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20 Luglio
Modificare con gradualità il 3+2 PDF Stampa E-mail
Il numero degli universitari che invece di fermarsi alla laurea  triennale ha proseguito verso la specialistica è risultato molto più alto anche rispetto alle più pessimistiche previsioni. Negli altri paesi europei il 70 per cento dei laureati dopo 2 o 3 anni entra nel mondo del lavoro. A proseguire è solo il 30 per cento. Nel nostro Paese, anche se sui numeri e la loro interpretazione non c'è accordo — 10 anni forse sono pochi per trarre delle conclusioni — nessuno può negare che la tendenza sia esattamente contraria. «Il "3+2" ha oggettivamente fatto moltiplicare i corsi di laurea, tuttavia si è appena concluso l'adeguamento ai nuovi ordinamenti e ora rifarli daccapo sarebbe traumatico — dice il senatore Giuseppe Valditara, relatore della Riforma universitaria in discussione al Senato —. Ci potrà essere nel tempo una graduale modifica del "3+2", soprattutto in quelle discipline che lo rivendicheranno. Giurisprudenza a suo tempo ha chiesto di avere un percorso unitario. Evidentemente in prospettiva si potranno studiare per le facoltà che lo richiedono forme più flessibili rispetto al modello attuale. L'unica cosa impensabile è un decreto del ministero che costringa le università a ricominciare tutto daccapo. Sarebbe il caos». (Corsera 01-07-2010)
 
Ipotetica carriera universitaria post-laurea di un bravo studente PDF Stampa E-mail

Facciamo riferimento a un immaginario bravo studente e seguiamolo passo passo nella sua carriera ipotetica, dalla laurea in poi. Questo studente si laurea con il massimo dei voti a ventiquattro anni (in regola) in un corso quinquennale. Il professore con cui si è laureato e che lo reputa molto promettente lo invita, ammiccando, a tentare il concorso di dottorato. Nel frattempo è novembre e per il concorso deve aspettare il settembre successivo, non può nemmeno provare a vincere una borsa di collaborazione con la biblioteca o cose così perché ormai si è laureato e, per l’università, non è più uno studente. Comunque, dopo un anno più o meno buttato (ma il nostro studente coscienzioso ha letto molti libri interessanti utili per il futuro della sua ricerca e ha fatto lavori poco impegnativi e part-time per guadagnare qualcosa) e a reddito zero, vince, a venticinque anni, un dottorato con borsa di studio. In poco più di tre anni – nei quali aiuta il suo professore con le lezioni, con gli esami e la preparazione di alcuni annosi progetti di ricerca con cui ottenere i (pochi) fondi concessi dal ministero – consegna la tesi, ben fatta, rispettando la scadenza di febbraio (la borsa però gli è finita il 31 ottobre e si sta già domandando come fare con l’affitto). La discussione della tesi è a giugno, lui chiede al suo professore, molto soddisfatto del lavoro, che succede ora e si sente dire che molto probabilmente il febbraio successivo ci sarà un concorso per un assegno di ricerca biennale a cui, ammiccamento, il nostro potrà partecipare anche se ovviamente lui, il professore, non può promettere niente. Dopo un anno e mezzo in cui il nostro non ha visto il proverbiale becco di un quattrino dall’università vince il sospirato concorso. Per due anni e poi altri due di prolungamento dell’assegno di ricerca è a posto, con i suoi 1.100 euro al mese. Intanto fa ricerca, fa esami, lezioni e partecipa sempre più alle vicende burocratiche del dipartimento cui afferisce. Ha pubblicato un paio di libri su questioni tecniche importanti ma oscure (perché è giovane e non poteva certo occuparsi subito delle grandi questioni riservate agli ordinari) e una decina di articoli su riviste scientifiche. A questo punto, tra una cosa e l’altra, ha trentacinque anni e l’unica cosa cui può sperare è un posto da ricercatore. Intanto può sperare in contratti per docenze da 2.000 euro l’anno (poca roba, ma meglio di niente, anche se ha letto sul giornale che il ministro li vuole abolire) e qualche oscura partecipazione a strani progetti di orientamento e tutorato. Si chiede se non sia il caso di provare a lavorare, ma, obiettivamente, ha trentasei anni, nessuna seria esperienza lavorativa, nella vita ha solo studiato, tanto e bene, ma vaglielo a dire alle aziende che studiare è utile. In tutta onestà ritengo che la cooptazione diretta e palese risolverebbe molto. Le interruzioni di reddito fanno sì che oggi la carriera accademica possa essere intrapresa, grossomodo, solo da tre categorie di studenti: quelli ricchi di famiglia, quelli la cui dedizione allo studio supera il senso pratico o che comunque si accontentano di vivere in povertà pur di fare ricerca e quelli talmente sfiduciati nei propri mezzi da pensare che fare i portaborse per dieci anni a qualche professore sperando nella futura riconoscenza sia comunque la vita migliore cui possono ambire (contando anche sul fatto che quelli più bravi prima o poi si stuferanno e cercheranno lavoro altrove o all’estero – dove, come vuole il fondatissimo luogo comune, le interruzioni di reddito non ci sono e si è pagati molto meglio).

