Home 2010 15 Marzo
15 Marzo
Il riordino delle scuole mediche di specializzazione PDF Stampa E-mail
Il 5 febbraio il ministro Gelmini ha firmato il decreto che assegna 5mila contratti di formazione specialistica per il 2009-2010 non più alle scuole federate, come lo scorso anno accademico, ma «aggregate». Di fatto, rispetto al 2007-2008, 466 scuole, per un totale di 616 contratti, perdono la titolarità e sono accorpate agli atenei maggiori. Altrettanti docenti non potranno più fregiarsi del titolo di direttore di scuola. E gli specializzandi dovranno ruotare tra tutte le strutture della rete formativa aggregata. Le Università si sono già dovute adeguare: nei bandi per l'accesso alle scuole, i contratti da 25mila l'euro l'anno sono assegnati per ogni specializzazione esclusivamente all'ateneo capofila. Gli altri compaiono come «atenei con scuole aggregate». Una rivoluzione che suscita proteste e rischia di scatenare ricorsi. Con rettori e presidi di Medicina sul piede di guerra. I numeri del riordino. L'effetto della riforma è quello di polarizzare la formazione attorno ai grandi atenei. L'Università di Roma La Sapienza fa l'asso pigliatutto: aggrega 60 scuole e 72 contratti, soprattutto dal Centro Italia. La Statale di Milano ne accorpa 40, per un totale di 51 contratti. Di contro, alcuni atenei sono svuotati: Foggia perde 20 scuole su 21 e non guadagna nemmeno un contratto, la "Sapienza 2" perde 22 scuole su 27 e non ottiene uno specializzando in più (la filosofia, in questo caso, è quella di evitare i doppioni di scuole nelle stesse Università). Solo per altri dieci atenei su 40, oltre a Milano e Roma, i contratti che arrivano superano quelli che si perdono: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Chieti, Ferrara, Firenze, Napoli Federico II, Padova e Palermo. Dai tagli si salvano le dieci scuole ritenute di maggiore impatto per il SSN che raccolgono la metà dei 5mila contratti. Sfuggite all'accetta anche le tre università private: San Raffaele di Milano, Cattolica e Campus biomedico di Roma. Tra le specialità "tagliate", che comprendono 2.490 contratti, la sorte peggiore è per tossicologia medica che perde il 75% di scuole, seguita da audiologia e foniatria (71%) e da chirurgia pediatrica (70%). Le meno toccate sono invece ortopedia (-3% di scuole), oncologia, igiene e medicina preventiva e geriatria (-9%). Criteri, obiettivi e linee guida. Quattro i parametri seguiti per l'aggregazione delle scuole, perfezionati il 3 novembre dalla «commissione di esperti per la razionalizzazione delle scuole di specializzazione» guidata dall'endocrinologo Aldo Pinchera: la dotazione di docenti, i volumi di attività della rete formativa, l'adeguatezza delle dimensioni della facoltà di Medicina e l'assegnazione media di almeno tre contratti nel quinquennio 2003-2008. Requisito ritenuto però non vincolante, anche se di fatto utilizzato per aggregare 458 scuole. «L'obiettivo che ci ha guidato - spiega Gabriella Bacchiocchi del ministero dell'Istruzione - è quello di avvicinare l'Italia all'Europa come totale di scuole, passando da quasi 1.800 a meno di mille. In prospettiva si potranno apportale correzioni e attuare nuove strategie: dall'esame unico nazionale all'accorpamento di alcune specialità, come chirurgia pediatrica o chirurgia dell'apparato digerente, che potranno confluire nella chirurgia generale». (Sanità 04-03-2010)
 
I ricercatori emigrano e con loro gli investimenti fatti per formarli PDF Stampa E-mail
Formare un buon ricercatore è un processo lento, e costoso. Per raggiungere l'eccellenza occorre investire nella scuola e nell'educazione ad ogni livello, fin dai primi livelli. Ma questo investimento ovviamente non serve solo ai futuri ricercatori...Le università e i centri di ricerca di tutto il mondo sono in genere alla ricerca dei migliori, indipendentemente dalla loro nazionalità. Questo "flusso di cervelli" è stato, per esempio, alla base della supremazia tecnologica degli Stati Uniti. Se la migrazione è bilanciata, nessuna nazione guadagna o perde ricercatori, anzi, migliora certamente l'apertura mentale degli addetti alla ricerca e quindi la loro capacità di scoprire il nuovo. La mancanza di prospettive di carriera in Italia spinge però i nostri migliori ricercatori, inesorabilmente, all'estero, senza che questa fuga sia bilanciata da "stranieri" che si spostano in Italia per compiere le loro ricerche. Bisogna considerare che la formazione di un ricercatore è un processo lungo, comprendendo l'università, il dottorato e in genere qualche anno di ricerca post-doc all'estero. Sulla soglia dei trent'anni un ricercatore è maturo, ma non gli si può offrire solo posti precari, mal pagati e senza prospettive certe di carriera. Con che animo un giovane può mettere su famiglia in queste condizioni? Con quale disposizione mentale si dedicherà alla ricerca? Probabilmente, invece di cercare di primeggiare, con poche speranze di essere poi scelto da qualche struttura prestigiosa, passerà gran parte del suo tempo a fare domande e partecipare a concorsi per assicurarsi la sopravvivenza l'anno venturo...I nostri ricercatori sono, finora, di ottimo livello, e lo dimostra il fatto che riescono a vincere posti nei concorsi nelle altre nazioni. Ma ogni ricercatore che è assunto all'estero, senza che ci sia un ricercatore straniero assunto da noi, rappresenta una perdita netta per il "sistema Italia". Con il ricercatore se ne vanno tutti gli investimenti fatti per formarlo, e tutte le innovazioni che lui avrebbe potuto scoprire qui. (Caffè-Scienza 04-03-2010)
 
