Home 2012 12 Maggio
12 Maggio
EUROPE'S UNIVERSITY BUDGETS - UPDATE FEBRUARY 2012. CHI HA AUMENTATO E CHI HA RIDOTTO I FONDI PER L’ISTRUZIONE SUPERIORE PDF Stampa E-mail

Uno degli effetti della crisi economica che influisce maggiormente nella vita sociale ed economica di un paese è l'impatto critico sul finanziamento pubblico destinato al settore dell'istruzione superiore. The Europaeum, associazione di dieci università europee fondata nel 1992 e della quale fa parte l'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, ha pubblicato Europe's University Budgets - update February 2012, con i dati relativi alle politiche in campo educativo per far fronte alle conseguenti ristrettezze economiche derivanti dagli effetti della crisi. Dall'aggiornamento, che si riferisce ai paesi membri dell'associazione, si deduce come alcuni abbiano risposto alla crisi in modo positivo e altri in modo negativo. Tra il 2010 e il 2011, la Finlandia ha aumentato del 12% i fondi destinati al settore dell'istruzione superiore, dimostrando in questo modo l'impegno del governo a incrementarne la qualità, l'efficienza, l'equità e l'internazionalizzazione. Svizzera (+3%), Francia (+3%), Germania (+2%) e Polonia (+1%) sono gli altri paesi che hanno incrementato il finanziamento destinato a questo settore. Per Francia e Polonia l'incremento risulta essere solo "previsto", in quanto paesi soggetti a prossime elezioni politiche.
L'Italia è nel novero dei paesi che ha ridotto la quota di finanziamento alle università. Fra il 2010 e il 2011, Italia e Portogallo hanno ridotto il budget riservato all'istruzione superiore del 20%, seguiti dalla Spagna (-10%), dall'Irlanda (-6%) e dalla Repubblica Ceca (-4%). Discorso diverso deve essere fatto per il Regno Unito e per l'Olanda. Per il Regno Unito si è calcolata una riduzione del budget del 40%, ma a questa riduzione il governo ha accompagnato la promessa di un nuovo sistema per il calcolo delle tasse d'iscrizione e l'incremento dei fondi in altre aree di particolare importanza, connesse al sistema educativo generale. In Olanda la riduzione del budget per il settore dell'istruzione superiore è del 20% accompagnata, anche in questo caso, dalla promessa di nuove regole per il sistema contributivo studentesco. Il rapporto è l'aggiornamento di un precedente paper del 2010.
(Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 03-05-2012)

 
EUROPA. CRESCE IL NUMERO DEI MASTER IN INGLESE PDF Stampa E-mail
Una serie d'informazioni in merito alla crescita del numero di corsi di secondo ciclo (Master) in Europa offerti in lingua inglese si trova nel Rapporto English-Taught Master's Programs in Europe: New Findings on Supply and Demand, pubblicato dall'Institute of International Education (IIE). Si tratta di una rilevazione di dati raccolti dal database online Mastersportal.eu, creato con il co-finanziamento di Erasmus Mundus. Dai 560 corsi censiti nel 2002, si è passati in un decennio ai 1.500 identificati nel 2008 dall'ACA e ai 5.444 dello scorso mese di marzo. L'interesse riguarda soprattutto i programmi congiunti (joint programs), passati dai 118 del 2007 ai 707 del 2011. Il 79% del totale risulta impartito soltanto in lingua inglese, il rimanente 21%, oltre all'inglese, associa almeno un'altra lingua. Escludendo Regno Unito e Irlanda, i paesi che guidano l'ideale graduatoria di quelli che offrono la più vasta gamma di corsi in inglese sono Paesi Bassi e Germania. L'Italia è fanalino di coda tra i primi dieci, ma ottiene un incoraggiante piazzamento relativamente al tasso di crescita (33% rispetto alla media europea del 19%) dei corsi organizzati finora in 56 Università. La durata varia secondo i sistemi nazionali di insegnamento: in larga parte un biennio, ma Spagna e Belgio offrono molti corsi di durata inferiore. Economia (28% del totale e prevalentemente organizzati in Francia) e Ingegneria e Area tecnologica (21% e prevalenza nelle Università tedesche) rappresentano le discipline maggiormente offerte. A seguire Scienze sociali (13%, corrispondente a 602 programmi), Scienze naturali (9%, per 413 programmi), Medicina (6% per 293 programmi). Il rimanente 15% è ripartito tra Giurisprudenza, Pedagogia, Scienze ambientali e Giornalismo.
(Fonte: M. L. Marino, rivistauniversitas 03-05-2012)
 