Si potrebbe obiettare che uno deve fare ricerca per passione. Sbagliato, per passione uno fa il poeta e il cantante, non il ricercatore universitario. Tutti i problemi e le soluzioni si riducono a un solo punto. Si deve fare in modo che la carriera accademica inizi subito dopo la laurea e permetta a chi la sceglie (e viene scelto) di vivere dignitosamente.

Comunque arriva il lieto fine che abbiamo annunciato. Dopo quasi sei anni vince il concorso, nell’università di una città molto lontana da quella in cui ha studiato nel quadro di uno scambio di favori tra il suo professore (che per fortuna non è nel frattempo andato in pensione) e un professore di là. (C. Carabba, Rassegna.it 01-07-2010)
 
Il rettore Frati sui ricercatori improduttivi della Sapienza PDF Stampa E-mail
«Qui in questo Ateneo c’è chi ruba lo stipendio: ci sono persone che lo prendono da anni e non fanno nulla. Ora faremo pulizia». Ma chi sono i fannulloni? «Il 30 per cento dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza non ha prodotto nulla nell’ambito della ricerca scientifica e in generale alla Sapienza il 10 per cento dei ricercatori non ha prodotto nulla negli ultimi 10 anni». La verità pronunciata dal rettore dell’Università La Sapienza di Roma, il professor Luigi Frati, piomba come un macigno durante la conferenza stampa convocata da presidi di facoltà, professori e ricercatori della Sapienza, per protestare contro i tagli previsti dalla riforma del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. (F. Angeli, Il Giornale 06-07-2010)
 
