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01 Settembre
Tagli agli stipendi. Un rapporto riservato del Ministro Gelmini sui costi della manovra economica del governo PDF Stampa E-mail

Sulla scrivania del ministro Gelmini è arrivato un dossier riservato che racconta il futuro dell’università italiana dopo i tagli voluti dal ministro dell’Economia Tremonti con il via libera dell’intero governo. Il ministro sa perfettamente che non è l’università che ha promesso in questi anni: le cifre raccolte raccontano il congelamento degli aumenti voluti per premiare il merito. E poi saranno dimezzati gli aiuti agli studenti con le borse di studio, e i fondi a disposizione delle università dal prossimo anno renderanno impossibile pagare gli stipendi dei professori.
Innanzitutto il taglio agli aumenti di stipendio, che si riferisce sia agli incrementi automatici annuali legati ai salari del pubblico impiego, sia agli scatti veri e propri. Una misura prevista con questa gravità solo per i prof universitari: non per i magistrati con i quali si è fatta marcia indietro e nemmeno per i prof di scuola cui almeno è stato promesso di reinvestire i risparmi. Per i prof universitari la manovra approvata a luglio prevede soltanto che ogni docente si troverà nel 2014 nella classe di stipendio del 2010 come se tre anni non esistessero. In questo modo si dovrebbero creare economie di spesa di circa 299 milioni nel triennio 2011-2013 ed economie di spesa strutturali per 543 milioni nei tre anni dal 2014 al 2016.
Se però si va a valutare il costo per ogni prof delle prime fasce di carriera ci si rende conto che ricercatori e i docenti più giovani perdono circa 500 euro il mese. Gli esperti in calcoli sono indecisi su chi ci perda di più. Se è vero, come sottolineano gli economisti Massimo Baldini ed Enza Caruso in un calcolo pubblicato su «Lavoce.info», che «il prezzo più elevato è pagato dai ricercatori non confermati, per i quali la manovra assume un peso che va dal 26 per cento al 34 per cento sul reddito netto». Insomma un taglio di un terzo di quanto guadagnano. Oppure se i più penalizzati saranno coloro che hanno iniziato la carriera l'anno scorso: 7.659 euro all'anno in termini di mancati aumenti, il 32,7% dello stipendio annuale. Nell’intera carriera - hanno calcolato le associazioni di ricercatori - la perdita sarà di circa 400 mila euro.
Ma quel che più crea imbarazzi al ministro Gelmini è che gli scatti nelle università, per effetto della riforma da lei voluta, non sono più automatici e legati all’anzianità ma alla produttività scientifica e didattica. E quindi cancellarli vuol dire cancellare ogni possibilità di riconoscere i meriti di prof e ricercatori nonostante le promesse di valorizzare i più bravi.
E, ancora, i tagli al Ffo, il Fondo di Finanziamento Ordinario, la principale forma di entrata per le università. Nel rapporto preparato per il ministro Gelmini è scritto con estrema chiarezza che i tagli faranno calare il fondo del 14%, da 7 miliardi e 206 milioni del 2010 a 6 miliardi e 130 milioni. Ed è scritto con altrettanta chiarezza che da gennaio le università non avranno soldi a sufficienza per pagare nemmeno i professori ordinari e associati.
Infine le borse di studio. Un grafico elaborato dalla Direzione generale dell’Università del ministero mostra che nel 2010 sono in calo di 146 milioni, e nel 2011 di altri 24 milioni, portandole al livello più basso degli ultimi dieci anni.
Di fronte a questi effetti delle misure economiche del governo, già a fine maggio il Cun, il Consiglio Universitario Nazionale, l’organo che ha il compito di fornire pareri al ministero, aveva criticato con forza le misure economiche del governo chiedendo una decisa marcia indietro. Il dossier preparato dalla direzione generale dell’università ha solo confermato i loro timori. (F. Amabile, La Stampa 21-08-2010)

 
Il Ministro risponde all’articolo de la Stampa sui tagli agli stipendi PDF Stampa E-mail