Proteste degli studenti contro l’aumento delle tasse all’università negli Stati Uniti PDF Stampa E-mail
Lo sciopero organizzato in California contro l'aumento delle tasse all'università è finito con scontri tra studenti e polizia. Oltre 150 gli studenti arrestati e un ferito, ricoverato in gravi condizioni. Sono scesi in piazza migliaia di studenti californiani. La protesta, partita dalla prestigiosa università di Berkeley, ora rischia di estendersi anche fuori dal Golden State, coinvolgendo, com’era successo alla fine degli anni '60 gli atenei americani.
Sit in a Berkeley, cortei a Oakland, arresti a Milwaukee e Manhattan, manifestazioni di studenti e insegnanti dal Texas all’Alabama: per un giorno i campus pubblici si sono trasformati nel palcoscenico della rivolta contro i tagli economici destinati a far lievitare le rette come a far diminuire i corsi. L’«Action Day» per la «difesa dell’educazione pubblica» è iniziato davanti ai cancelli di Berkeley, l’ateneo della California che generò la protesta del Sessantotto, quando un centinaio di studenti impegnati nelle lezioni di yoga hanno deciso di restare dove erano, senza tornare nelle classi, dando vita a un sit in contro il 30 per cento di tagli ai fondi universitari varato dal governatore Arnold Schwarzenegger per tentare di ripianare un debito statale di oltre 20 miliardi di dollari. Poche ore dopo un corteo di studenti si è diretto verso Oakland, scendendo in strada assieme agli insegnanti con cartelli su cui campeggiavano le scritte «Difendiamo l’istruzione pubblica» e «Mettete i soldi nei nostri cervelli». La manifestazione è sconfinata sull’autostrada 880 con il risultato di bloccare il traffico facendo scattare l’intervento della polizia.
Almeno 150 persone sono finite agli arresti. Manette anche per alcuni giovani all’Hunter College di New York, nell’Upper East Side di Manhattan, dove a centinaia hanno occupato corridoi e aule arrecando danni che la polizia ha definito «vandalici» stimandone il valore in decine di migliaia di dollari «che dovranno essere pagati dai responsabili». Le proteste sono state comunque in gran parte pacifiche in circa cento località in 32 differenti Stati, accomunati dall’incombere della scure sui bilanci di scuole, licei, college e atenei pubblici. Sebbene si tratti di bilanci locali, in molti casi le proteste hanno investito il governo federale. A San Francisco un gruppo di sindacalisti ha chiamato in causa il presidente Obama che aveva fatto dell’aiuto agli studenti un suo cavallo di battaglia elettorale: «Stiamo andando verso la privatizzazione delle scuole e lui se la ride». «Il risultato dei tagli sarà che pagheremo rette più alte per avere meno istruzione» ha spiegato al «Los Angeles Times» Jessica Naujoks, studentessa di arti all’Università di California, spiegando che la diminuzione dei fondi statali all’ateneo porterà ad accrescere i costi di iscrizione «del 20-30 per cento» mentre «il numero delle classi diminuirà del 13 per cento». Da qui la solidarietà dei docenti, 19 mila dei quali in California perderanno il posto nel prossimo anno di studi in ogni tipo di scuola. Fra questi c’è anche Sara Melzer, professore di francese a Los Angeles: «La protesta degli alunni per l’aumento delle rette è solo la punta dell’iceberg, è l’intera istruzione pubblica che sta affondando, licei e college inclusi». Vi sono stati anche momenti di forte tensione, com’è avvenuto ad esempio nell’ateneo di Milwaukee, in Wisconsin, quando una delegazione di 125 studenti e professori ha marciato compatta verso l’ufficio del preside per consegnargli una petizione «contro la deriva verso la privatizzazione degli studi». La polizia ha temuto il peggio ed è intervenuta con caschi e manganelli, usando spray accecanti e arrestando 15 persone. In Texas, Illinois e Alabama le proteste hanno avuto come destinatari governatori e legislatori locali con una mobilitazione di decine di migliaia di giovani, spesso affiancati anche dalle famiglie. Bisogna comprendere bene quanto sta avvenendo - spiega Jack Scott, dell’associazione degli insegnanti in California - perché una delle conseguenze dei tagli pubblici sarà che solo nel nostro Stato il prossimo anno non vi saranno corsi per almeno 20 mila studenti di ogni età. (ANSA 05-03-2010, M. Molinari, La Stampa 06-03-2010)
 
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