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30 Aprile


RICERCA. PROGETTI DI ECCELLENZA. INTERVISTA AD ANTONIO IAVARONE PDF Stampa E-mail
Antonio Iavarone, docente di patologia e neurologia alla Columbia University di New York, è uno dei venti membri della task force di cervelli che lavorerà insieme al Governo per favorire la circolazione della conoscenza e per mettere in rete i ricercatori italiani che da qualche tempo lavorano con successo all’estero con le strutture di ricerca del nostro paese. Quali sono stati i principali errori delle riforme passate? «Tutti i programmi finora lanciati, persino il programma "Ritorno dei cervelli" per facilitare il ritorno dei ricercatori italiani all'estero e per incoraggiare quelli stranieri a lavorare in Italia, sono stati un fallimento. Il motivo è che tutte le iniziative dei governi che si sono succeduti, di qualsiasi orientamento politico fossero, non si sono mai rivolte agli scienziati internazionali più validi, spesso si è trattato di pure operazioni pubblicitarie. Ci vuole meno burocrazia e più attenzione al merito». Cosa propone? «L’Italia non attrae le migliori menti, come non attrae investimenti industriali; all’estero non viene vista come uno dei migliori posti dove lavorare. La rotta si può invertire solo mettendo in campo progetti di eccellenza, penso a 35 centri di punta tra il nord e il sud. Dobbiamo individuare su quali settori investire, per la nostra storia, per i risultati raggiunti e puntare a sviluppare al massimo il potenziale». Forse uno dei limiti è che non sappiamo esattamente neanche su quali asset economici puntare?  «Si, forse anche questo. Ma la ricerca di per sé è un asset. Nel mio campo per esempio, la ricerca sul cancro, essere un polo di riferimento internazionale significa mettere in moto una filiera con ricadute economiche sul territorio.». Ma i tempi non sono certo i migliori per trovare i soldi da investire. «Nel trasferimento di fondi per la ricerca dalla comunità europea, l’Italia paga una quota di compartecipazione comunitaria che è il doppio di quanto riesce a riprendere indietro come finanziamento ai programmi. Le risorse ci sarebbero, dunque. Inoltre, quando riesci a realizzare una fucina di cervelli attrai risorse attraverso l’eccellenza dei progetti».
(Fonte: P. Jadeluca, repubblica.it 24-04-2012)
 
RICERCA. POTENZIARE I CLUSTER D’INNOVAZIONE PDF Stampa E-mail

Collaborare con gli stranieri è conveniente. Non solo perché produce una ricerca di più alto impatto (dato l’incontro fra competenze complementari) ma anche sotto il profilo economico e di efficienza (in gruppo, per esempio, si riducono i costi delle attrezzature di laboratorio).
Fondamentale anche l’interdisciplinarietà, cui spesso si rinuncia per ragioni di carriera, quando per esempio ai giovani ricercatori si consiglia un’attività concentrata nel loro campo di studi, nell’ottica di costruirsi una propria reputazione, di legare il proprio nome a un tema specifico. È vero che non tutti i settori accademici sono tenuti a entrare in collaborazioni estere, ma in molti studi – come quelli riguardanti problematiche globali – l’approccio internazionale e interdisciplinare possono essere determinanti. Potenziare i “cluster” d’innovazione. L’espressione cluster è usata nelle scienze sociali per indicare poli di ricerca in cui l’innovazione è rigogliosa e auto-sostenibile. Chiamati anche hub, sono stati riconosciuti per esempio nella Silicon Valley, a Tokyo e a Cambridge, e si appoggiano almeno a una grande università. Secondo gli autori dello studio su Science, l’ideale sarebbe che i cluster contassero su una rete coordinata di università, che “comprenda una massa critica formata da diverse tipologie di talenti”, rappresentabile come un “ecosistema d’innovazione”. Le condizioni perché questo sogno possa realizzarsi sono un’esperta base imprenditoriale, necessaria per finanziare l’avviamento del progetto, e il libero scambio d’idee tra i settori e le istituzioni, talvolta osteggiato dai timori di violazione della proprietà intellettuale.
(Fonte: F. Toti, daily.wired.it 12-04-2012)

