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30 Aprile


SOCIAL MEDIA. POCO USATO TWITTER DAGLI ATENEI PDF Stampa E-mail
Nella classifica dei 25 maggiori atenei per numero di iscritti - dati Miur - il 64% registra una presenza sul sito di microblogging e, fra questi, soltanto le università di Padova, Torino, Politecnico di Milano e Politecnico di Torino hanno un numero di follower superiore a 2.500. Sono questi i primi dati dell'analisi svolta da universita.it (vedi nota precedente) che dopo aver analizzato il rapporto tra Università e Facebook, ha deciso di osservare il comportamento degli atenei su un altro importante socialnetwork, ovvero Twitter. Dalla ricerca, emerge un determinato tipo di utilizzo da parte degli atenei della rete sociale di ultima generazione, molto frammentario e non organico: oltre ai 'primi della classe', infatti, la maggior parte degli atenei registra un numero molto basso di tweet e di interazioni con i propri follower. Gli atenei di Bari e la Sapienza di Roma hanno 'cinguettato' meno di 200 volte dal momento del debutto, mentre l'ateneo di Napoli ha mandato online solo 27 tweet; l'Università di Cagliari, nonostante i suoi 1.300 follower, non ha mai twittato. In altri casi invece, come per l’ateneo di Firenze, la presenza sul social network non è ufficiale, bensì legata a una spontanea iniziativa degli studenti, o in alternativa – ed è il caso di Bologna – affidata ai media universitari (UniBo Magazine).
(Fonte: A. Muroni, voceditalia.it 22-04-2012)
 
RIVISTE OPEN ACCESS. eLIFE, UNA NUOVA RIVISTA PDF Stampa E-mail

Oggi la maggior parte dei quasi 1,5 milioni di articoli scientifici scritti ogni anno è pubblicata da riviste che fanno capo a un ridotto numero di case editrici, principalmente Elsevier, Springer, Wiley. Gli scienziati propongono i propri paper alle riviste, che li inviano agli esperti per la revisione, e poi li pubblicano, facendo pagare ai lettori un prezzo salato sia per i singoli articoli sia per gli abbonamenti. Secondo David Prosser, direttore esecutivo delle Research Libraries UK, le università britanniche spendono ogni anno 200 milioni di sterline (240 milioni di euro) per la sottoscrizione alle versioni online delle varie riviste, pari a circa il 10 per cento dei fondi statali che ricevono. Secondo il Guardian, inoltre, le riviste scientifiche possono raggiungere un margine di guadagno del 35 per cento vendendo l’accesso ai risultati delle ricerche scientifiche, molte delle quali finanziate pubblicamente o da enti benefici.
La Wellcome Trust, la fondazione dedicata alla salute animale e umana che, dopo la “Bill e Melinda Gates Foundation”, è il maggiore finanziatore della ricerca medica mondiale con oltre 720 milioni di euro stanziati ogni anno, ha annunciato ufficialmente che nel corso del 2012 darà alla luce eLife, una nuova rivista open access che punta a sfidare i giganti dell’editoria scientifica con l’obiettivo di cambiare le regole del gioco. Tuttavia, parte della comunità scientifica teme che nelle riviste open access possa venire meno proprio l’accurato processo di selezione e peer review. Parere non condiviso dalla Fondazione: “Qualità e open access sono concetti indipendenti”, spiega Robert Kiley della Wellcome Trust. “Ovviamente ci sono riviste open access di pessima qualità, ma ce ne sono anche tra quelle a pagamento”. Del resto la PLoS Library of Science, un gruppo editoriale che pubblica ben sette riviste di alto livello completamente free, è un esempio di grandissima qualità a costo zero per i lettori: “PloS One”, spiega Walport, “è ora il più grande giornale scientifico del mondo, e continua a crescere”.
(Fonte: C. Visco, galileonet.it 11-04-2012)

