Home 2012 12 Maggio
12 Maggio
RICERCA. CONFRONTO SULLA PRODUTTIVITÀ DELLA RICERCA IN ITALIA PDF Stampa E-mail

Il tema del confronto fra Bisin/De Nicola e De Nicolao del gruppo ROARS è la produttività della ricerca in Italia. Bisin/De Nicola hanno sostenuto su Repubblica che in Italia si fa poca ricerca. De Nicolao ha risposto su ROARS che il fatto non sussiste perché l'Italia è attorno al settimo-ottavo posto al mondo se si guarda al totale di articoli pubblicati o di citazioni agli articoli pubblicati da istituzioni italiane. Secondo il gruppo ROARS in Italia tutto sommato di ricerca in università se ne fa abbastanza, e che se si vuole fare meglio basta spendere di più, visto che (secondo loro), la spesa non è poi molto alta se confrontata a quella di altri paesi simili. Tralascio la questione della spesa e mi soffermo sulla produzione scientifica. Ho scelto di usare i dati utilizzati dal gruppo ROARS, che non sono ottimali perché includono tutte le pubblicazioni prodotte da istituzioni italiane, CNR compreso. Se si vuole valutare la qualità della ricerca universitaria, andrebbe contato solo il prodotto dei ricercatori e docenti universitari, cosa non facile da farsi.  Voglio comunque argomentare che, anche guardando ai dati da loro usati, la posizione dell'Italia non è poi cosi buona come sembra.

Risorse disponibili (PIL, grosso modo) e popolazione (per far funzionare i laboratori) sono un input necessario. Come usa queste risorse l'università Italiana in rapporto agli altri paesi?

Per rispondere a questa domanda, ho calcolato quanta ricerca si produce nei vari paesi rispetto al PIL e alla dimensione della popolazione usando gli stessi indicatori usati da De Nicolao (SCIMAGO). Ho raccolto dati per i 40 paesi che producono più articoli in valore assoluto. La tabella sottostante mostra i risultati.


I risultati principali sono nelle colonne K, N, P ed R (a sinistra di esse, la posizione in classifica della rispettiva variabile. I dati sono informativi e rivelatori. In testa al gruppo si trova proprio la Svizzera, che era ultima nella tabella mostrata dall'articolo su ROARS. Nel gruppo dei 40 paesi (e presumibilmente fra tutti i paesi al mondo), l'Italia è 23esima nel rapporto citazioni/PIL, 30esima nel rapporto articoli/PIL, 23esima nel rapporto citazioni/popolazione, e 20esima nel rapporto citazioni/popolazione. La tabella è ordinata nella variabile da me preferita, citazioni/PIL ma la sostanza è simile per quanto riguarda le altre variabili. Il foglio con i dati è disponibile su google drive.
(Fonte: A. Moro, noiseFromAmerika 06-05-2012)



 
FIRB 2010. PERCHÉ NON PRENDONO ANCORA SERVIZIO I RICERCATORI VINCITORI PDF Stampa E-mail

Solo nell’ottobre 2011 si è conclusa la sezione dei progetti presentati per i bandi FIRB 2010 con un ritardo di oltre due anni tra l’avvio del bando e la pubblicazione dei vincitori. Ritardo che ha significato per le amministrazioni universitarie dover aggirare le norme sulla perenzione delle risorse non spese. Sulla base della legislazione vigente e delle norme europee i ricercatori vincitori che non siano già strutturati nelle università, devono essere inquadrati come Ricercatori a tempo determinato (art. 21 comma a) nelle varie sedi. Tuttavia le norme in essere per il reclutamento come ricercatori a tempo determinato non prevedono deroghe al concorso pubblico per “chiamare” questi ricercatori senza dover attivare una procedura concorsuale comparativa. Per aggirare le incertezze dell’amministrazione e l’ambiguità delle norme il MIUR ha valutato che l'unica possibilità che l’amministrazione pubblica avesse per attribuire loro il contratto fosse quello procedere alla "chiamata diretta" che, ai sensi della legge 240, richiede il giudizio da parte di una commissione "ad hoc", costituita da tre professori ordinari dello stesso SSD. Che ricercatori di progetti di eccellenza come i FIRB debbano essere nuovamente valutati per poter semplicemente accedere ad un contratto che spetterebbe loro di diritto è il risultato di norme scritte in maniera confusa, senza tenere conto di quelle vigenti, che non possono essere applicate senza deroghe specifiche, e che denotano un accanimento centralistico e burocratico nonché l'inefficiente governo di problemi complessi. Nel caso dei FIRB, tuttavia, anche l’escamotage individuato dal Ministero non è ad oggi bastato, poiché sono molte le amministrazioni che non avendo ricevuto alcun documento ufficiale dal MIUR che certificasse il superamento delle prove nazionali da parte dei ricercatori non hanno ancora fatto prendere servizio ai vincitori nonostante il fatto che il 1 aprile scorso siano partiti i progetti. Le responsabilità di questa situazione sono del Ministero che non ha chiarito il percorso individuato gestendo in maniera confusa il processo di accompagnamento e attuazione dei progetti FIRB.
(Fonte: Flc Cgil 07-05-2012)