 
RICERCA INDUSTRIALE. FINANZIAMENTI E PERFORMANCE PDF Stampa E-mail

Esiste un grave sottodimensionamento della ricerca industriale. Sebbene le imprese italiane investano poco in ricerca e innovazione, ricevono un cospicuo sostegno pubblico, sia da parte del Governo nazionale che da quelli locali – e spesso più dai secondi che dai primi. Le imprese hanno ricevuto, nell’ultimo mezzo secolo, per ricerca e innovazione dallo stato italiano, dalle regioni e dall’Europa una quantità di risorse finanziarie di enormi proporzioni.  Se ci limitiamo alla sola R&S, nel 2009 le imprese sono state finanziate dalle istituzioni pubbliche italiane per 662 milioni di euro, pari al 6,5% del totale. Tale cifra equivale al fondo di finanziamento ordinario del CNR.
I dati sulla performance economica parlano chiaro: la produttività del nostro sistema produttivo è più bassa di quella degli altri paesi industrializzati, e ciò significa che l’investimento pubblico a sostegno della ricerca industriale non ha prodotto i risultati sperati. Sarebbe opportuno dunque, nel momento in cui, giustamente, si vanno a valutare (in realtà si torna a valutare) le istituzioni pubbliche, procedere finalmente a un’analisi dell’impatto che tali fondi hanno avuto sulla competitività del sistema produttivo italiano. E allora, visto che finora non si dispone di evidenze che giustifichino l’intervento pubblico a sostegno della ricerca delle imprese, e che la ricerca pubblica è ancora (ma per quanto?) vitale e produttiva, credo che per la comunità nazionale sia più saggio e produttivo togliere parte delle risorse pubbliche alle imprese e darle all’accademia e agli enti pubblici di ricerca. In tal modo si salvaguarda un patrimonio di competenze e si costruisce il futuro anche per le imprese stesse. Insomma una politica alla Robin Hood: togliere a chi non sai bene cosa ti dà in cambio – come dicono gli inglesi value for money – e dare a chi è produttivo e continuamente soggetto a scrutinio e valutazione, in patria e all’estero, ieri e oggi.
(Fonte: G. Sirilli, roars 11-04-2012)

Un commento (di Libera): non credo sia una soluzione togliere agli uni per dare agli altri perché tirando le somme perderebbero entrambe (anche se la ricerca di base è quella che va maggiormente salvaguardata)! Rimane invece il tema di come gestire al meglio le risorse e la complessità degli interessi in gioco.
 
RICERCA. INTERNAZIONALIZZARLA E VALUTARLA EX POST PDF Stampa E-mail
"La formazione nei termini tradizionali, almeno nei settori di punta - ha detto il ministro Profumo - forse non è più sufficiente. Le nostre università dovranno essere capaci di collegarsi di più con le grandi università all'estero per consentire ai ragazzi di fare un percorso completo e di portarsi nel mondo del lavoro non solo il bagaglio delle competenze delle nostre università, ma con un bagaglio di relazioni e di competenze per accelerare l'internazionalizzazione delle nostre aziende. L'internazionalizzazione è un tema su cui dobbiamo puntare per lo sviluppo di un Paese che è un po' seduto". Per quanto riguarda il finanziamento della ricerca, Profumo ha detto: "Gli strumenti che abbiamo utilizzato finora in Italia per il finanziamento alla ricerca non ci hanno allenati abbastanza alla competizione vera. Le modalità con cui abbiamo valutato i nostri progetti non sono state probabilmente equivalenti a quelle degli altri Paesi: e quando poi ci troviamo a competere in Europa o sui grandi scenari mondiali ci troviamo in difficoltà. Non siamo così capaci di accettare le regole, non siamo capaci di lavorare insieme. Siamo bravissimi come singoli - ha concluso il Ministro - diventiamo molto più deboli quando i progetti sono complessi e hanno bisogno di competenze che vengano anche da altre realtà". E a chi gli chiedeva quale fosse quindi la ricetta, Profumo ha replicato: "Gli strumenti per il finanziamento della ricerca in Italia devono diventare analoghi a quelli della competizione europea: le stesse modalità di creazione dei partenariati, le stesse modalità di valutazione e selezione dei progetti, la stessa attenzione ai risultati. Noi abbiamo un sistema per cui le nostre valutazioni sono sempre ex ante, e poi nessuno di noi va mai a vedere i risultati”.
(Fonte: AGI 10-04-.2012)
 
RICERCA: 915 MILIONI DI EURO DEL MIUR A PUGLIA, SICILIA, CAMPANIA E CALABRIA PDF Stampa E-mail
Arriva un ingente intervento finanziario del MIUR per i ricercatori del Mezzogiorno d’Italia. Quattro le regioni meridionali interessate, per le quali sono in arrivo 915 milioni di euro da investire in distretti tecnologici e aggregazioni pubbliche o private, da potenziare o da creare ex novo, 526 milioni sono per nuovi insediamenti. Quattro le regioni del meridione (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) iscritte dal Ministero nel piano di sviluppo della cosiddetta “Convergenza”, un’area vasta composta dalle quattro regioni coinvolte dai finanziamenti. Il decreto emanato dal MIUR approva le graduatorie relative alle proposte degli Studi di Fattibilità avanzati che ammette 42 domande sulle quasi 200 avanzate dalle regioni interessate. Il finanziamento è composto di risorse della comunità europea e dallo sblocco delle risorse nazionali del Fesr, il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e dal Fdr, il Fondo di Rotazione.  Le due azioni finanziate con 915 milioni di euro dal Ministero di Francesco Profumo riguardano i “Distretti tecnologici e relative reti” e i “Laboratori pubblico-privati e relative reti”: 389 milioni di euro saranno destinati allo sviluppo dei “Distretti di Alta Tecnologia” nella misura di 282 milioni nel potenziamento dei “Laboratori Pubblico-Privati”, per un importo di 107 milioni. I restanti 526 milioni di euro saranno dedicati alla creazione di nuovi distretti e aggregazioni.
(Fonte: S. Sammartino, laltrapagina.it 26-04-2012)
 
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