affronta queste contraddizioni né lo spaventoso "transitorio" creato dalla messa a esaurimento del ruolo dei ricercatori. E infatti si è arenato davanti alla necessità di reperire risorse per 9mila concorsi di seconda fascia in sei anni.

E se ci fosse un'altra via? Si potrebbe partire dall'esistente e pensare a due carriere parallele con possibilità di interscambio: una a prevalenza di attività di ricerca e minore didattica e una a prevalenza di didattica e minore impegno nella ricerca. Sarebbe il riconoscimento che il sistema universitario si regge su due pilastri... lunghi uguali, forti uguali: ricerca e didattica.
L'interscambio è condicio sine qua non per sfruttare meglio le fluttuazioni della vita accademica, in cui periodi di grande produttività scientifica - e dove quindi la didattica è addirittura una limitazione - possono alternarsi a periodi in cui la ricerca ha meno spinta e ispirazione e si può essere portati ad accrescere il contributo nella didattica. Bisogna fare sì che i due pilastri siano ugualmente robusti (anche in termini salariali) e quindi occorrerà valutare con rigore il merito nella ricerca e nella didattica. Questo sistema binario non risolve, ovviamente, il problema dell'accesso alla carriera, o meglio, alle carriere, che deve prevedere un congruo periodo di prova, perché i due pilastri non siano poi fatti di sabbia: indispensabile perché l'aspirante accademico sia messo in condizione di misurarsi veramente con la ricerca autonoma (anche quella dei finanziamenti) e con la docenza autonoma (potrebbe scoprire - o, come spesso succede, potrebbero scoprirlo gli studenti - che non è un buon docente anche se è ottimo ricercatore). Il periodo di prova dovrebbe anche prevedere "mobilità": cambiare luoghi, acquisire esperienze autonome, misurarsi con ambienti diversi e poi trovare una collocazione per farsi una strada propria. Questo si chiama "costruirsi un curriculum"...

Manca qualcosa? Un buon curriculum serve se ha "valore di mercato", se può essere speso per altro oltre che nella carriera accademica. La parola "mercato" non piace ad alcuni, ma si tratta di dare valore alla capacità di fare ricerca in qualsiasi settore, alla capacità sperimentata e valutata di mettere in piedi un percorso di innovazione. Per il mercato occorrono però norme che incentivino la mobilità e riconoscano il merito. Queste sono cose sulle quali - in un paese normale – si  dovrebbe intervenire. Non ci vorrebbe molto. Ma a chi piace? (D. Braga, Il Sole 24 Ore 24-10-2010)
 
Gli emendamenti al DDL di riforma bocciati dalla Ragioneria Generale dello Stato PDF Stampa E-mail

L’esame del disegno di legge per l’università è stato sospeso da una nota di alcuni giorni fa dell’ufficio del coordinamento legislativo del ministero dell’economia, a cui si è unita quella della Ragioneria dello stato arrivata il 13/10/2010 in commissione bilancio alla camera, criticando fortemente il ddl Gelmini per l’assenza di adeguate coperture finanziarie.

Il voto della riforma ci sarà dopo il passaggio in Aula della finanziaria e del mille-proroghe, quando si capirà se ci sarà copertura per la stabilizzazione dei novemila ricercatori per cui servono un miliardo e settecento milioni. Anche la discussione riprenderà solo dopo la sessione di bilancio e comunque non prima di dicembre, per poi andare al Senato in terza lettura.

Secondo i tecnici del ministero dell’Economia e Finanze gli emendamenti inseriti alla Camera alla riforma Gelmini sono tali da “pregiudicare la stabilità dei conti di finanza pubblica”.

Sul parere del bilancio ha pesato la bocciatura della Ragioneria generale dello Stato, in particolare sul tema dei ricercatori e sull’emendamento (art. 5 bis) che prevedeva un piano di concorsi tra il 2011 e il 2016 per 9 mila di loro per il passaggio al ruolo di associati per i quali non c’è copertura economica soprattutto a decorrere dal 2012. L’emendamento prevede l’istituzione di un Fondo per la valorizzazione del merito accademico finalizzato alla chiamata di 1.500 professori di seconda fascia per ciascuno degli anni compresi nel periodo 2011-2016 e a valorizzare il merito dei professori e ricercatori universitari inquadrati nella prima progressione economica. Una norma coperta dal Fondo per gli interventi strutturali di politica economica ma che secondo la Ragioneria necessita, comunque, di una apposita relazione tecnica. Inoltre, circa la copertura utilizzata, la Ragionerai fa presente che le risorse iscritte sul Fondo per gli interventi strutturali di politica economica sono «interamente destinati all’attuazione della manovra di bilancio relativa all’anno 2011».

Dunque, anche se Tremonti e Gelmini solo poche settimane fa promettevano nuove risorse per gli atenei, quelle risorse non sembrano essere nella disponibilità del Governo. Mentre il taglio di 1 miliardo 350 milioni di euro al fondo di finanziamento ordinario dell’università è già scritto nei bilanci dello Stato. (M. T. Bertuzzi, http://www.mariateresabertuzzi.eu/?p=100 18-10-2010)
 
Il piano dei 9000 PDF Stampa E-mail

Su lavoce.info Francesco Lissoni, Fabio Montobbio e Michele Pezzoni hanno ricordato cosa è successo nel reclutamento dei docenti universitari negli ultimi 30 anni. Dopo le riforme del 1980 e del 1998 c'è stato un improvviso aumento del numero di assunzioni, al quale ha fatto seguito un lungo periodo di stasi. L'università italiana è andata avanti così: con lunghi periodi di blocchi dei concorsi e delle assunzioni e brevi "finestre" di  improvvise assunzioni, o "promozioni" in massa. Nel DDL 1905, la cosiddetta riforma Gelmini, "ci sono tutte le premesse – hanno avvertito -  per una futura nuova onda anomala di assunzioni.

