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16 Luglio
USA. L’AIUTO PUBBLICO AGLI STUDENTI UNIVERSITARI PDF Stampa E-mail
L’aiuto pubblico agli studenti universitari negli Stati Uniti è aumentato negli ultimi tempi, in proporzione al prezzo dei college, sempre più alto rispetto ai guadagni delle famiglie che, anche in un periodo di crisi economica, non vogliono rinunciare all’educazione post secondaria per i propri figli, nella convinzione che il successo dipenda dalla frequenza al college. Lo Stato appoggia questa ambizione con prestiti, borse di studio, benefici fiscali. Il rapporto Trends in Student Aid dimostra come nel 2011 il ricorso agli aiuti sia in crescita per vari motivi: la persistente crisi delle famiglie, la difficoltà a mantenere il posto di lavoro, i risparmi andati in fumo a causa del crollo della Borsa e l’aumento delle tasse universitarie. Nel 2011 le famiglie hanno fatto sempre più ricorso ai benefici fiscali. Trends in Student Aid dimostra quanto l’amministrazione Obama sia orientata a sostenere economicamente gli studi post secondari. Per esempio i Pell Grants, borse di studio che conferiscono sino a 5.500 dollari all’anno a studente, nel 2010 sono aumentati del 67%. Nel 2010-11 sono stati spesi quasi 230 miliardi di dollari tra borse di studio, prestiti, e riduzione delle tasse. In più, gli studenti hanno avuto prestiti personali per 8 miliardi dai governi locali e dai privati. Nel 2010-2011 il 46% delle borse di studio proviene dal governo federale. Solo 10 anni prima era il 29%. Anche per i prestiti la prima fonte è il governo federale.
(Fonte: M. Viglione, rivistauniversitas 20-06-2012)
 
AUSTRALIA. CARATTERISTCHE E COSTI DELLE UNIVERSITÀ PDF Stampa E-mail

Tutte le maggiori università australiane sono pubbliche. Le rette sono care, i campus sono città nelle città e le aule, i laboratori e gli impianti sportivi sono all’avanguardia. L’anno universitario è diviso in due semestri di più o meno 20 settimane ciascuno e a ogni corso corrisponde un numero di crediti proporzionale alle ore di lezione impartite. La vita dello studente è scandita da una fitta serie di scadenze rappresentate da paper che quasi sempre sostituiscono l’esame finale.
Il ciclo universitario è diviso in 2 livelli: Undergraduate (che dura di solito 3-4 anni) e Postgraduate (programmi di master e dottorato). I corsi undergraduate costano tra i 7.000 e i 13.000 dollari australiani a semestre, per un totale che è generalmente attorno ai 50.000 dollari.  A livello postgraduate lo studente può scegliere tra un Master Coursework (da 1 a 2 anni, strutturato in corsi ed esami) e un Master Research (2 anni che consistono in una tesi di ricerca a tempo pieno). Infine, in cima alla carriera di studi c’è il PhD, che dura come minimo 3 anni, a tempo pieno. I costi dei programmi master vanno dai 6.000 dollari a semestre richiesti per le discipline agevolate dal governo (matematica, statistica, fisica) fino ai 18.000 a semestre per i corsi di studi in legge o business offerti dagli atenei più prestigiosi. Insomma, studiare in Australia costa tanto. Il governo è però generoso con i propri studenti e offre numerose borse di studio, prevalentemente basate sul merito. Inoltre sono previsti sistemi di prestiti d’onore che permettono agli studenti di frequentare l’università “a debito” e ripagare i costi delle rette sostenute dallo stato solo una volta raggiunto un determinato livello di reddito da lavoro. In questo caso, lo stato contribuisce al pagamento delle rette universitarie per una cifra massima di 112.134$ per medicina, odontoiatria e veterinaria e di 89.706$ per le altre facoltà, per tutta la durata dei corsi. Terminati gli studi, il laureato è obbligato a ripagare il debito contratto con lo stato ogni qual volta il suo reddito annuale supera i 44.990$. La quota di prelievo annuale destinata a ripagare il debito cresce proporzionalmente al reddito dichiarato: fino a 50.000$ è il 4%, tra 50.000$ e 55.000$ è il 4,5% e poi arriva fino all’8% per i redditi oltre gli 83.500$. In sostanza, chi per tutta la vita dichiarasse un reddito annuale di 44.000$ non dovrebbe restituire nemmeno un dollaro allo stato, mentre chi ne guadagnasse 45.000$ dovrebbe versare allo stato circa 1.800$ all’anno fino all’esaurimento del debito. Sul debito contratto non vengono applicati interessi e l’unica rivalutazione sia quella relativa al tasso d’inflazione medio annuale.
Dopo i finanziamenti governativi, sono le tasse degli studenti stranieri a rappresentare il più rilevante contributo economico per le università. Guardando le statistiche si nota come gli atenei australiani primeggino a livello mondiale per percentuale di studenti stranieri iscritti. Tra le ragioni di questo successo si annoverano la reputazione internazionale e il fascino rappresentato da campus situati a pochi metri dalle spiagge (come UNSW a Sydney) o tra la foresta tropicale e la barriera corallina (James Cook University). Ma il vero motivo, e quello che più di ogni altro spinge in alto la presenza straniera, è la capacità di attrarre gli studenti asiatici, cinesi, thailandesi o vietnamiti. In un’università come la Macquarie University di Sydney ci sono facoltà dove il 70% degli iscritti è straniero, per lo più asiatico.
(Fonte: M. Morini, IlBo 04-07-2012)