 
IL LEGAME TRA CULTURA, SCIENZA E SVILUPPO ECONOMICO PDF Stampa E-mail
Gli esperti di economia danno indicazioni su come liberarsi delle porzioni inutili del sapere, individuando il più grande dei mali, causa dell’arretratezza economica italiana, nell’eccesso di filosofi e nella carenza di ingegneri e manager. Questi ultimi sarebbero in grado, con la loro competenza, di risollevare le sorti del paese e metterci al pari di Singapore. A dir la verità, dalle statistiche dell’Istat non sembrano esservi simili sproporzioni tra le tipologie dei laureati italiani. Al contrario, dovremmo sottolineare la “sovrapproduzione” di laureati, in generale, rispetto all’offerta di lavoro adeguatamente qualificato e remunerato da parte dell’industria. I laureati italiani, infatti, corrono un altissimo rischio di essere sottoccupati. Se si guardano i dati sulle assunzioni delle imprese italiane «si conferma il dato […] di una concentrazione delle assunzioni previste verso titoli di studio più bassi» (Vedi L. Bianchi, S. Gattei e S. Zoppi (a cura di), La scuola nel Mezzogiorno tra progressi e ritardi, il Mulino, Bologna 2005, p. 116). La percentuale di assunzione di personale intellettuale, scientifico e specializzato da parte delle imprese si riduce al 5,1% nel Centro-Nord e al 3,2% nel Mezzogiorno (Ibidem, p. 119). Questa scarsa propensione dei dirigenti e manager dell’industria italiana a servirsi di personale scientifico altamente qualificato è una tendenza non certo recente. Ne discute, già nel 1966, un importante fisico italiano, Eduardo Caianiello, intervistato da una giovane Oriana Fallaci: «O. F.: “Perché le industrie in Italia non impiegano i fisici?”. E. C.: “…Mi creda, io escludo che ciò avvenga di proposito. Io escludo che manchi alle nostre industrie il gusto della ricerca, la fantasia della ricerca: gli manca il concetto della ricerca come fatto tecnico, la consapevolezza che scienza ed economia oggi dipendono l’una dall’altra…”. Come sostenne Enrico Bellone nel libro ‘La scienza negata’, dopo la stagione di Olivetti e di Mattei, di Amaldi e Buzzati Traverso, di Ippolito e Marotta, sembra proprio che la borghesia industriale e manageriale abbia perso il concetto del legame tra cultura e sviluppo economico. «La cultura – scriveva Gerardo Marotta nel 1980 – è l’asse della coscienza morale di un paese, e deve contenere sempre la consapevolezza teorica della necessaria presenza della scienza, come presupposto indispensabile della libertà e del progresso […]. Come, infatti, si potrebbe, senza la presenza attiva della cultura e senza un’adeguata elaborazione teorica, risolvere i problemi del Paese, da quelli del suo progresso scientifico a quelli del suo benessere morale e materiale?».
(Fonte: M. Cuccurullo, roars 16-04-2012)
 