Ad alcuni commenti al loro articolo così replicano: “Alcuni commenti interpretano il nostro articolo come finalizzato a tracciare un parallelo  tra l'ope legis del 1980 e le "Misure per la valorizzazione dei ricercatori di ruolo e del merito accademico" (pubblicizzato come piano di reclutamento straordinario di 9000 professori associati) approvate dalla maggioranza in sede di Commissione  Cultura quale emendamento al DDL 1905. Tuttavia, al momento di scrivere il nostro articolo, non eravamo al corrente del provvedimento in questione, presentato il giorno 6 ottobre e riportato dai giornali solo qualche giorno più tardi. Semplicemente indicavamo nella mobilitazione dei ricercatori il primo segnale di una "marea montante" creata dal lungo blocco di assunzioni e carriere, resa ancora più agitata, in questo caso, dal timore di un prolungamento indefinito dello stesso. Oggi leggiamo il "piano dei  9000" come il tentativo del governo di arginare quella marea, con il più classico intervento "straordinario": se nei suoi effetti questo non sarebbe (sarebbe stato? sarà? non conosciamo per ora il suo destino) paragonabile all'onda anomala del 1980, certamente ne seguirebbe la logica. Comunque, anche i suoi effetti non sarebbero trascurabili: ad oggi, i professori associati sono circa 18000. Anche ammettendo che, in 6 anni,  la metà di costoro andasse in pensione o passasse al ruolo di ordinario, vorrebbe dire che tutti i "posti" ora esistenti sarebbero di nuovo occupati. E allora ad agitarsi sarebbero i futuri "3+3" (a cui viene promesso un inesistente "tenure track")  e via così, in un susseguirsi di creazioni e distruzioni di gruppi svantaggiati e di pressione.” (F. Lissoni , F. Montobbio e M. Pezzoni, lavoce.info 19-10-2010)
 
Il Tesoro frena la riforma PDF Stampa E-mail
Tremonti ha assicurato che entro fine anno un po’ di soldi verranno trovati: «faremo il massimo - ha dichiarato - metteremo quanti più soldi possibile». Quanto non si sa. La finanziaria varata a luglio prevede un taglio di un miliardo e 350 milioni di euro nel 2011 a carico dei nostri atenei, una manovra brutale che da mesi viene contestata dai rettori come dagli studenti, che ancora ieri hanno protestato in tutta Italia. Nelle scorse settimane sembrava che il ministro Gelmini avesse trovato un’intesa di massima col collega dell’Economia («tutto a posto, troveremo le risorse necessarie») poi alla Camera è spuntato l’emendando per assumere i ricercatori e il banco è saltato. La ragione è semplice: mentre Tremonti pare fosse intenzionato a stanziare al massimo 7-800 milioni di euro per ripristinare in parte i tagli, la proposta votata in Commissione cultura ne costa da sola 1,7 miliardi spalmati in sei anni (90 milioni nel 2011, e poi 263 nel 2012, 400 nel 2013, 253 nel 2014, 333 nel 2015, 413 nel 2016) e poi 480 milioni l’anno dal 2017 in poi. Tremonti, tuttavia, garantisce "il massimo impegno possibile" in termini di risorse, ma si procederà con il cosiddetto decreto "Milleproroghe" e non prima. Dopo il Consiglio dei ministri che ha approvato la Finanziaria, il ministro dell'Economia ha risposto così ad una domanda sullo stop alla riforma universitaria. "Col provvedimento di fine anno - ha spiegato il ministro - si aggiustano alcune voci che riteniamo meritevoli. Ovviamente - ha precisato - devi fare la colonna delle esigenze e quella delle disponibilità. Ma l'impegno sull'università è di mettere quanti più soldi possibili. Sull'università e sugli ammortizzatori sociali, abbiamo ben chiare le esigenze ma si fa con quel provvedimento, come da sempre".  (Apcom 14-10-2010 e P. Baron, La Stampa 15-10-2010)
 
Possibili correzioni alla nuova legge di stabilità per reperire fondi per la riforma universitaria PDF Stampa E-mail
La nuova Legge di stabilità – che ha sostituito la Finanziaria – è parte, insieme alla legge di bilancio, della manovra di finanza pubblica prevista su base triennale. È stata predisposta in base alla nuova disciplina prevista dall'articolo 11 della legge 196/2009: si è passati ad una legge light, una inversione di tendenza rispetto alle Finanziarie omnibus del passato, preda di numerosi attacchi alla diligenza. Dispone annualmente il quadro di riferimento finanziario per il periodo compreso nel bilancio pluriennale. Per lo stesso periodo, provvede alla regolazione annuale delle grandezze previste dalla legislazione vigente con l'obiettivo di adeguarne gli effetti finanziari agli obiettivi. La Legge di stabilità, ha specificato l'Esecutivo, non produce effetti correttivi sui saldi di finanza pubblica, in quanto, viene spiegato nel preambolo del ddl C 3778, l'aggiustamento dei conti pubblici per il triennio di programmazione è stato approvato prima dell'estate con il decreto legge 78/2010, convertito, con modifiche, dalla legge 122/2010. Questo significa che eventuali "correzioni" potranno essere fatte con un decreto legge ad hoc o con il milleproroghe. Un segnale in tal senso è l'annuncio fatto dal ministro Tremonti di reperire i fondi per la riforma dell'università con il decreto di fine anno. Non ci sono norme di delega o di carattere ordinamentale o organizzatorio, nè interventi di natura localistica o microsettoriale. (Il Sole 24 Ore 26-10-2010)
 
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