 
L’IDEA DI UNIVERSITÀ TRA PASSATO E FUTURO PDF Stampa E-mail

Curatori: Roberto Celada Ballanti e Letterio Mauro. De Ferrari Editore, Genova 2012, 122 pp.
Un’antologia che studia l’università degli ultimi due secoli dal punto di vista filosofico. Humboldt, riformatore dell’Università di Berlino nel 1809-1810, ministro dell’Istruzione del governo prussiano, è stato il promotore di un’università moderna: autonoma dallo Stato, che deve solo garantire aiuti esterni, e socratica nei fini, sempre in costante posizione di ricerca. Se nella scuola esistono il maestro e il discente, nell’università entrambi esistono in funzione della scienza: non si accolgono passivamente i saperi, ma c’è una libera collaborazione tra chi insegna e chi impara. Poiché la scienza non è una conoscenza acquisita, l’esperienza del professore si unisce all’energia dello studente in un’incessante ricerca della verità. Il fine è la ricerca scientifica e la formazione morale dell’uomo: per questo Humboldt propone una formazione completa, che unisca la scienza alla formazione morale. L’innovazione di Humboldt è proprio nell’idea di formare l’umanità: è nell’università che si formano non solo i ricercatori, ma anche i funzionari dello Stato e i professionisti, i magistrati, i medici, i maestri. C’è quindi un delicato equilibrio tra la ricerca scientifica (per pochi) e la preparazione professionalizzante (per la maggioranza). Egli progetta un sistema educativo in cui il conseguimento della competenza professionale mira alla formazione completa dell’uomo. Egli sostiene che l’università è un istituto di libertà che ha bisogno di una struttura semplice e snella. Concezione molto distante da quella attuale: «Oggi l’università è come un supermercato – scrive Domenico Venturelli – con crediti e debiti e offerta formativa. Con la raccolta a punti e i premi. Un’università deformata con un’immensità di corsi».
Per John Henry Newman l’università aiuta lo studente a «imparare a imparare», ad allargare le conoscenze coltivando la mente. Quindi l’università, oltre ai contenuti – che richiedono un metodo –, deve trasmettere l’educazione: implica un’azione sulla nostra natura mentale, la formazione di un carattere. Il fine di un corso universitario non è il diritto o la medicina, ma una visione di tutto il sapere, con un’ampiezza mentale, libertà e autocontrollo, cioè l’educazione liberale. Newman dice no alla mera erudizione, no all’enciclopedismo illuminista, no alle nozioni. Gli strumenti che fornisce l’università sono le capacità di sintesi e l’ampiezza mentale che si ha solo con il confronto delle idee. La conoscenza è vista non come acquisizione, ma come filosofia. Centrale in questo senso è la teologia, che dà senso al sapere e ne permette la sintesi.
Karl Jaspers è molto legato alla visione di Humboldt, pensa a un’università romantica, guidata dalla filosofia. Vede l’educazione in modo socratico e lo studente come risorsa indispensabile per la conoscenza. Sapere e ricerca vivevano però cambiamenti epocali a causa dello sviluppo di scienza e tecnica, dell’avvento dell’industria, delle masse, della democrazia. Proprio nella massificazione e negli apparati burocratici statali Jaspers colse il pericolo più grande per lo spirito dell’università che dovrebbe unire ricerca, insegnamento e formazione. Il filosofo tedesco husserliano  Martin Heidegger vorrebbe recuperare una concezione unitaria della scienza. Per Edith Stein, di origine ebraica, anche lei tedesca e husserliana (tradusse il saggio di Newman The idea of University nel 1923, quando si era già convertita al cristianesimo), l’università forma l’uomo nella sua globalità, virtù comprese, conformemente al progetto pensato per lui da Dio. Un lavoro scientifico condotto in profondità educa a essere scrupolosi, retti, a rifuggire dalla superficialità e da tutto ciò che è retorica. Il pericolo è un sapere di tipo specialistico, privo di anima. Anche per lei, sulla scia di Humboldt e di Newman, insegnamento e ricerca sono strettamente collegati. Nel volume altri approfondimenti sono dedicati a Giovanni Gentile, Max Weber, Ernst Bloch e Jürgen Habermas.
(Fonte: recensione di M. Viglione, rivistauniversitas)