SU 90 PROFESSORI IDONEI AI CONCORSI SOLO 7 CHIAMATI DALLE UNIVERSITÀ (TELEMATICHE) CHE LI HANNO BANDITI PDF Stampa E-mail
Mentre il reclutamento e le progressioni di carriera dei docenti universitari sono di fatto bloccati, accade che le università telematiche possano permettersi in una delle ultime tornate concorsuali, quella della prima sessione 2008, ben 45 concorsi tra prima e seconda fascia, tutti svolti e di conseguenza con ben 90 idonei (ovvero, vincitori di concorso che potrebbero essere chiamati a prendere servizio). E fin qui nulla di strano. L’incomprensibile inizia quando si scopre, come rivela il sito MIUR, che di questi 90 solo 7 sono stati chiamati dalle università che hanno bandito il concorso. Che accade? Recentemente il CNVSU, definendo quella delle università telematiche «una situazione complessiva, di sistema, abbastanza deludente» ha richiamato l’attenzione soprattutto sul personale docente “fantasma”/assente in organico”. E qui veniamo al punto, dato che una delle annotazioni più interessanti del CNVSU riguarda il fatto che «a fronte di un notevole numero di valutazioni comparative [concorsi, ndr] avviate» pochi erano i chiamati: su un totale di 62 procedure, 42 erano finite con una delibera di non chiamata del vincitore. Le telematiche, utilizzando un’opzione cui molto raramente si ricorre, deliberano di non chiamare i vincitori e lo fanno – per i concorsi 2008 – in ben 42 casi, per un totale di 84 vincitori non chiamati. In tal caso i vincitori mantengono l’idoneità e si vedono dischiudere la possibilità di essere chiamati da una qualsiasi altra università. Nulla d’illegittimo, almeno dal punto di vista formale e procedurale. Certo, un’organizazione in apparenza ben poco efficiente, se è vero (com’è vero) che in oltre due terzi dei procedimenti concorsuali attivati gli Atenei telematici interessati hanno ritenuto di rinunciare a chiamare il vincitore. Utilizzando per di più una formula che consente di conservare l’idoneità spendendosela altrove. Che dire? Davvero una vocazione filantropica!
(Fonte: P. Carillo e M. Cosentino, roars 17-04-2012)
 
STUDENTI. IL FUORICORSISMO PDF Stampa E-mail

Stando ai dati forniti dal MIUR, il numero di studenti fuoricorso è costantemente cresciuto nel periodo compreso tra il 1969 e il 2009. Un dato difficile da digerire, per un Paese che ha da sempre rappresentato la culla della cultura e del sapere. Solo con l’introduzione della riforma del “3+2″, avvenuta nel corso del 2001, la quota di giovani fuoricorso si è ridotta notevolmente, facendo scendere l’asticella dal 76,2 per cento registrato nel 2002 al 56,3 del 2009. A sottolineare questo fenomeno così diffuso in Italia è un articolo pubblicato da quattro docenti universitari su Lavoce.info, che avvertono: non date tutta la colpa agli studenti, le ragioni sono varie. E complesse.
Tra le cause della lentezza dei giovani nell’affrontare il percorso di studio non c’è soltanto la svogliatezza. A detta dei docenti, tra cui tre dell’Università del Piemonte Orientale, Giorgia Casalone, Eliana Baici e Carmen Aina, il sistema di regole di accesso alle università italiane sembra pesare parecchio sui ritardi che si accumulano nel corso degli anni. I ragazzi, infatti, accedono ai corsi nella maggior parte dei casi senza alcuna preselezione, né sufficiente orientamento: più iscritti uguale aule sovra-affollate, elemento che spesso scoraggia la frequenza delle lezioni e rende difficile, se non impossibile, l’interazione tra studente e docenti. Altro fattore fortemente influente, secondo quanto si evince dall’articolo, cui ha contribuito anche Francesco Pastore, professore di Economia politica a Napoli, è la politica attuale di ridurre le tasse per gli studenti iscritti oltre il periodo minimo previsto. Ripensare al sistema delle tasse basato sulla presenza di incentivi per chi rispetta i tempi potrebbe essere, al contrario, uno stimolo a studiare meglio e più in fretta. I problemi legati al mondo del lavoro e alle scarse opportunità che, al momento, offre ai neolaureati non sono da meno. Non avere sbocchi professionali alla fine degli anni accademici spinge molti giovani a non concludere nemmeno il ciclo di studi intrapreso o, comunque, a rallentare di molto i ritmi universitari. In questo senso, sono le attività di job placement e di diffusione di stage e tirocini presso aziende a dover essere incrementate e consolidate. Le risorse già presenti, e l’impiego di nuove tecnologie, come nel caso degli uffici placement romani, non sembrano essere ancora sufficienti.
(Fonte: università.it 20-04-2012)

 
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