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29 Maggio
RANKING DELLE UNIVERSITÀ. NON IDONEI A MISURARE LA PRODUTTIVITÀ SCIENTIFICA DELLE NAZIONI PDF Stampa E-mail

Le classifiche internazionali degli atenei, per quanto si prestino molto bene a diversi usi retorici, non hanno validità scientifica e, in particolar modo, sono inadatte a. Come spiegato da David King, proprio in relazione alla classifica di Shanghai: The Shanghai Institute of Education has recently published a list of the top 500 world universities. The order is based on the number of Nobel laureates from 1911 to 2002, highly cited researchers, articles published in Science and Nature, the number of papers published and an average of these four criteria compared with the number of full-time faculty members in each institution. I believe none of these criteria are as reliable as citations.”
Le classifiche delle università sono dei cocktail in cui diversi ingredienti vengono mescolati in proporzioni empiriche. Al contrario, un’analisi scientifica della produttività scientifica deve basarsi sui dati bibliometrici originali, non contaminati da pesature arbitrarie. Chi fosse interessato a una brillante spiegazione divulgativa dei trabocchetti e delle inconsistenze delle classifiche accademiche, può leggere “The order of things – What college rankings really tell us” di Malcolm Gladwell, famoso editorialista del New Yorker. Chi invece fosse interessato ad aspetti più tecnici può leggere “Higher Education Rankings: Robustness Issues and Critical Assessment – How much confidence can we have in Higher Education Rankings?” di M. Saisana and B. D’Hombres. Si tratta di un documento di un centinaio di pagine che utilizza metodologie statistiche per valutare la robustezza della classifica di Shanghai (Jiao Tong) e di quella del Times Higher Education Supplement (THES). Le risultanze tecniche non sono favorevoli a queste classifiche: Robustness analysis of the Jiao Tong and THES ranking carried out by JRC researchers, and of an ad hoc created Jiao Tong-THES hybrid, shows that both measures fail when it comes to assessing Europe’s universities.
(Fonte: G. De Nicolao, roars 15-05-2012)

 
ISTITUTI TECNICI SUPERIORI (ITS) AL VIA PDF Stampa E-mail

Dopo le scuole superiori o cercare lavoro oppure iscriversi all’Università o una terza via: si chiama Its, Istituto tecnico superiore, un biennio di formazione post diploma su materie tecnologiche e artigianali che funziona come inserimento nel mondo del lavoro, dal momento che delle 1900 ore totali di lezione, almeno il 30 per cento devono essere di tirocinio presso aziende. Attivati l’anno scorso, 59 quelli aperti finora nel Paese, sono una scommessa tutta da verificare perché ancora non si è concluso il primo ciclo di formazione: i primi tecnici superiori con tanto di titolo di studio fresco di stampa usciranno dagli Istituti a metà del 2013. «L’incognita però non è così grande – garantisce dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca chi segue passo passo lo sviluppo degli Its, nati per agganciare l’Italia al treno della formazione post secondaria europea –. Funzioneranno, perché puntano a formare tecnici specializzati che sono ancora richiesti dalle aziende». Frutto di collaborazioni e confronti tra Ministero, Confindustria, le regioni e i sindacati per sottolineare il legame formazione-lavoro, dal punto di vista giuridico gli Istituti sono fondazioni di partecipazione costituiti da enti, pubblici e privati: un istituto di istruzione secondaria superiore, capofila del progetto e destinatario dei fondi ministeriali, una struttura formativa accreditata dalla Regione per l’alta formazione, almeno un’impresa del settore produttivo cui si riferisce l’istituto tecnico superiore, un dipartimento universitario o un centro di ricerca e un ente pubblico locale.
Il finanziamento per ogni Istituto, stabilito su un costo di formazione medio di 7 euro per studente l’ora, non è irrisorio: 300 mila euro per due anni accademici di corso, più risorse aggiuntive per attività comprese nei programmi triennali degli istituti tecnici superiori e spese di funzionamento e acquisto di strumentazioni tecniche. Sei le aree tecnologiche di specializzazione degli Its, giudicati prioritari per lo sviluppo economico del Paese: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività culturali e tecnologie per l’informazione e la comunicazione.
(Fonte: A. Ciattaglia, lastampa.it 26-05-2012)

