Home 2010 06 Giugno
06 Giugno
Nessuna retromarcia sulla riforma delle università PDF Stampa E-mail
L'articolo sul Corriere della Sera dal titolo «Università, freno nella riforma alla mossa contro i baroni» dà un’immagine capovolta di quanto sta succedendo al disegno di legge del governo per la riforma dell'università. Il testo approvato dalla commissione cultura del Senato dopo un attento lavoro spesso condiviso con l'opposizione non solo non stravolge, ma anzi rafforza nettamente l'impianto riformista del disegno. Molti temevano cedimenti e retromarce: al contrario, dove il testo è cambiato è perché ci si è spinti più avanti sulla strada delle riforme, come aveva auspicato lo stesso ministro Mariastella Gelmini. Proprio i punti sollevati nell'articolo lo dimostrano. I poteri del direttore generale sono stati rafforzati ed è stato chiarito che egli opererà, come accade per qualsiasi dg, sulla base degli indirizzi forniti dal consiglio di amministrazione. Tra i membri esterni del CdA non possono più essere computati i rappresentanti degli studenti, che sono per legge almeno due: quindi almeno cinque consiglieri su undici saranno esterni. Quelli interni, tra l'altro, non saranno scelti su base elettiva, ma dovranno caratterizzarsi per «comprovata competenza gestionale ovvero esperienza professionale di alto livello». Quanto ai mandati dei rettori, sono stati respinte tutte le manovre per consentire, a chi ha già fatto almeno due mandati, di poterne fare altri. Mi sembra pertanto del tutto improprio concludere, come fa il titolo dell'articolo, che il passaggio in commissione ha favorito i «baroni». Il ddl nel suo complesso disegna invero per la prima volta una «governance» capace di rendere competitivo il nostro sistema: si distinguono in modo netto le competenze di cda e senato, attribuendo al cda in via esclusiva l'approvazione del piano triennale di sviluppo, l'apertura o la soppressione di corsi e di sedi, l'ultima parola sull'assunzione del personale. Si riforma radicalmente il reclutamento dei docenti, si introduce un sistema di valutazione degli atenei, si danno gli scatti stipendiali solo a chi abbia raggiunto risultati di qualità, si prevede il commissariamento delle università in dissesto e l'accreditamento di quelle meritevoli, premessa per il superamento del vincolo del valore legale della laurea. Quanto al fondo per il merito degli studenti esso distingue chiaramente tra premi aperti a tutti e buoni di studio parametrati sul reddito, proprio per favorire l'esigenza di promozione sociale che Abravamel giustamente ricorda. Di fronte a queste ed altre importanti innovazioni invocare il modello Harvard, o altri modelli altrettanto lontani dalla storia e dalla realtà del nostro Paese significa solo sbarrare la strada alle riforme concrete e importanti che il ddl rende finalmente possibili e rischia di farci rimanere fermi alle tante «Eboli» del sistema italiano. Che detto in altri termini: «chi troppo vuole rischia di nulla stringere». (G. Valditara, Corsera 24-05-2010)
 
Emanato il regolamento dell’ANVUR PDF Stampa E-mail
Con decreto del Presidente della Repubblica (GU n. 122 del 27-05-2010  - Suppl. Ordinario n. 109) è stato emanato il Regolamento concernente la struttura e il funzionamento dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), adottato ai sensi dell'articolo 2, comma 140, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Il testo entra in vigore dall’11-6-2010.
 
