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16 Luglio
IL NUOVO TIROCINIO PROFESSIONALE DI 18 MESI DIVENTA RETROATTIVO PDF Stampa E-mail

Sulla retroattività delle nuove norme che regolano la durata (abbassata a 18 mesi) e le modalità del tirocinio professionale si registra un’inversione di rotta del ministero della Giustizia. La pressione degli ordini si è fatta sentire al punto che con la circolare 4 luglio 2012 (“Durata del tirocinio previsto per l'accesso alle professioni regolamentate. Interpretazione dell'art 9, comma 6, del d.l. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012 n. 27”) la posizione del Dipartimento per gli Affari di giustizia è radicalmente mutata. L’articolo 9 comma 6 del Dl 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012 n. 27, stabilisce che “la durata del tirocinio previsto per l'accesso alle professioni regolamentate non può essere superiore a diciotto mesi”. Ma cosa succede per tutti coloro che hanno iniziato la pratica professionale prima del 24 gennaio 2012 (data di entrata in vigore delle nuove disposizioni)? Secondo la circolare di ieri la legge nulla dice in proposito, per cui non rimane che appellarsi alle norme generali che regolano la successione delle leggi nel tempo. Ebbene, secondo l’articolo 11 delle disposizioni preliminari  al codice civile, la legge dispone per l’avvenire. Tuttavia, spiega la circolare, va anche considerato che “nei rapporti di durata - quale quello che attiene allo svolgimento della pratica professionale - la nuova legge può applicarsi agli effetti non esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente quando sia diretta a regolare questi effetti in maniera indipendente dall’atto o dal fatto giuridico che li generò”.
Ragionamento opposto, invece, va fatto quando “per regolare gli effetti, si agisce sul fatto o sull’atto generatore del rapporto”, in questi casi “la legge nuova, salve espresse disposizioni, non estende la sua portata a quegli effetti”. Nel caso di specie, dunque, deve ritenersi che “la norma sia applicabile immediatamente, ovvero anche ai casi di tirocinio iniziato in precedenza”. Chiarito anche l’ambito di applicazione del passaggio che prevede la possibilità per i primi sei mesi che il tirocinio possa essere svolto, in presenza di un’apposita convenzione, in concomitanza con il corso di laurea. Ciò va interpretato nel senso che è sempre necessario svolgere un periodo di dodici mesi presso uno studio professionale.
(Fonte: diritto24.ilsole24ore.com 05-07-2012)

 
LAUREATI INADEGUATI A UN’ECONOMIA MODERNA PDF Stampa E-mail
Gli atenei italiani producono laureati non adeguati a un'economia moderna e avanzata. Lo ha sottolineato il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi, secondo cui "si è creato un circolo vizioso tra offerta e domanda: le università italiane non producono capitale umano adeguato a un'economia moderna e avanzata, le imprese che dovrebbero domandarlo non sono in realtà quasi mai attrezzate a riconoscerne i diversi gradi di qualità e ad assegnare loro il prezzo giusto, spesso perché troppo piccole". "I livelli stipendiali, anche nei contratti ad personam - ha detto Rossi a un simposio internazionale di professori universitari in Campidoglio - non distinguono quasi mai fra un neolaureato di un'università italiana di basso livello e un Phd di Harvard. Se si pensa alle 'graduate schools' americane, inglesi e tedesche o alle 'grandes écoles' francesi, sembra quasi che l'Italia abbia rinunciato a formare in casa propria la sua elite professionale, lasciando che a svolgere questo compito siano istituzioni universitarie di altri paesi".
(Fonte: TMNews 21-06-2012)
 
UFFICI DI PLACEMENT PER I LAUREATI NELLE UNIVERSITÀ. INDAGINE DEL CENSIS SERVIZI PDF Stampa E-mail
Sebbene le università italiane si occupino da tempo del cosiddetto orientamento in uscita, l'istituzione di un ufficio di ateneo con competenze esclusive sul collocamento dei propri iscritti, quindi di un ufficio placement, è un fenomeno che prende forma soprattutto negli ultimi dieci anni. Lo testimoniano i numeri dell'indagine Censis servizi sull'attività di questi uffici di 21 atenei italiani (circa un terzo del totale) primo step di un progetto di ricerca che si propone di creare un vero osservatorio nazionale per monitorare il fenomeno. I primi risultati dell'indagine dimostrano che 19 atenei sui 21 presi in esame raccolgono e diffondono i dati riguardanti il numero di propri laureati occupati. In alcuni casi, 7 università su 21, mettono in campo iniziative e verifiche di approfondimento della materia. Praticamente tutte le realtà accademiche hanno attivato una banca dati dei curricula dei laureati, che le aziende possono consultare per identificare una figura adatta alle proprie esigenze. Nei 21 atenei presi in considerazione, poi, sono state stipulate convenzioni con circa 37 mila realtà imprenditoriali. Solo l'università di Verona ne ha stipulate 8 mila, seguita da Trento e Pavia (5 mila convenzioni stipulate) e Cagliari, con 3 mila convenzioni.
(Fonte: ItaliaOggi Sette 25-06-2012)
 