Il rettore Pasquino: i ricercatori improduttivi favoriti da sentenze dei TAR PDF Stampa E-mail
“Il vero dramma del mondo accademico è che chi lavora viene messo sullo stesso piano di chi non lavora”. È l’opinione di Raimondo Pasquino, rettore dell’università di Salerno e vicepresidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), dopo le accuse lanciate da Luigi Frati sui ricercatori “fannulloni”. Il rettore della Sapienza aveva dichiarato che “il 30 per cento dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza nulla ha prodotto nell'ambito della ricerca scientifica” e in generale, per quel che riguarda l’ateneo romano, “il 10 per cento dei ricercatori non ha prodotto nulla in dieci anni”. Per Frati si tratta di “persone che vanno cacciate dall'università” perché “molti rubano lo stipendio e non fanno nulla”. Secondo Pasquino va innanzitutto chiarito che in questo caso il termine “ricercatore” va riferito “a chi è già entrato nella carriera universitaria con i gradi di associato od ordinario e non al giovane ricercatore ai primi passi”. Il vicepresidente della Crui ricorda al VELINO che negli ultimi anni “le università, alla luce della legge che prevede la produttività dei professori, hanno cominciato a fare delle banche dati,” e sull’ateneo salernitano da lui diretto spiega: “Non ho i dati delle diverse facoltà dei miei docenti. So soltanto che abbiamo introdotto un correttivo: chi non ha prodotto negli ultimi anni, verrà penalizzato sui finanziamenti della ricerca. È chiaro che oggi se il sistema universitario va verso una verifica della qualità e della quantità della ricerca e della didattica, ciascun ateneo dovrà fare i conti con questi dati”. Pasquino osserva che la drastica soluzione avanzata da Frati di mandare a casa i “fannulloni” è “in realtà un rimedio già esistente nel sistema accademico”. Spiega il vicepresidente Crui: “Il giovane ricercatore che entra all’università, nel caso dopo tre anni non abbia prodotto a sufficienza, non viene confermato”. Il problema, aggiunge Pasquino, “nasce perché i Tar lasciano all’interno degli atenei coloro che non sono stati confermati. I tribunali amministrativi, infatti, mandano il ricercatore ‘bocciato’ ad altre amministrazioni. Ma se queste non lo prendono, il ricercatore resta a carico dell’amministrazione da cui proviene”. Con la conseguenza, evidenzia il rettore di Salerno, che “dopo questi tre anni coloro che sono andati fuori binario, restano su un binario morto e sono quasi giustificati a non far più nulla”. Pasquino ricorda che un tempo tutto questo non succedeva perché “se l’assistente nel giro di dieci anni non diventava libero docente veniva ‘licenziato’. Credo che sia questa la categoria a cui si riferisca Frati quando parla di ricercatori che in dieci anni non hanno prodotto nulla”. Per il vicepresidente della Crui, “il problema oggi non è il ‘licenziamento’, bensì fare in modo che lo stato giuridico preveda incentivi per chi lavora e produce, offrendo mezzi finanziari di ricerca adeguati e riconoscendo al ricercatore i passaggi successivi con percorsi programmati e certi”. E sul fatto che i docenti universitari spendano troppo tempo a insegnare e quindi hanno poco tempo per la ricerca, Pasquino dichiara: “Negli ultimi anni molti atenei hanno creato corsi di laurea per richiamare studenti, caricandosi così di crediti e di insegnamenti. A questo vanno aggiunti master e dottorati di ricerca. Abbiamo assistito, insomma, a un proliferare di attività che possono distrarre il docente dalla ricerca. Il professore universitario, invece, non deve mai dimenticare che la sua attività didattica, per non essere statica, deve basarsi proprio sulla ricerca”. (Il Velino ‘7-‘7-2019)
 
Secondo il CIVR sono il 10% su oltre 62.000 i ricercatori improduttivi PDF Stampa E-mail
Durante il prossimo autunno le università saranno tenute a inviare i dati relativi alle pubblicazioni di professori e ricercatori. Nei successivi diciotto mesi, il Civr produrrà le pagelle del sistema di ricerca. «I dati - spiega Cuccurullo - peseranno anche sulla distribuzione dei fondi alle università». Si prevede che saranno oltre 146mila i prodotti da valutare fra articoli, libri o capitoli di libri, brevetti depositati, prototipi. Ognuno dei soggetti sottoposti a valutazione dovrà presentare due pubblicazioni. «Sarà facile - spiega Cuccurullo - capire chi lavora e chi no. Prima d’ora non si erano fatte rilevazioni così approfondite». Secondo un primo screening del Civr sono il 10% su oltre 62.000 i ricercatori improduttivi. Tra un anno e mezzo sapremo esattamente chi sono e dove lavorano. Coloro che dovranno giudicare i lavori potranno semplicemente leggerli o avvalersi dei cosiddetti indici bibliometrici, ovvero del numero di volte che un lavoro viene citato e dove. Più la qualità della citazione è importante (per esempio se un lavoro viene ripreso da uno studioso di fama internazionale), maggiore è il punteggio che riceve l’autore. Conterà anche la fama internazionale del prodotto. I voti vanno da 0 a 1. Un lavoro limitato prende zero, uno eccellente uno, uno accettabile 0,5, uno buono 0,8. Se c’è un ricercatore improduttivo c’è una penalizzazione di 0,5 punti che peserà sulla graduatoria finale che i panelist (coloro che valutano) stileranno dando le pagelle a ricercatori, strutture da cui dipendono, atenei. Nel giro di un anno e mezzo si potrà sapere dove si fa la ricerca migliore con dati recenti e approfonditi. Più il lavoro è innovativo, più ha un peso internazionale, più ha una potenzialità anche in termini economici maggiore sarà il voto. (I. Ricci, Il Messaggero 07-07-2019)
 
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