Il profilo dei laureati nella XII indagine AlmaLaurea PDF Stampa E-mail
Continua l’alternarsi di giudizi nei confronti della riforma dei corsi di laurea attuata negli ultimi dieci anni. Dopo la bocciatura giunta il mese scorso dalla Corte dei Conti, il consorzio AlmaLaurea ha reso noto il 26 maggio un giudizio sull’ultima riforma dell'università praticamente opposto. La notizia è che non si può certo parlare di disastro o fallimento della riforma. Lo rivela la dodicesima indagine sul profilo dei laureati pubblicata da AlmaLaurea e incentrata tutta sul confronto tra il 2001 e il 2009, ovvero il decennio della riforma accademica. Ad Andrea Cammelli, presidente del consorzio che abbraccia sessanta atenei italiani, il compito di delinearci il quadro rassicurante: “E’ aumentato il numero di laureati, si è ridotta considerevolmente l’età alla laurea, quadruplicato il numero dei laureati in corso, aumentata la frequenza alle lezioni, migliorato il rapporto con il mondo produttivo triplicando le esperienze di stage durante gli studi, anticipato, almeno per i laureati specialistici, il raggiungimento degli obiettivi strategici dell’Europa rispetto alle esperienze di studi all’estero. Come dovrebbe valutare l’opinione pubblica un Paese che raggiunge questi traguardi nella formazione dei suoi giovani? Alzi la mano, dunque, chi si sarebbe aspettato questo scenario, e via con le cifre. A partire dall’incremento, considerevole, del 71% in più di titoli conseguiti: 293mila nel 2009 contro 172mila nel 2001. Una crescita banale e ovvia, se consideriamo la duplicazione dei corsi di laurea, significativa se corretta con il dato degli anni accademici portati a termine: 22% in più di studenti laureati. Quello che sembrerebbe, invece, il regalo più gradito della riforma è l’aumento della regolarità degli studi: quadruplicati i laureati in corso, passati dal 9,5% del 2001 al 39,2 % del 2009, con punte eccezionali per i laureati nel settore sanitario (72,8%) e una perdurante difficoltà degli iscritti in facoltà giuridiche (solo il 18,2% dei laureati in corso). Risultato che cammina di pari passo con l’incoraggiante abbassamento dell’età della laurea: dai 28 anni dei titolati pre-riforma ai 27,1 degli studenti che hanno tagliato il traguardo nel 2009, dato ancora più confortante se rapportato all’innalzamento dell’età media dell’immatricolazione (da 20 a 21,1 anni). Il cammino accademico, in sostanza, si comincia più tardi e si conclude in anticipo. Non manca, nel XII rapporto AlmaLaurea, neppure un curioso dato sui baby-dottori (17 laureati su cento con un’età inferiore a 23 anni) e un’interessante annotazione sulla “fedeltà” territoriale: il 78,5 % dei laureati di primo livello ha studiato nella regione di residenza e l’85% di loro ha proseguito con la specialistica nello stesso Ateneo. Non manca, tuttavia, la nota stonata. Ed è ciò che temevamo, ovvero l’aggravamento della condizione occupazionale di tutti i laureati, di quelli “toccati” dalla riforma e degli studenti a ciclo unico: per i laureati negli anni 1999 – 2006 a 3 anni dalla laurea, infatti, il tasso di occupazione è sceso di 8,6 punti percentuali (da 85,9% al 77,3%); a cinque anni dal titolo, si è ridotto di 3,8 punti percentuali (da 90,5 a 86,7%). Una circostanza che spinge ancora a considerare mezzo vuoto il bicchiere dell’Università italiana, assieme alle preoccupazioni manifestate da Cammelli nel comunicato di AlmaLaurea: difficoltà relative ai finanziamenti, incertezza di un processo riformatore ancora in atto e soprattutto la scomoda posizione di docenti e ricercatori, definiti “samaritani” della cultura: “I giovani, anche i più preparati, rischiano di restare intrappolati fra un sistema produttivo che non assume e un mondo della ricerca carente di mezzi. Perché è certo che lo stesso esercito dei samaritani non sarà sufficiente a garantire la ripresa e un futuro di sviluppo se il Paese continuerà a non considerare gli investimenti in formazione superiore e ricerca come investimenti prioritari e strategici”. (http://scuolabus.tgcom.it/wpmu/2010/05/28/sorpresa-almalaurea-promuove-il-32/)
 
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