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02 Agosto
Nei fondi 2010 per gli atenei a rischio la «meritocrazia» PDF Stampa E-mail

L'incrocio pericoloso con i tagli agli assegni statali rischia di congelare sul nascere i finanziamenti «meritocratici» alle università, introdotti per decreto dal ministro Mariastella Gelmini a fine 2008. La conferenza dei rettori di oggi avrebbe dovuto esaminare il riparto del fondo di finanziamento ordinario per quest'anno, ma gli ultimi incontri tecnici sono saltati in extremis e se ne riparlerà a settembre: tabelle alla mano, a quanto si apprende si lavora per applicare i parametri legati ai risultati d'ateneo senza danneggiare troppo le università caratterizzate da performance più opache.

La quadratura del cerchio non è arrivata, ma dagli elementi che emergono si può osservare che l'obiettivo è quasi raggiunto, e che mentre la riforma promette di accelerare sui premi, il presente degli incentivi è a rischio. Le partite sono due, legate ai 550 milioni del «Patto per l'università» del 2007 e ai circa 500 milioni che avrebbero dovuto alimentare i premi alle università migliori.

Sul primo aspetto, l'orientamento è di destinare 460 milioni, cioè l'85% del totale, agli incrementi stipendiali dei docenti, assegnando quindi la fetta più consistente alle università che più spendono per il personale. Una distribuzione di questo tipo nei fatti prosciuga i fondi per il «riequilibrio» che avrebbero dovuto aiutare gli atenei «sottofinanziati», cioè quelli che ricevono dallo stato meno di quanto spetterebbe loro in base alla pagella sulla qualità misurata sul modello del comitato nazionale di valutazione.

Anche sul versante del fondo ordinario, la penuria di risorse lamentata dai rettori sembra aver spento lo slancio meritocratico previsto nelle prime tappe della riforma Gelmini. La regola prevedeva una quota «crescente» negli anni di fondi svincolati dalla spesa storica, e dirottati in base ai risultati di ogni ateneo nella didattica e nella ricerca. L'esordio dell'anno scorso ha dedicato agli incentivi il 7% del fondo ordinario, e per garantire il «progressivo incremento» degli incentivi imposto dal decreto, quest'anno ci si dovrebbe attestare intorno al 7,4%; con un aumento solo formale, perché quest'anno i fondi statali si riducono del 3,72% (al netto dei 400 milioni raccolti con lo scudo fiscale e destinati alle università), per cui il valore assoluto dei «premi» è in diminuzione.

Anche così alleggerita, la partita vera si è incagliata sui criteri di distribuzione di queste risorse. Tra le ipotesi di cui si è discusso c'è anche una sorta di "clausola di salvaguardia" per evitare che nel gioco del dare-avere qualche ateneo perda più del 4% rispetto all'anno scorso; con un paniere di fondi in diminuzione del 3,72%, è ovvio che un criterio come questo determini in pratica una redistribuzione egualitaria dell'assegno statale, senza nessuna variazione rispetto al 2009.

Le decisioni finali, comunque, si conosceranno solo a settembre, anche se riguardano fondi che dovrebbero essere assegnati a inizio anno. «Comprendiamo le difficoltà – ragiona il presidente Crui Enrico Decleva –, ma a questo punto il ritardo è c amoroso». «In media – fanno eco dal Consiglio universitario nazionale – negli ultimi anni l'assegnazione dei fondi avveniva fra marzo e aprile; così qualsiasi strategia diventa impraticabile». (G. Trovati, Il Sole 24 Ore 29-07-2010)
 
Salta per gli atenei la possibilità di finanziarsi brevettando le invenzioni dei propri ricercatori PDF Stampa E-mail

Il decreto legislativo di integrazione e di armonizzazione europea del Codice della proprietà industriale, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, ha, infatti, cancellato all'ultimo momento le (tre differenti ipotesi di) norme che avrebbero equiparato i dipendenti delle università – almeno sotto questo aspetto – ai lavoratori delle aziende private, che non possono registrare a titolo proprio le invenzioni. Resta quindi in vigore, l'Italia unico paese in Europa, il sistema attuale che prevede che tutti i diritti esclusivi sulle invenzioni spettano ai ricercatori, fatto salvo il diritto delle università a una percentuale sui proventi dallo sfruttamento economico del brevetto. Secondo alcuni giuristi la scelta pone un problema di efficienza del sistema universitario, privandolo di risorse finanziarie potenzialmente ingenti, ma soprattutto fa sorgere una questione di uguaglianza tra lavoratori (discriminando quelli privati) e dà spazio a interrogativi di correttezza circa il mancato esercizio della delega sul punto da parte del governo. Ma la questione universitaria è solo una parte del lavoro di organizzazione, risistemazione e aggiornamento del Codice della proprietà industriale terminato ieri. Il decreto, che ora dovrà essere promulgato e poi attendere la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», porta dentro un unico testo materie nuove e regolate da norme sparse (per esempio, le biotecnologie), adegua la legislazione sui diritti dei marchi disinnescando procedure di infrazione già aperte (come nella tutela allungata per il design industriale), innova le procedure giudiziarie di tutela delle parti (anche di quelle che vorrebbero evitare in anticipo un'accusa di contraffazione) e i procedimenti amministrativi di registrazione dei brevetti.

Proprio la protezione allungata del design industriale è uno dei punti qualificanti del decreto legislativo. La nuova formulazione dell'articolo 239 del Codice ripristina la tutela per le opere che, dopo l'aprile del 2001, erano diventate di pubblico dominio (e quindi duplicabili senza limiti), e di fatto pone fuori dalla legalità quelle abusivamente riprodotte dopo il 2006. L'approvazione della norma frena la procedura di infrazione europea per la quale l'avvocato generale, nel giugno scorso, aveva, di fatto, chiesto una censura per l'Italia.

Significative, secondo gli addetti ai lavori, anche le modifiche processuali introdotte ieri. La «descrizione» (il procedimento speciale con cui il titolare di brevetto chiede al giudice provvedimenti d'indagine anche molto invasivi contro sospetti contraffattori) diventa un procedimento in contradditorio - con maggiori garanzie per la difesa – e viene spostata nella competenza dello stesso giudice che opera il sequestro e l'inibitoria. Strumento per l'efficienza giudiziaria, e perciò economica, potrebbe diventare anche la nuova azione di accertamento negativo d'urgenza, con la quale un'impresa può chiedere alla magistratura di stabilire che i suoi prodotti non integrano una contraffazione di opere altrui protette da brevetto. Infine, sempre in aula giudiziaria, debutta la consulenza tecnica preventiva, per «anticipare» l'orientamento del processo e favorire la conciliazione. Nei giudizi di nullità brevettuale, tra l'altro, non sarà più necessario citare l'inventore.

Quanto all'armonizzazione di sistema, il nuovo Codice equipara nei fatti il brevetto italiano e quello europeo (Epc 2000), riducendo tempi e procedure per le aziende, semplifica le procedure per la tutela dei segreti militari e crea piste privilegiate nel contenzioso amministrativo per i mandatari di marchi e brevetti.

Tutto questo sforzo di armonizzazione e modernizzazione di diritti ha prodotto, secondo i commissari che si sono occupati del progetto, un Codice della proprietà industriale tra i più avanzati nel mondo occidentale. Con l'unica ombra del brevetto "universitario". (A. Galimberti, Il Sole 24 Ore 31-07-2010)
 
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