Home 2010 03 Maggio
03 Maggio
Un’interpellanza parlamentare sulle università telematiche PDF Stampa E-mail

- Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

- Per sapere –

premesso che: dovevano essere la grande sfida dell'e-learning italiano, la rete di atenei che avrebbe permesso anche al nostro Paese di entrare a testa alta nel mondo delle università on-line e dell'insegnamento a distanza, invece, a sette anni dalla loro nascita, gli atenei telematici italiani sono diventati a tutti gli effetti un «sistema parallelo» per ottenere a pagamento una laurea in tempi da record, accorciando corsi di studio e collezionando crediti formativi. Un metodo rodato e oliato per diventare dottori a caro prezzo ma con il minimo dell'impegno. Un anno di studi come sconto garantito, 24 mesi contro i 36 necessari, esami senza rischi e tesi compilate in fretta. Un business da oltre 100 milioni di euro l'anno, senza contare i proventi di master e specializzazioni; in Italia le università telematiche sono 11, il numero più alto di tutta Europa, dove in ogni nazione ne esistono una o due soltanto, ma nonostante siano così numerose nell'anno accademico 2007/2008 tutte insieme contavano appena 13.891 studenti, con una percentuale del 90,7 per cento di immatricolati oltre i 25 anni d'età, Universitari «maturi» eppure con il primato delle «lauree precoci», quelle ottenute abbreviando cioè il corso degli studi, con il concetto di «laureare l'esperienza». E in alcuni atenei, il numero dei laureati precoci ha raggiunto nel 2008 la quota top del 69,8 i tutti gli allievi, con la conseguenza che in tali università soltanto il 30,2 egli iscritti è diventato «dottore» nei tempi canonici; i nove membri del «Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario», (Cnvsu) nel loro rapporto sullo Stato dell'università italiana 2010 hanno evidenziato, senza appello, i mali e i malcostumi degli 11 campus telematici italiani. Alcuni dei quali legati a doppio filo, anzi stretta emanazione di famosi «centri di assistenza agli esami». Con il risultato che se un'iscrizione ad un corso di laurea costa in media tra i 3 e i 4 mila euro l'anno, altrettanti ne servono per il «centro assistenza» a quell'ateneo collegato. Così in media per una laurea in tre anni si arrivano a spendere 12 mila euro. «Il vero problema è che le università telematiche, molte delle quali non avrebbero nemmeno i requisiti minimi per esistere, si sono trasformate in pochi anni in luoghi dove ottenere con facilità una laurea, che serve poi a farsi strada nella pubblica amministrazione. Con titoli del tutto equivalenti alle lauree statali sia come punteggio per i concorsi, che per gli avanzamenti di carriera», spiega Giovanni Azzone, docente al Politecnico di Milano, vicepresidente del Cnvsu. Un'ingiustizia, quindi, tutta a discapito di chi per ottenere un titolo studia e si impegna. «Nella prima fase queste università, aggiunge Azzone, hanno potuto contare sul business dei "fuori corso", gli studenti adulti che volevano migliorare la loro posizione lavorativa grazie anche alle convenzioni stipulate dagli atenei con enti pubblici, sindacati e aziende. E si spiega così, la corsa all'accreditamento di atenei sponsorizzati da gruppi privati, verso alcuni dei quali noi avevamo dato parere negativo, ma che poi sono stati autorizzati lo stesso». Ed è questa, secondo gli osservatori, una delle anomalie italiane: la sfida dell'e-learning non ha portato alla creazione di una grande università telematica pubblica, come la Uned spagnola che ha 150 mila allievi, ma alla creazione di tante piccole realtà con dichiarato scopo di lucro. Una sorta di pasticcio all'italiana, dunque, anche se gli studenti dal 2003 ad oggi sono aumentati del 900 per cento; in realtà l'insegnamento a distanza, presente fin dal 1970 in Inghilterra e da oltre trent'anni nel resto d'Europa, nasce nel nostro paese più come una corsa ad un ricco business, che come un metodo di studio universitario e di long life learning. Un'occasione mancata, soprattutto per gli studenti lavoratori, dopo lo smantellamento delle scuole serali; partendo dal dato che «dei 222 docenti di ruolo necessari a coprire i 74 corsi di studio attivati nell'anno accademico 2009/2010 oggi ne sono presenti soltanto 42», questo vuol dire che in gran parte degli atenei a distanza, spiega Giovanni Azzone del Cnvsu, «per non affrontare l'onere economico dei docenti di ruolo, si lavora con personale a contratto, con numeri ridotti al minimo, che di certo non possono garantire l'offerta formativa promessa dai corsi di laurea pubblicizzati dall'ateneo». Dunque molti di questi corsi sono fatti con scarsezza di mezzi e professionalità. Eppure le lauree così ottenute valgono quanto quelle statali. Ma il meccanismo è più sottile e a scatole cinesi. A fronte dei numeri citati nel rapporto degli esperti del ministero, e cioè 42 docenti sui 222 necessari, vi sono ben 164 posti banditi per concorso. Dove sono finiti questi docenti fantasma, come mai pur essendo stati dichiarati idonei non hanno poi avuto la cattedra nell'università telematica? «Perché nessuno era in grado di fare il lavoro che serviva nella nostra università, non avevano competenze tecnologiche», taglia corto Alessandra Briganti, rettore della «Guglielmo Marconi», nel mirino del Comitato di valutazione per aver indetto addirittura 53 concorsi in tre anni ma di aver assunto poi soltanto 9 vincitori, di cui 2 ordinari, 2 associati e 5 ricercatori; la realtà è invece nascosta nelle lacune della legge, si legge nel dossier degli esperti del Cnvsu, «perché prevedeva che per gli atenei di nuova nomina si potessero computare nell'organico non solo i docenti effettivamente presenti, ma anche le procedure concorsuali bandite e non ancora concluse». Ossia ai numeri veri si potevano sommare numeri «ipotetici». E accanto a questa improbabile statistica c'è appunto il ruolo degli accademici delle università statali. Pagati profumatamente e assai rappresentati negli organici delle telematiche. Al posto dei vincitori dei concorsi, i quali però sono spesso chiamati dalle università statali in un meccanismo di «reciprocità» insomma, per assicurarsi così cattedre e titoli, mentre la grande sfida dell'e-learning affonda tra illeciti e abusi -:

