I ricercatori emigrano e con loro gli investimenti fatti per formarli |
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Formare un buon ricercatore è un processo lento, e costoso. Per raggiungere l'eccellenza occorre investire nella scuola e nell'educazione ad ogni livello, fin dai primi livelli. Ma questo investimento ovviamente non serve solo ai futuri ricercatori...Le università e i centri di ricerca di tutto il mondo sono in genere alla ricerca dei migliori, indipendentemente dalla loro nazionalità. Questo "flusso di cervelli" è stato, per esempio, alla base della supremazia tecnologica degli Stati Uniti. Se la migrazione è bilanciata, nessuna nazione guadagna o perde ricercatori, anzi, migliora certamente l'apertura mentale degli addetti alla ricerca e quindi la loro capacità di scoprire il nuovo. La mancanza di prospettive di carriera in Italia spinge però i nostri migliori ricercatori, inesorabilmente, all'estero, senza che questa fuga sia bilanciata da "stranieri" che si spostano in Italia per compiere le loro ricerche. Bisogna considerare che la formazione di un ricercatore è un processo lungo, comprendendo l'università, il dottorato e in genere qualche anno di ricerca post-doc all'estero. Sulla soglia dei trent'anni un ricercatore è maturo, ma non gli si può offrire solo posti precari, mal pagati e senza prospettive certe di carriera. Con che animo un giovane può mettere su famiglia in queste condizioni? Con quale disposizione mentale si dedicherà alla ricerca? Probabilmente, invece di cercare di primeggiare, con poche speranze di essere poi scelto da qualche struttura prestigiosa, passerà gran parte del suo tempo a fare domande e partecipare a concorsi per assicurarsi la sopravvivenza l'anno venturo...I nostri ricercatori sono, finora, di ottimo livello, e lo dimostra il fatto che riescono a vincere posti nei concorsi nelle altre nazioni. Ma ogni ricercatore che è assunto all'estero, senza che ci sia un ricercatore straniero assunto da noi, rappresenta una perdita netta per il "sistema Italia". Con il ricercatore se ne vanno tutti gli investimenti fatti per formarlo, e tutte le innovazioni che lui avrebbe potuto scoprire qui. (Caffè-Scienza 04-03-2010) |
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Proteste degli studenti contro l’aumento delle tasse all’università negli Stati Uniti |
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Lo sciopero organizzato in California contro l'aumento delle tasse all'università è finito con scontri tra studenti e polizia. Oltre 150 gli studenti arrestati e un ferito, ricoverato in gravi condizioni. Sono scesi in piazza migliaia di studenti californiani. La protesta, partita dalla prestigiosa università di Berkeley, ora rischia di estendersi anche fuori dal Golden State, coinvolgendo, com’era successo alla fine degli anni '60 gli atenei americani. Sit in a Berkeley, cortei a Oakland, arresti a Milwaukee e Manhattan, manifestazioni di studenti e insegnanti dal Texas all’Alabama: per un giorno i campus pubblici si sono trasformati nel palcoscenico della rivolta contro i tagli economici destinati a far lievitare le rette come a far diminuire i corsi. L’«Action Day» per la «difesa dell’educazione pubblica» è iniziato davanti ai cancelli di Berkeley, l’ateneo della California che generò la protesta del Sessantotto, quando un centinaio di studenti impegnati nelle lezioni di yoga hanno deciso di restare dove erano, senza tornare nelle classi, dando vita a un sit in contro il 30 per cento di tagli ai fondi universitari varato dal governatore Arnold Schwarzenegger per tentare di ripianare un debito statale di oltre 20 miliardi di dollari. Poche ore dopo un corteo di studenti si è diretto verso Oakland, scendendo in strada assieme agli insegnanti con cartelli su cui campeggiavano le scritte «Difendiamo l’istruzione pubblica» e «Mettete i soldi nei nostri cervelli». La manifestazione è sconfinata sull’autostrada 880 con il risultato di bloccare il traffico facendo scattare l’intervento della polizia. Almeno 150 persone sono finite agli arresti. Manette anche per alcuni giovani all’Hunter College di New York, nell’Upper East Side di Manhattan, dove a centinaia hanno occupato corridoi e aule arrecando danni che la polizia ha definito «vandalici» stimandone il valore in decine di migliaia di dollari «che dovranno essere pagati dai responsabili». Le proteste sono state comunque in gran parte pacifiche in circa cento località in 32 differenti Stati, accomunati dall’incombere della scure sui bilanci di scuole, licei, college e atenei pubblici. Sebbene si tratti di bilanci locali, in molti casi le proteste hanno investito il governo federale. A San Francisco un gruppo di sindacalisti ha chiamato in causa il presidente Obama che aveva fatto dell’aiuto agli studenti un suo cavallo di battaglia elettorale: «Stiamo andando verso la privatizzazione delle scuole e lui se la ride». «Il risultato dei tagli sarà che pagheremo rette più alte per avere meno istruzione» ha spiegato al «Los Angeles Times» Jessica Naujoks, studentessa di arti all’Università di California, spiegando che la diminuzione dei fondi statali all’ateneo porterà ad accrescere i costi di iscrizione «del 20-30 per cento» mentre «il numero delle classi diminuirà del 13 per cento». Da qui la solidarietà dei docenti, 19 mila dei quali in California perderanno il posto nel prossimo anno di studi in ogni tipo di scuola. Fra questi c’è anche Sara Melzer, professore di francese a Los Angeles: «La protesta degli alunni per l’aumento delle rette è solo la punta dell’iceberg, è l’intera istruzione pubblica che sta affondando, licei e college inclusi». Vi sono stati anche momenti di forte tensione, com’è avvenuto ad esempio nell’ateneo di Milwaukee, in Wisconsin, quando una delegazione di 125 studenti e professori ha marciato compatta verso l’ufficio del preside per consegnargli una petizione «contro la deriva verso la privatizzazione degli studi». La polizia ha temuto il peggio ed è intervenuta con caschi e manganelli, usando spray accecanti e arrestando 15 persone. In Texas, Illinois e Alabama le proteste hanno avuto come destinatari governatori e legislatori locali con una mobilitazione di decine di migliaia di giovani, spesso affiancati anche dalle famiglie. Bisogna comprendere bene quanto sta avvenendo - spiega Jack Scott, dell’associazione degli insegnanti in California - perché una delle conseguenze dei tagli pubblici sarà che solo nel nostro Stato il prossimo anno non vi saranno corsi per almeno 20 mila studenti di ogni età. (ANSA 05-03-2010, M. Molinari, La Stampa 06-03-2010) |
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