UE. RICERCA E SVILUPPO. CONFRONTO CON IL TREND DELL’ITALIA PDF Stampa E-mail

Nell'Ue siamo al sedicesimo posto - in base a 25 indicatori (dalla spesa al numero dei ricercatori fino ai brevetti) - in compagnia di Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria, Grecia, Malta, Slovacchia e Polonia. Ma il dato che fa capire come alla politica dei proclami sull'importanza della ricerca non seguano purtroppo i fatti è l'ultima rilevazione ufficiale dell'Istat sulle spese in R&S. Secondo i dati disponibili a fine dicembre scorso non solo il livello complessivo di spesa che l'Italia impegna in ricerca e sviluppo - circa l'1,3% del prodotto interno lordo - non aumenta. Ma nel 2011 è addirittura in calo. Se nel 2009 la spesa sostenuta da imprese, istituzioni, enti non profit e università è stata di 19,2 miliardi (l’1,26% del Pil, stabile rispetto al 2008), nel 2010 è aumentata lievemente dell'1,7%. Per l'anno scorso, secondo l'istituto, è prevista, invece, «una diminuzione della spesa sia delle istituzioni pubbliche sia delle imprese». Insomma, segnali di inversione di tendenza - almeno a livello di spesa - non ci sono. Resta dunque lontanissima la pattuglia dei "leader" Ue dell'innovazione formata da Danimarca, Germania e Finlandia, dove si è già raggiunto l'obiettivo del 3% del Pil degli investimenti in ricerca rinviato da Bruxelles al 2020. Ma restano lontani anche i Paesi «inseguitori» - Belgio, Regno Unito, Olanda, Austria, Lussemburgo, Irlanda, Francia, Slovenia, Cipro ed Estonia - che contano un grado di innovazione "vicino" alla media Ue del 2 per cento.
A pesare sul trend negativo italiano è il calo dei fondi pubblici che nel 2011 sono stati 8,9 miliardi, «con un'evidente riduzione di disponibilità - scrive l'Istat - rispetto agli anni più recenti (9,5 miliardi nel 2010 e 9,8 nel 2009)». Le imprese investono oltre 10 miliardi (il 53,3% del totale nazionale), ma - e qui è l'altra debolezza italiana - ben il 70,4% degli investimenti arriva dalle grandi imprese (oltre 500 addetti). Mentre resta bassa l'incidenza delle medie (20,1%) e delle piccole (9,4%).
(Fonte: Mar. B., IlSole24Ore 04-05-2012)

 
GERMANIA. IL 67 PER CENTO DEI LAUREANDI STRANIERI VUOLE RESTARVI DOPO IL DIPLOMA PDF Stampa E-mail
L'economia della Germania va a gonfie vele. Il problema di Berlino è che mancano lavoratori specializzati, non ci sono abbastanza diplomati e ricercatori, mancano ingegneri e medici. E si cerca di attrarre i giovani stranieri. Quasi l'80% degli studenti venuti da fuori che stanno seguendo un corso di specializzazione, o frequenta l'università, dichiara di voler rimanere in Germania dopo il diploma. Solo la Svezia ha una percentuale simile (il 75,7%), contro il 65,5% della Francia, il 65% dell'Olanda e il 51,4% della Gran Bretagna. Negli ultimi dieci anni, scrive Die Welt, mentre gli inglesi hanno posto ostacoli all'immigrazione, in Germania si è cercato di abbattere gli ostacoli burocratici. Come sempre, in questi sondaggi europei l'Italia viene dimenticata. La percentuale di chi vuole restare è del 67% tra i laureandi, contro il 48,7% del Regno Unito. Il 48,8% ritiene di avere buone possibilità di trovare il lavoro desiderato dopo il diploma, in Francia sono poco più del 31%. Al momento, gli studenti stranieri sono circa 200 mila. Il 60% in più rispetto a dieci anni fa. Le università tedesche sono considerate migliori e più accoglienti di quelle americane, o britanniche o francesi. Il costo della vita nelle grandi città è inferiore a quello di Parigi o di Londra. L'unico ostacolo è quello della lingua. Il tedesco continua (a torto) a essere considerato più ostico dell'inglese. Non ci sono problemi di integrazione o, comunque, sono inferiori rispetto ad altri paesi europei. Ma ci sono ancora problemi. Solo il 26% di chi desidera rimanere ci riesce. Per chi viene da paesi non comunitari, il permesso di soggiorno è di un anno e mezzo se non si riesce a dimostrare di avere già un lavoro. Un diplomato ha bisogno di più tempo per trovare il posto desiderato, senza dover accettare in fretta la prima proposta per paura di dover ripartire. «Gli studenti stranieri sono un potenziale che non dobbiamo sprecare», dichiara Annette Schavan, ministro dell'istruzione. Si vuole creare una «Young talent card» che conceda diritti particolari a chi si è diplomato in Germania, e sarà consentito svolgere un lavoro già durante gli studi per arrotondare le entrate. (Fonte: R. Dina, ItaliaOggi 05-05-2012)
 