Caro direttore,
ho letto con interesse l’articolo di Flavia Amabile pubblicato sabato su «La Stampa», che parlava degli effetti della manovra economica sui finanziamenti all’università. La riforma di questo settore è un tema che sta molto a cuore al nostro governo, su cui il mio ministero è fortemente impegnato da qualche tempo.
Tanto allo scopo di ammodernare l’università italiana, quanto a quello di non far mancare le risorse necessarie al suo funzionamento.
Le cifre contenute nell’articolo sono quelle della Finanziaria 2008, che prevedeva anche una riduzione del Ffo (Fondo per il Finanziamento ordinario delle Università) per il 2009 e per il 2010. Rispetto a quelle previsioni di due anni fa e, nonostante il perdurare di una situazione economica molto difficile, il governo è riuscito con successivi interventi a eliminare qualunque taglio per il 2009, (tanto che il Ffo è risultato superiore a quello del 2008) e a limitare a percentuali del tutto tollerabili la riduzione del Ffo 2010. Ulteriori risorse sono state trovate sia per l’edilizia universitaria sia per le borse di studio.
Ribadisco, come ho detto in Senato il mese scorso, che il governo è impegnato a garantire agli atenei anche per il 2011 le risorse necessarie, nel quadro però di una riforma complessiva che metta finalmente ordine alla gestione spesso disinvolta cui abbiamo assistito negli ultimi anni. A settembre si troveranno insieme in Parlamento il DDL università e la finanziaria: sarà il momento giusto per rendere concreto quello scambio tra riforme e risorse sul quale il governo ha puntato fin dal suo insediamento.
Per quanto riguarda poi il blocco degli scatti, sempre al Senato, mi sono impegnata a destinare una parte dei finanziamenti per il 2011 a un fondo premiale su base meritocratica riservato a ricercatori e docenti nelle fasi iniziali della carriera.
Lo stesso faremo in relazione alle borse di studio perché riteniamo che il diritto allo studio resti un pilastro fondamentale del nostro sistema universitario. L’allarme che arriva dal mondo universitario è dunque comprensibile, ma il governo è pronto. Gli atenei però devono raccogliere la sfida e avere il coraggio di puntare, anche grazie alla nuova legge, a un’università più meritocratica, più trasparente e più internazionale. (M. Gelmini, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 23-08-2010)

 
Risorse, si apre il dibattito dopo le rassicurazioni della Gelmini PDF Stampa E-mail

Si apre il dibattito dopo le dichiarazioni della Gelmini sulle risorse all’Università nel 2011 comparse sul quotidiano La Stampa il 23 agosto scorso. Alle sue parole, rassicuranti rispetto al futuro degli atenei pubblici, hanno risposto il senatore del Pd Ignazio Marino e il rettore dell’Università Sant’Anna di Pisa, Maria Chiara Carrozza, che sulle pagine dello stesso giornale hanno voluto rifare il punto sul problema delle risorse, urgente più che mai a inizio anno accademico.
“Se la buona volontà del ministro Gelmini si scontrerà contro il muro dell’intransigenza di Tremonti, a che cosa sarà servito il tentativo di riforma?”, così il senatore Marino che ha voluto esprimere soddisfazione per alcuni aspetti della riforma approvata al Senato a fine luglio, come la valutazione delle attività di docenti e ricercatori, la considerazione del merito, il sistema del peer-review per le pubblicazioni scientifiche. D’altra parte, ha spiegato il senatore, la riforma rischia di sopperire ai tagli. Se i fondi non ci sono, ha ricordato anche Marino “il nostro sistema universitario rimarrà ancora all’ultimo posto in Europa”.
Diversi i toni del rettore del Sant’Anna di Pisa, Maria Chiara Carrozza, che sulle pagine de La Stampa, è andata ancora più al sodo chiamando in causa il problema degli stupendi e chiedendosi cosa succederà in quegli atenei che non saranno nelle condizioni di poter pagare i propri dipendenti: “Si taglieranno in maniera uniforme e i ricercatori saranno penalizzati, in proporzione, più dei professori anziani. È questa la meritocrazia?”.
Questioni che rimangono aperte, già da tempo sottolineate dal mondo dell’università pubblica italiana in forte mobilitazione a maggio e a luglio, e che volente o nolente si troverà ad affrontare un inizio anno più faticoso del solito, proprio a causa della questione delle risorse. Proprio in coincidenza con l’inizio del nuovo anno accademico è previsto il verdetto della Camera sul disegno di legge di riforma universitaria approvato al Senato a fine luglio. (C. Bruno, Riforma università  26-08- 2010 http://www.universita.it/dibattito-gelmini-risorse-universita-2011/)

 
25 atenei hanno sforato il tetto previsto per le tasse studentesche PDF Stampa E-mail