 
RETRIBUZIONI. NOTA DEL MIUR PDF Stampa E-mail

Con nota n. 675 del 7 maggio 2012 il Miur si è finalmente espresso sull’applicazione delle disposizioni all’articolo 9, comma 21 del d.l. n.78 del 31.5.2010. Com’è noto il decreto legislativo interveniva sui meccanismi retributivi del personale universitario non contrattualizzato prevedendo la non applicazione per il triennio 2011-2013 degli adeguamenti retributivi annuali automatici. Il Miur ha chiarito non solamente la necessità di attribuire la conferma economica ma anche la ricostruzione di carriera per quei ricercatori e professori che abbiano concluso positivamente l’iter valutativo e le relative procedure. Inoltre il Miur ha chiarito che a decorrere dal 29 gennaio 2011, fino al termine del primo anno, devono essere concessi gli aumenti ai ricercatori non confermati al primo anno di servizio previsti dall’art. 16 del d.l. n.19 del 27 gennaio 2012. Il Miur ha precisato anche che “a decorrere dal secondo anno di servizio si conferma l’applicabilità di quanto già previsto dall’articolo 1, comma 2 della legge 43/2005 con oneri a carico dell’ateneo”. Resta tuttavia ancora irrisolta in molti atenei la corretta interpretazione di quanto disposto dal d.l. 78 nel particolare caso dell’anticipo di scatto dovuto in caso di nascita di un figlio. Infatti, il d.l. è stato convertito in legge con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n.122 che all'articolo 9: al comma 1, recita che la frase: «in godimento nell'anno 2010» è sostituita dalle seguenti: «ordinariamente spettante per l'anno 2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d'anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo e quarto periodo, per le progressioni di carriera comunque denominate, maternità, malattia, missioni svolte all'estero, effettiva presenza in servizio» e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e dall'articolo 8, comma 14». La nascita di un figlio è chiaramente un evento straordinario e il relativo anticipo non deve rientrare nell’ordinario blocco delle retribuzioni.
(Fonte: Flc Cgil 11-05-2012)

 
RIENTRO DEI CERVELLI. CHIARIMENTI SULL’APPLICAZIONE DEI BENEFICI FISCALI PDF Stampa E-mail

L'Agenzia delle Entrate ha fornito i chiarimenti interpretativi sulle modalità applicative delle agevolazioni fiscali per incentivare il rientro in patria dei lavoratori italiani all'estero. A quasi un anno e mezzo dall'approvazione parlamentare, la circolare 14/E del 4 maggio 2012 scioglie i dubbi attuativi della complessa normativa, contenuta nella Legge n. 238 del 30/12/2010 e in numerosi altri decreti, che finora ne avevano di fatto impedito l'efficacia. In particolare, le linee guida focalizzano vari aspetti chiave: identificazione dei beneficiari, requisiti, portata degli incentivi, decorrenza e decadenza. Il regime di parziale detassazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi per un periodo di cinque anni - dal 2011 al 2015 - sarà dell'80% per le donne e del 70% per gli uomini. Potranno beneficiarne i cittadini dell'Unione Europea, nati dopo il 1° gennaio 1969, che, dopo aver risieduto continuativamente per almeno 24 mesi in Italia, abbiano "maturato esperienze culturali e professionali all'estero", studiando, lavorando o conseguendo una specializzazione post lauream fuori del Paese di origine e dall'Italia. L'agevolazione sarà sottoposta a decadenza nell'eventualità che il beneficiario "trasferisca nuovamente la propria residenza o domicilio all'estero prima del decorso di cinque anni dalla data della prima fruizione". La circolare evidenzia che il termine "assunzione" assorbe sia le attività di lavoro dipendente che quelle che per il Fisco producono "redditi assimilati", fattispecie quest'ultima in cui rientrano anche le somme ricevute a titolo di borse di studio. (Fonte: L. Moscarelli, rivistauniversitas 09-05-2012)