quali iniziative il Ministro intenda attuare al fine di regolamentare più rigidamente e in maniera consona a ciò che accade nelle università statali, gli istituti di istruzione e-learning.
(Interpellanza parlamentare dell'on Giorgio Jannone del Pdl – Codice rif. 4-06925. Data pubblicazione: 28/04/2010.  Fonte: avvisatore.it)

 
Segnalazione di esperti per la costituzione dei comitati di area (PANEL) per l’esercizio VQR 2004-2008 PDF Stampa E-mail

Per ciascuna Area viene costituito un Panel, composto da esperti di elevata qualificazione, anche stranieri, scelti in base alle competenze scientifiche e alle esperienze valutative già esercitate. Non possono fare parte dei Panel i legali rappresentanti delle Strutture in valutazione. I componenti dei Panel (Panelist), in numero complessivo non superiore a 540, sono nominati dal Ministro su proposta del CIVR. A ciascun Panelist spetta un compenso nei termini di cui all’art. 13 c. 3 del D.M. n. 8 del 19.03.2010. Ciascun Panel elegge a maggioranza semplice al suo interno il Presidente; la votazione avviene per via telematica.

Ai Panel è affidata la responsabilità di valutare la qualità di ciascuna delle pubblicazioni scientifiche selezionate dalle Strutture, per giungere a una graduatoria (ranking list) delle Strutture stesse, in ciascuna Area.

Testo integrale: http://civr.miur.it/modulo.html
 
La valutazione della ricerca e l’ANVUR PDF Stampa E-mail
A conclusione di queste brevi riflessioni (vedi testo completo) su un tema (la valutazione della ricerca), di grande complessità ed oggetto di dibattito continuo anche nei Paesi di più antica tradizione nel campo della valutazione della ricerca, è opportuno sottolineare alcuni rischi. Il primo è che un'ANVUR, ridimensionata nelle competenze e strutturata come un organismo emanazione del ministro, invece di essere la leva per il miglioramento della qualità e la semplificazione del funzionamento del nostro sistema scientifico, finisca col diventare un'ulteriore struttura burocratica che si aggiunge a quelle già esistenti favorendo ancora una volta i comportamenti opportunistici che hanno spesso caratterizzato la vita accademica nel nostro Paese. Un ulteriore rischio che mi sembra di intravedere è un'insufficiente consapevolezza dei tempi e dei costi della valutazione. La valutazione ex-post della ricerca richiede tempo ed i miglioramenti della performance delle istituzioni coinvolte non si potranno apprezzare significativamente nel breve termine, che è il tipico orizzonte temporale di chi opera a livello politico. Inoltre, occorre aver sempre presente che una buona valutazione è un'attività costosa ed impegnativa che, se ben eseguita, contribuirà a cambiare cultura e comportamenti all'interno del sistema scientifico italiano e, come tutti i buoni investimenti, produrrà benefici ampiamente superiori al suo costo. L'importante è non pretendere risultati immediati ed avere anche la pazienza di costruire gradualmente le strutture e formare le competenze professionali necessarie nel settore della valutazione che oggi sono certamente insufficienti nel nostro Paese. (L. Bianco, MATEPristem UNIBOCCONI 20-04-2010)
 
« InizioPrec.123456789Succ.Fine »

Pagina 5 di 9