SVIZZERA. FINANZIAMENTI IN AUMENTO PER L’UNIVERSITÀ DELLA SVIZZERA ITALIANA PDF Stampa E-mail
L’Università della Svizzera italiana (USI) ha pubblicato i nuovi dati sui finanziamenti ricevuti dai ricercatori su base competitiva e assegnati in gran parte dall’UE e dal Fondo nazionale svizzero per la Ricerca scientifica. Le indicazioni forniscono una “pagella” sul prestigio dell’USI. I dati dell’ultimo decennio mostrano una notevole crescita concentrata nei finanziamenti alla ricerca qualitativamente più valida, quella competitiva, il cui volume è più che triplicato passando dai 4 milioni di franchi del 2002 ai 14.6 milioni dello scorso anno. Anche il 2012 si prospetta un anno positivo: nell’ultima procedura di valutazione scientifica dei progetti inoltrati al FNS, i ricercatori sono riusciti a portare nella Svizzera italiana altri 4.5 milioni di franchi. Se le tre facoltà storiche – Architettura, Scienze economiche e Scienze della comunicazione – hanno gradualmente aumentato il proprio contributo passando da un totale di 2.7 milioni a 4.7 milioni di franchi annui, a fare la differenza nella progressione degli ultimi anni è stata in particolare la facoltà di Scienze informatiche, nata nel 2004, passata da 1.5 milioni a 4.8 milioni di franchi ottenuti.
(Fonte: info.rsi.ch 07-05-2012)
 
ALL’ESTERO CORSI DI LAUREA “FACILI” PDF Stampa E-mail
Sono sempre più numerose le offerte di lauree da parte di atenei stranieri che, con tanto di pubblicità su internet o su altri media, “attirano” studenti italiani con la promessa di un diploma universitario, soprattutto per facoltà che in Italia sono a numero chiuso e richiedono un rigoroso test di ammissione. Il tutto a prezzi non proprio “scontati”: in media dai 3.400 euro l’anno della statale di Timisoara, in Romania, agli oltre 15.000 per quella di Madrid. Si va dall’università privata “Vasile Goldis” di Arad in Romania, dove si può studiare medicina, odontoiatria, farmacia, fisioterapia, scienze infermieristiche e ostetricia, all’ateneo di Sofia in Bulgaria, la cui offerta formativa vanta addirittura 24 lauree di primo livello, 56 tra lauree magistrali e master e 20 dottorati di ricerca. Economia, legge, informatica e storia sono solo alcuni dei percorsi di laurea proposti. A Tirana, in Albania, sono due le università private che dispensano titoli di tutti i tipi: l’Università Cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio, dove si può studiare medicina, farmacia, scienze economiche e politiche e l’università Kristal con percorsi in medicina, legge, economia e scienze politiche. Anche in Spagna ci sono delle università private che offrono corsi di laurea in medicina e odontoiatria, in particolare a Madrid, Barcellona, Valencia e Navarra. Dall’università di Roma La Sapienza, fanno sapere che quanto promesso da società che offrono assistenza ai giovani che vogliono “emigrare” per studio non corrisponde spesso a verità. «Non è assolutamente possibile evitare il test di ammissione per le facoltà a numero chiuso - dicono dall’ufficio stampa - perché anche iscrivendosi a un’università straniera per decidere, dopo il primo anno di corso, di rientrare in Italia si deve comunque sostenere la prova d’ingresso perché il test è obbligatorio».
(Fonte: lastampa.it 07-05-2012)
 
« InizioPrec.12345678910Succ.Fine »

Pagina 9 di 11