ALTA FORMAZIONE IN AZIENDA PDF Stampa E-mail
Laurearsi in azienda, ora si può. Come? Grazie al contratto di apprendistato per l'Alta formazione, una delle tre tipologie di apprendistato, appunto, previste dalla Riforma Biagi (decreto legislativo 10/9/2003 n. 276) e finalizzata ad acquisire un titolo di alta formazione dalla laurea al dottorato. Non si tratta di una novità in assoluto. Perché questa particolare forma di apprendistato esiste ed è stata sperimentata sin dal 2004 senza mai decollare del tutto però (i giovani coinvolti sono stati appena un migliaio, prevalentemente al Nord), troppo lunghi i tempi per stipulare gli accordi, difficoltà nel trovare le imprese aderenti e un'eccessiva burocrazia. Ma qualche esempio di eccellenza c'è stato e in molti confidano sulla recente riforma in materia (decreto legislativo 167/11) che dovrebbe rimuovere tutti questi ostacoli: l'iter sarà più semplice e in caso di latitanza delle regioni, le imprese e le università potranno procedere ad accordi diretti. I vantaggi sono evidenti per tutti: alle aziende andranno gli incentivi, ai giovani la grande opportunità di acquisire un titolo all'interno di un assetto produttivo. In più beneficiando di un contratto di lavoro. Ad esempio, nel marzo 2011 l'Università di Bologna ha sottoscritto il Protocollo d'intesa per contratti di alto apprendistato finalizzati al conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca con la Regione Emilia-Romagna, le altre Università sul territorio regionale e le parti sociali. Un milione di euro per il periodo 2012- 2014 stanziati dall'ente regionale. L'obiettivo è sostenere la sperimentazione di percorsi formativi in apprendistato in tutte le università della regione per il conseguimento della laurea triennale e magistrale sulla scia delle sperimentazioni degli interventi già avviati per il conseguimento del dottorato di ricerca e dei Master di I e ll livello.
(Fonte: ItaliaOggi 25-06-2012)
 
LA DISOCCUPAZIONE DI LAUREATI E SPECIALIZZATI È IN CRESCITA PDF Stampa E-mail
La crisi colpisce tutti, incluso chi studia. Oltre al tasso di disoccupazione giovanile superiore al 31% secondo i dati Istat di gennaio, l'Italia ha fatto segnare, infatti, una riduzione della quota di occupati tra i laureati, anche tra quelli con un'alta specializzazione, in controtendenza rispetto ai più importanti paesi Ue. Un'asimmetria di comportamento che si è accentuata in questo periodo di recessione: mentre al contrarsi dell'occupazione, negli altri paesi è cresciuta l a quota di occupati ad alta qualificazione, in Italia è avvenuto il contrario. Non solo, probabilmente almeno una parte dei laureati che in questi anni sono emigrati all'estero fanno parte del contingente di capitale umano che è andato a rinforzare l'ossatura dei sistemi produttivi dei nostri concorrenti. E' questa la fotografia a tinte fosche che emerge dal XIV Rapporto di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei "neodottori", circa 400mila ragazzi coinvolti. Secondo il consorzio interuniversitario, la disoccupazione dei laureati triennali è passata dal 16% del 2009 al 19% del 2010. Dato che lievita anche per i laureati specialistici, passato dal 18 al 20%. Non vengono risparmiati neanche gli specialistici «a ciclo unico» come i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza: anche per loro la disoccupazione è passata dal 16,5 al 19%.
(Fonte: V. De Ceglia, La Repubblica Affari Finanza 02-07-2012)
 
LA GESTIONE DEL DENARO PUBBLICO NEL SISTEMA UNIVERSITARIO PDF Stampa E-mail
L’amministrazione dei finanziamenti pubblici per gli atenei necessita di una migliore spending review secondo una ricerca effettuata da Linkiesta.it incentrata sulla gestione del denaro pubblico nel sistema universitario nazionale, analizzando, in una prospettiva temporale: problemi relativi alla diffusione degli atenei nelle diverse regioni; statistiche sulla popolazione studentesca; numero del personale docente e dei ricercatori; ammontare degli investimenti e della spesa per le attività educative e di ricerca e costo del loro funzionamento per i contribuenti. I finanziamenti pubblici stanziati a favore dell’istruzione e dell’università spesso sembrano finire nelle mani sbagliate, gestiti male e senza un programma definito ed organizzato di amministrazione. Ciò che preoccupa, infatti, nella realtà universitaria italiana è proprio la destinazione, e la conseguente gestione, dei fondi pubblici, utilizzati maggiormente per massificare le eccellenze anziché premiarle. L’unica soluzione possibile a questa situazione, secondo Linkiesta.it, risiede nell’attuazione di una revisione della spesa selettiva e funzionale che tenga conto dell’autonomia finanziaria dei singoli atenei. Secondo il professore E. Mazzarella i problemi del nostro sistema universitario provengono da una “mescolanza di iper-normazione e sotto-finanziamento, che ferisce alla radice il principio di autonomia formativa”. Il suo auspicio è quello di riuscire a “depurare dal tessuto accademico le superfetazioni di sedi e corsi pubblici sorti senza mezzi adeguati, e le realtà private consentite senza un’autentica valutazione della loro qualità”, proprio perché su queste aree “si potrebbe e dovrebbe intervenire con una spending review più culturale, scientifica, organizzativa che finanziaria”. Questo tipo di attività richiede una rivisitazione dell’”articolazione territoriale delle sedi accademiche, e di creare un parametro di accreditamento scientifico-didattico in grado di espungere dal sistema zone franche di bassa qualità, spingendole a calibrarsi su livelli più alti".
(Fonte: A. Valiante, unistudenti.it 26-06-2012)
 
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