 
RICERCA. CONTRO I PREZZI ESAGERATI DELLE PUBBLICAZIONI A CARATTERE SCIENTIFICO PDF Stampa E-mail
L'hanno chiamata "la Primavera dell'Accademia": gli 11mila scienziati che vi hanno aderito non pubblicheranno più i loro articoli su riviste a pagamento. Alla loro iniziativa si affianca oggi Wikipedia, che su richiesta del governo britannico si è impegnata a ospitare gratuitamente gli studi realizzati con i soldi dei contribuenti. "In un mondo che cambia, c'è bisogno di cambiare il modello economico delle pubblicazioni scientifiche" ha scritto sul Guardian il fondatore di Wikipedia Jimmy Wales. Nel mirino c'è un settore che si arricchisce sempre di più mentre gli atenei affondano nei debiti: quello dell'editoria delle riviste scientifiche, che con i suoi 25mila titoli e un milione e mezzo di articoli l’anno (di cui solo il 20% accessibile senza pagare) muove un giro d'affari di 10 miliardi di dollari. Un abbonamento annuale a Tetrahedron, giornale specializzato in chimica organica, costa ad esempio 20mila dollari (l'equivalente di una borsa di dottorato). Altre riviste arrivano a 40mila. Il più grande (e odiato) fra gli editori scientifici - la Elsevier di Amsterdam, 2mila giornali scientifici pubblicati con il suo marchio - ha attraversato la crisi con un ricavo di 3,4 miliardi di dollari nel 2011 e un margine di profitto impensabile in quasi ogni altro campo dell'economia: 36%. "Se decidi di non appoggiare più Elsevier e i suoi giornali, aggiungi il tuo nome": l'appello partito il 21 gennaio dal blog del matematico di Cambridge Timothy Gowers si è ingigantito di giorno in giorno, arrivando oggi a 11.000 firme. Gli scienziati che aderiscono (molti gli italiani) s’impegnano a non inviare più i loro articoli alle riviste e a non partecipare alla valutazione dei lavori dei colleghi. Al boicottaggio (che continua a raccogliere adesioni sul sito thecostofknowledge.com1) si sono uniti due pesi massimi della scienza mondiale come il Wellcome Trust britannico (il più grande finanziatore di ricerca medica dopo la fondazione Gates) e l'università di Harvard negli Usa (la seconda istituzione non a scopo di lucro più ricca del mondo). Harvard, che spende ogni anno 3,75 milioni di dollari in riviste scientifiche (libri esclusi) ha scritto che "la situazione è diventata insostenibile".
(Fonte: E. Dusi, La Repubblica.it/scienze 05-05-2012)
 
RICERCA. OFFENSIVA PER PUBBLICARE GRATUITAMENTE PDF Stampa E-mail

Il governo britannico ha chiesto al fondatore di Wikipedia, l'enciclopedia sul web, Jimmy Wales, di pubblicare gratuitamente tutti gli articoli scientifici ottenuti con i soldi dei contribuenti inglesi. È l'ultima offensiva della campagna battezzata "Primavera dell'Accademia", partita a gennaio dal blog del matematico di Cambridge Timothy Gowers. Da allora, 11mila scienziati di tutto il mondo hanno aderito all'appello di boicottare la casa editrice Elsevier, la più grande del settore, che riceve gratuitamente gli articoli dagli scienziati per poi imporre per le sue riviste abbonamenti che vanno dai 20 ai 40mila dollari.
Gli scienziati della Primavera dell'Accademia, attraverso il blog www.thecostofknowledge.com, si impegnano a non fornire articoli, consulenza né lavoro editoriale alla Elsevier, accusata nel 2011 di aver accumulato profitti per 2,1 miliardi di dollari (con un margine del 36% sui ricavi) sulle spalle della scienza finanziata dal denaro pubblico. Oltre ai singoli scienziati, al boicottaggio si sono uniti il Wellcome Trust di Londra e l'università di Harvard. Mark Walport, presidente del Wellcome Trust (il più grande finanziatore di ricerca medica nel mondo dopo la fondazione Gates) ha annunciato il lancio di una nuova rivista online completamente gratuita: eLife. Harvard ha invitato il suo staff a pubblicare tutte le ricerche gratis sul sito dell'università. Il gigante di Boston spende ogni anno 3,75 milioni di dollari solo in riviste scientifiche. «Ma andare avanti così non è possibile» ha scritto il governo dell'ateneo nel suo appello ai ricercatori. Il business dell'editoria scientifica tocca i 10 miliardi di dollari, con 25mila riviste specialistiche e 1,5 milioni di articoli ogni anno. Solo il 20% dei quali, prima della Primavera dell'accademia, poteva essere letto senza pagare.
(Fonte: E. Dusi, La Repubblica 03-05-2012)