 
GOVERNING HIGHER EDUCATION: NATIONAL PERSPECTIVES ON INSTITUTIONAL GOVERNANCE PDF Stampa E-mail

Autori: Alberto Amaral, Glen A. Jones, Berit Karseth. Ed. Springer, 31-12-2002, pp. 298.
The most comprehensive international discussion of higher education governance ever published, this volume presents a critical analysis of governance issues and reforms in nine countries, including Australia, Belgium, Canada, France, The Netherlands, Norway, Portugal, the United Kingdom, and the United States. The authors share a common view that higher education governance has become an important issue as systems and institutions struggle to deal with new external and internal demands, but each chapter presents a unique perspective in the analysis of national systems and recent reforms. The book draws together many of the leading international scholars in higher education to explore different theoretical perspectives and present new empirical evidence on system and institutional governance issues. In the concluding chapter, the common things emerging from these national perspectives are presented and analysed, and an agenda for future research is discussed.
(Fonte)

 
HIGHER EDUCATION IN THE CENTURY: GLOBAL CHALLENGES AND INNOVATIVE IDEAS PDF Stampa E-mail

Curatori: Philip G. Altbach e Patti McGill Peterson. Ed. Boston College, pp.197. 2007.
L’insegnamento superiore è ormai una vera e propria industria: qualità e accessibilità sono elementi determinanti per il buon posizionamento delle istituzioni nello scenario internazionale. Secondo Philip Altbach – curatore del volume e direttore del Center for International Higher Education del Boston College – in questo scenario sono indispensabili misure capaci di assicurare il mantenimento della qualità delle funzioni universitarie e la fruizione generalizzata della formazione altamente qualificata.
Sul piano quantitativo, nel ventennio 1975-1995 l’utenza universitaria è passata da 40 a 80 milioni di unità; la Cina, pur accogliendo finora negli atenei solo il 20% dei giovani in età di compiere gli studi superiori, attualmente ha il sistema post-secondario più affollato (più di 17 milioni di universitari). Situazione analoga in India, dove, con una scolarità post secondaria inferiore al 10% della corrispondente fascia di età, è stata già raggiunta la quota di 10 milioni di iscritti, mentre sono in atto piani nazionali per elevare il tasso al 15% entro il 2015. Sul piano dell’equità dell’accesso, non è senza conseguenze la decisione di addossare tutto o parte del costo della formazione superiore ai singoli fruitori, anziché, come avvenuto finora, alla collettività in considerazione dei vantaggi sociali che ne derivano. Sullo stesso piano si posiziona il rapporto tra la ricerca di base e quella finalizzata. Secondo gli autori, sta prendendo piede un nuovo modello, quello dell’Emerging Global Model (EGM), caratterizzato dai forti legami tra le università più produttive al mondo nel campo della ricerca scientifica. In tale ottica vengono adottate strategie comuni per l’acquisizione e la gestione dei finanziamenti e per attrarre i migliori cervelli, oltre ad aprire proprie sedi nei Paesi emergenti, esportando il sistema universitario occidentale. Riducendo la dipendenza dai contributi pubblici, si affievolisce gradualmente il controllo dei singoli Stati a favore di un dialogo transnazionale, che tende a favorire il gruppo degli English-language countries, ovvero delle comunità di docenti e studenti accomunate dall’uso della lingua inglese e da una ricca produzione di lavori scientifici, pubblicati sulle riviste internazionali: ovvero un’élite di atenei che risponde alla globalizzazione con l’attrattività e la competizione.
(Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas 20-06-2012)