Mentre si prospetta un taglio del 17,2% al fondo di finanziamento ordinario delle università per il 2011, che il ministro Mariastella Gelmini ha però promesso di attenuare, quella di ritoccare i contributi studenteschi per far quadrare i conti è una tentazione per molti senati accademici. Una tentazione peraltro non nuova, perché fra 2001 e 2007, mentre l'assegno statale aumentava del 18% e i contributi ministeriali alla ricerca erano fermi, le richieste economiche agli studenti sono cresciute in media del 53%. Più di tanto, però, non si può fare. La legge impone agli atenei di non chiedere agli studenti una somma superiore al 20% di quello che ricevono dallo stato in termini di finanziamento ordinario. Già 25 atenei, però, nel 2009 hanno sforato il tetto, e con la riduzione del fondo statale il numero dei fuori quota promette di impennarsi: tutto il sistema, del resto, è ai limiti, perché in media nelle università statali i contributi valevano già lo scorso anno il 19,6% del finanziamento ordinario.
Urbino, anche per colpa del sottofinanziamento statale, addirittura arriva a doppiare il limite, seguito da Bergamo, dallo Iuav di Venezia e dal Politecnico di Milano (altro ateneo sottofinanziato, che però primeggia nella capacità di attrarre risorse esterne per la ricerca). Più lontani dai limiti gli atenei meridionali: al Politecnico di Bari i contributi si fermano al 9,4% del fondo ordinario, e pochi decimali sopra si attestano le università di Sassari, Foggia, Cagliari, Messina e Lecce.
La geografia dei contributi studenteschi offre, infatti, i primi sintomi del «federalismo accademico» che si è accentuato negli ultimi anni. Le tasse universitarie medie, infatti, valgono 1.660 euro a studente al Politecnico di Milano, e sprofondano a 384 euro in quello barese. Alla Statale di Milano, i contributi superano i 1.300 euro a iscritto, negli atenei del Mezzogiorno si fermano sotto la metà di questa cifra.
La forbice Nord-Sud si è ampliata negli ultimi anni per due ragioni: i rettori meridionali provano a tenere basse le richieste per frenare l'emigrazione studentesca verso Nord e, come mostrano i casi di Catania e Bari citati all'inizio, il tema tasse al Sud è più esplosivo. Per attenuare il problema, la ripartizione dei fondi 2010 che sarà effettuata nelle prossime settimane dovrebbe tenere conto della capacità contributiva media delle famiglie nei diversi territori, per offrire più risorse agli atenei delle zone più povere.
A non funzionare, comunque, è la regola del 20%; priva di controlli e sanzioni, viene ormai ignorata da molti, e in tanti hanno proposto di abolirla guardando ai modelli europei che alzano le tasse a chi può pagarle e moltiplicano gli interventi di sostegno per i meritevoli. Proprio qui, però, s’incontra un problema speculare a quello dei contributi. I fondi statali nel 2010 si sono fermati a 99 milioni, il 60% in meno rispetto all'anno scorso, e i programmi 2011 sono ancora più austeri.
La fetta maggioritaria dei contributi è regionale (l'anno scorso sono stati 469 milioni), ma non tutti i governi locali viaggiano alla stessa velocità. Per capirlo basta spulciare le rilevazioni dell'osservatorio piemontese per il diritto allo studio: al Nord quasi tutti gli studenti che rispettano i requisiti ricevono anche la borsa di studio, al Sud quattro su dieci rimangono senza contributi pur vendendosi riconosciuto il diritto.

La tabella in cui i contributi degli studenti superano il 20% del fondo:

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-08-27/universita-tasse-fuorilegge-080153.shtml?grafici&uuid=AY1eaAKC

(gianni.trovati@ilsole24ore.com 27-08-2010)
 
Idoneità “onorifiche” alle borse di studio per studenti PDF Stampa E-mail

Quella del diritto allo studio rischia di essere un'agonia silenziosa. Mentre le attenzioni del mondo accademico sono tutte puntate sul fondo di finanziamento ordinario, di cui si decideranno le sorti nelle prossime settimane, le borse di studio tramontano senza clamore: quest'anno il relativo fondo statale si è fermato a 99 milioni, cioè il 60% in meno rispetto al 2009, e il 2011 promette un'ulteriore sforbiciata da 20 milioni. Cifre tutt'altro che stratosferiche, che però sono in grado di affossare un settore che non ha mai spiccato il volo.
In una divisione di competenze che non brilla per chiarezza, le regioni ci mettono del loro, ma vista la manovra sui governi locali, i tagli a consuntivo potranno essere anche più pesanti. Già con i fondi degli anni scorsi non c'era da scialare: ogni anno più di 30mila studenti si sentono rispondere che i loro requisiti sono a posto, sono «idonei» a ricevere la borsa di studio, ma i soldi per loro non ci sono. Un'idoneità "onorifica" che rischia di dilagare, mentre gli atenei premono sulle tasse per cercare di far quadrare i conti. Con il taglio delle risorse, la quota delle idoneità «onorifiche» non può che salire. Ancora peggio va nel campo degli alloggi, in cui il deficit investe sia il Nord sia il Sud: su 180mila studenti con i requisiti, solo 36mila ottengono davvero il posto, e otto su dieci sono costretti a cercare soluzioni alternative. Ma la meritocrazia non era un valore bipartisan? (Il Sole 24 Ore 27-08-2010)

 
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