 
RICERCA. SE IL FINANZIAMENTO È PUBBLICO ANCHE IL RISULTATO DELLA RICERCA DOVREBBE ESSERE PUBBLICO? PDF Stampa E-mail

Nel mondo anglosassone, da qualche tempo, si discute del sistema con il quale sono pubblicati i risultati della ricerca scientifica. Attualmente, in questo settore, prevalgono le pubblicazioni realizzate da imprese orientate al profitto e le cui riviste sono molto costose. Ne risulta un paradosso: anche quando il finanziamento dell'attività scientifica è basato su risorse pubbliche o comunitarie, il risultato è privato e genera profitti privati oltre che ulteriori costi pubblici per l'approvvigionamento di riviste da parte delle biblioteche e delle università.
L'Economist ha preso posizione con un articolo intitolato Open sesame nel quale il settimanale sostiene che se il finanziamento è pubblico dovrebbe essere pubblico anche il risultato della ricerca. Harvard si sta orientando verso le pubblicazioni aperte e gratuite (Guardian). Il consenso intorno a questo ragionamento appare in crescita. Naturalmente non è tutto semplice. Alice Bell è fondamentalmente d'accordo, anche se dice che l'apertura delle pubblicazioni si deve accompagnare a un sistema educativo e selettivo più chiaro, trasparente e inclusivo. È un dibattito di enorme importanza. Che avviene proprio mentre il sistema della ricerca italiano si riorganizza per valutare i propri risultati in modo rinnovato, ispirandosi probabilmente all'esperienza anglosassone e facendo conto soprattutto, appunto, sulle pubblicazioni in riviste scientifiche. Il dibattito che riguarda le pubblicazioni scientifiche aperte nel mondo anglosassone dovrebbe dunque contaminare in fretta anche il dibattito sulla valutazione della ricerca in Italia, altrimenti si rischia di mettere in piedi un sistema che nasce già con qualche elemento di obsolescenza.
(Fonte: L. De Biase, blog.debiase.com 01-05-2012)

 
RICERCA E SVILUPPO. INVESTIMENTI IN CALO PDF Stampa E-mail

L'Europa nelle sue ultime pagelle del febbraio scorso ci definisce, con gentile eufemismo, degli innovatori «moderati». In pratica nell'Ue siamo al sedicesimo posto - in base a 25 indicatori (dalla spesa al numero dei ricercatori fino ai brevetti) - in compagnia di Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria, Grecia, Malta, Slovacchia e Polonia. Ma il dato che fa capire come alla politica dei proclami sull'importanza della ricerca non seguano purtroppo i fatti è l'ultima rilevazione ufficiale dell'Istat sulle spese in R&S. Secondo i dati disponibili a fine dicembre scorso non solo il livello complessivo di spesa che l'Italia impegna in ricerca e sviluppo - circa l'1,3% del prodotto interno lordo - non aumenta. Ma nel 2011 è addirittura in calo. Se nel 2009 la spesa sostenuta da imprese, istituzioni, enti non profit e università è stata di 19,2 miliardi (l'1,26% del Pil, stabile rispetto al 2008), nel 2010 è aumentata lievemente dell'1,7 per cento. Per l'anno scorso, secondo l'istituto, è prevista, invece, «una diminuzione della spesa sia delle istituzioni pubbliche sia delle imprese». Insomma, segnali d’inversione di tendenza - almeno a livello di spesa - non ci sono. Resta dunque lontanissima la pattuglia dei "leader" Ue dell'innovazione formata da Danimarca, Germania e Finlandia, dove si è già raggiunto l'obiettivo del 3% del Pil degli investimenti in ricerca rinviato da Bruxelles al 2020. Ma restano lontani anche i Paesi «inseguitori» - Belgio, Regno Unito, Olanda, Austria, Lussemburgo, Irlanda, Francia, Slovenia, Cipro ed Estonia - che contano un grado di innovazione "vicino" alla media Ue del 2 per cento.
A pesare sul trend negativo italiano è il calo dei fondi pubblici che nel 2011 sono stati 8,9 miliardi, «con un'evidente riduzione di disponibilità - scrive l'Istat - rispetto agli anni più recenti (9,5 miliardi nel 2010 e 9,8 nel 2009)». Le imprese investono oltre 10 miliardi (il 53,3% del totale nazionale), ma - e qui è l'altra debolezza italiana - ben il 70,4% degli investimenti arriva dalle grandi imprese (oltre 500 addetti). Mentre resta bassa l'incidenza delle medie (20,1%) e delle piccole (9,4%).
(Fonte:  Mar. B., IlSole24Ore 04-05-2012)

 
Altri articoli...
« InizioPrec.12345678910Succ.Fine »

Pagina 3 di 11