 
INVESTIRE IN CONOSCENZA - PER LA CRESCITA ECONOMICA PDF Stampa E-mail

Autore: Ignazio Visco. Collana “Contemporanea”, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 144.
Per far ripartire l’economia, sostiene Ignazio Visco – attuale governatore della Banca d’Italia –, occorre «soprattutto prendere atto dei grandi fenomeni evolutivi che ci hanno trovato relativamente impreparati: la globalizzazione degli scambi di merci e servizi, la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, l’aumento progressivo della vita media e i nuovi flussi migratori dei paesi in via di sviluppo».
Per far fronte a questi cambiamenti si deve «investire in istruzione, capitale umano, conoscenza, che costituisce oggi un fattore essenziale di crescita della produttività e dell’economia», anche se l’Italia figura agli ultimi posti per gli investimenti in ricerca e sviluppo. «Sono necessari maggiori investimenti pubblici e privati; per incentivarli occorre rimuovere i fattori che ne frenano il rendimento, puntando sulla qualità, sulla valutazione e sul riconoscimento del merito».
Visco fa alcune proposte che potrebbero migliorare la qualità dell’insegnamento e della ricerca nelle università. «Anzitutto, per correggere la regressività e le altre distorsioni del sistema andrebbe accresciuta la correlazione tra tasse e costi dell’istruzione universitari. I livelli più elevati delle tasse scolastiche (corrispondenti al costo di “investire” in capitale umano) dovrebbero essere accompagnati da un ampio numero di borse di studio per i più meritevoli e per i meno abbienti e dalla possibile abolizione del valore legale del titolo di studio». Inoltre, «anche a livello universitario, si dovrebbe disporre di valutazioni comparate tra i diversi atenei, sia riguardo ai rendimenti didattici, sia all’impatto della ricerca che vi viene prodotta, ricorrendo, ad esempio, ai risultati di valutazioni periodiche condotte dal Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Sulla base della qualità relativa e di un’analisi trasparente dei costi offerti e dei successi nella formazione degli studenti, si potrebbe quindi procedere a differenziare i finanziamenti pubblici alle diverse università. Si potrebbe stimolare la concorrenza tra gli atenei, dando loro ancora maggiore autonomia non solo nella selezione e nell’assunzione, ma anche nella remunerazione dei docenti».
Per i dottorati di ricerca sono «fondamentali l’apertura e/o collegamenti con il resto del mondo; andrebbe ridotta l’autoreferenzialità e ampliata la varietà dei docenti, definendo criteri di selezione basati su stretti e oggettivi riferimenti di merito; bisognerebbe mirare ad avere una massa critica di docenti e studenti, così da garantire un’attività di ricerca alla frontiera delle conoscenze, l’offerta di una ricca struttura di corsi, workshop e seminari, una capacità di attrarre talenti anche oltre il livello nazionale».
Per raggiungere questi obiettivi, è necessario «concentrare le risorse in un numero necessariamente limitato di atenei in grado di costruire scuole di dottorato competitive, riconosciute e con solidi collegamenti internazionali; da queste scuole devono infine poter uscire, in direzione dell’accademia, così come di centri di ricerca pubblici e privati, ricercatori capaci di far avanzare la conoscenza con ricerche di base di qualità e di confrontarsi anche sul piano della ricerca applicata con la realtà dell’industria, della tecnologia e dell’economia in generale».
(Fonte: L. Cappelletti)

 
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