 
SUL RECLUTAMENTO PDF Stampa E-mail

Gran parte dei problemi della nostra università nasce da un rapporto patologico tra istituzioni pubbliche e società decisamente radicato. È naturalmente plausibile che il “combinato disposto” con la situazione precedente delle nuove rigidità di intervento abbia peggiorato la situazione, ma pensare che la perpetuazione di quei modelli di reclutamento e di gestione del personale, che non si sono mostrati funzionali nel corso del tempo, possa essere la soluzione ai problemi che in gran parte ha contribuito a creare è un ragionamento che non sta in piedi. Da questo punto di vista, il rimprovero maggiore che si può fare ai vari tentativi di riforma portati avanti da Luigi Berlinguer in poi è di non aver mai nemmeno provato a utilizzare il processo riformatore per scardinare seriamente i meccanismi che permettevano una gestione della vita universitaria fondata sulla massima discrezionalità e sulla minima responsabilità di gran parte dei soggetti nelle decisioni strategiche. Per esempio un’applicazione, sicuramente superficiale ed eccessivamente monolitica rispetto alle reali necessità, dei criteri di valutazione della produttività per i dipartimenti, non potrà mai sostituire una seria e definitiva riforma del reclutamento nei termini che avevo prefigurato a suo tempo, ma quantomeno nel breve periodo potrebbe magari costringere le varie sedi a doversi confrontare con la necessità di rompere canali di contrattazione ormai consolidati tra gruppi di interesse. Ed è soprattutto per questa ragione che secondo me l’Agenzia per la valutazione difficilmente riuscirà a produrre risultati effettivamente incisivi. Se insomma una visione puramente economicistica della vita universitaria non è salutare né in definitiva praticabile, la necessità di acquisire consapevolezza del fatto che l’utilità sociale dell’insegnamento e della ricerca non è più definibile in via esclusiva da parte dei suoi operatori è necessaria. Da questo punto di vista, in Italia, sempre più chiaramente i discorsi ad ampio spettro sul capitalismo, le sue storture e i suoi destini non riescono a giungere poi a una riformulazione del ruolo del docente universitario che non sia ispirato al ritorno alla figura dello studioso “sovrano” nel proprio ambito disciplinare perché custode di una competenza pressoché esclusiva e quindi quasi unico adeguato giudice del suo operato nel corso del tempo.
(Fonte: A. Mariuzzo, linkiesta 18-05-2012)

 
UNIVERSITÀ E SOCIETÀ PDF Stampa E-mail

L’Unione europea sta rendendo la sua università non diversa da tutto quello che tocca: un rigido insieme di lacci e meccanismi automatici, che pur generati da buone intenzioni sembrano essere l’unica conclusione finale dei tentativi dell’UE di regolare qualcosa a livello sovranazionale; il risultato finale rischia di essere un modello di valutazione delle attività individuali e collettive che si dimostra più efficace e condiviso nei settori a paradigma scientifico meglio individuabile, ovvero laddove le valutazioni erano già più ampiamente condivise anche prima, mentre nelle aree più problematiche non risolve granché. Dall’altra parte, almeno da noi, le critiche più sensate all’espansione internazionale di questo modello si avvitano su se stesse fino a restituire legittimità a un sistema di gestione che si è mostrato disfunzionale e cui dobbiamo le nostre difficoltà degli ultimi trent’anni, e l’unica critica che manca è probabilmente quella maggiore per il nostro caso, ovvero quella ai riformatori di non essere stati sufficientemente incisivi là dove serviva concentrandosi sul resto. In tutto questo sembra completamente assente dal dibattito lo sforzo, difficile e ingrato, per arrivare alla consapevolezza che il merito degli operatori e l’eccellenza delle attività di insegnamento e di ricerca non sono valori assoluti indipendenti da obiettivi, fini e modalità operative, e che quindi non possono né essere individuati in modo oggettivo dalle valutazioni univoche, né compresi senza fallo dagli specialisti del settore che chiedono al resto del mondo, in varie salse e con diverse argomentazioni, di “fidarsi”. È invece necessario mettere al centro, per tutti gli attori, la scelta e la responsabilità, interpretandole come i criteri dinamici e sempre ricontrattabili che sono. Per i docenti, che sappiano di dover progettare la loro carriera non esclusivamente secondo le proprie esigenze di vita e intellettuali; per le sedi, che possano usare gli strumenti migliori per informarsi ma sappiano che da ogni scelta dipende il loro stato di salute; per i governi, che possano gestire sovranamente i fondi sapendo che poi saranno verificati con severità in un sistema istituzionale in cui i fallimenti, anche fatti in buona fede, si pagano. Probabilmente nessuna di queste scelte sarà mai la migliore in assoluto, ma siccome nessuna opzione lo sarà allora è importante che questi passaggi non siano, di diritto o di fatto, imposti. Come tutto ciò possa avvenire nell’assoluta necessità di mantenere la base pubblica dell’istruzione non solo superiore, perché questo è il modello che si è mostrato nel corso del tempo nel contempo più efficace e più equo, è una sfida che, in questa sede, da solo, non sono in grado di affrontare. Quello che è certo, come ho detto sopra, è che la soluzione (in Italia ma non solo) deve essere strutturale: l’università e le scuole hanno problemi perché le istituzioni e la società non funzionano, anzi, con tutte le sue magagne il nostro mondo accademico è sul piano internazionale considerato generalmente “meno peggio” della nostra classe politica, del nostro sistema imprenditoriale, della nostra pubblica amministrazione, delle nostre istituzioni di rappresentanza di interessi. Per cambiarlo seriamente, non c’è bisogno solo di una riforma puramente interna, che se ben dosata potrebbe essere un palliativo momentaneo ma alla lunga vedrebbe riassorbire verso il basso i suoi effetti.
(Fonte: A. Mariuzzo, linkiesta 20-05-2012)

 
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