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12 Aprile
DECRETO DELEGATO DELLA L. 240/2010 SU DIRITTO ALLO STUDIO E COLLEGI UNIVERSITARI RICONOSCIUTI (ATTO N. 436) PDF Stampa E-mail

Il decreto in corso di approvazione non appare risolvere le tre principali criticità del sistema del diritto allo studio universitario nel nostro Paese, ovvero: 1. la presenza della figura dello studente idoneo alla borsa ma non beneficiario per mancanza di risorse; 2. la difformità di trattamento; 3. la mancanza di monitoraggio.
1. Il sistema di finanziamento disciplinato dall’art. 18 individua due fonti di finanziamento delle borse di studio, in un periodo transitorio (ovvero nelle more di quanto previsto dal decreto legislativo 6 maggio 2001 n. 68, per intenderci la legge sul federalismo fiscale), il Fondo statale e le entrate da tassa regionale. Queste due risorse non sono sufficienti a garantire la copertura totale degli aventi diritto. In Germania, il 65% della spesa per borse è finanziata dallo Stato e il 35% dai Länder.
2. In questo decreto non sono definiti i criteri di merito ed economici per accedere alla borsa, tuttavia all’art. 8, co. 3 si afferma: le condizioni economiche dello studente […] sono individuate sulla base dell'Indicatore della situazione economica equivalente, anche tenuto conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l'università o l'istituzione di alta formazione artistica e musicale. Questa frase manterrebbe lo status quo. Attualmente il livello ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) per accedere alla borsa differisce in base alla regione sede di studio, o addirittura alla città sede di studio (si veda il caso della Calabria). In nessuno Stato la condizione economica per accedere al sostegno economico dipende dalla sede di studio scelta dallo studente, neanche in Germania, dove vige il sistema federale.
3. Il monitoraggio della politica per il DSU (tassa regionale per il diritto allo studio universitario), è affidata all’Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario istituito all’art. 20. Tuttavia la specifica previsione di non assicurare gettoni di presenza e rimborsi spesa ai componenti dell’Osservatorio per l’attività svolta, rende impossibile, di fatto, la loro partecipazione se non a titolo gratuito (ovvero a proprie spese), come fosse attività di volontariato, minando all’origine il funzionamento di questo organismo.
(Fonte: audizione di ROARS in Commissione cultura della Camera http://www.roars.it/online/wp-content/uploads/2012/03/roars_436.pdf 22-03-2012)

 
GLI ORDINI PROFESSIONALI TUTELANO DAVVERO I CONSUMATORI? PDF Stampa E-mail
Perché riformare gli ordini professionali è così difficile in Italia? Perché le professioni si tramandano di padre in figlio? Con quali svantaggi per i consumatori? A queste domande risponde il libro di Michele Pellizzari e Jacopo Orsini “Dinastie d'Italia. Gli ordini tutelano davvero i consumatori?” (Università Bocconi Editore, 160 pag).In Italia le professioni regolamentate occupano, secondo dati Istat del 2009, circa 1,3 milioni di persone: il 5,8 per cento della forza lavoro e il 28 per cento degli occupati con titolo di studio universitario. Il peso del settore nel nostro paese è ancora più importante secondo le cifre fornite da Marina Calderone, presidente del Comitato unitario permanente degli ordini e collegi professionali: in base ai suoi calcoli, infatti, nel novembre 2011 il mondo delle professioni regolamentate in Italia registra 2,1 milioni di iscritti. La regolamentazione dei servizi professionali ha uno scopo ben preciso: proteggere i consumatori in mercati caratterizzati da asimmetrie informative, in particolare per quanto riguarda la capacità dei clienti di valutare la qualità dei servizi offerti. Medico, avvocato, farmacista e giornalista sono le professioni per le quali avere un familiare già iscritto all’ordine facilita maggiormente l’accesso. Invece di garantire qualità e trasparenza ai consumatori, gli ordini si sono trasformati in corporazioni al servizio degli associati. E le connessioni familiari che facilitano l'accesso alla professione rivelano il diffuso nepotismo. Il problema vero è che spesso l’incidenza del cognome è sintomo di pratiche nepotiste e corporative che riducono la qualità dei servizi. E quando la forza delle connessioni familiari consente a individui con scarse capacità di diventare commercialista, avvocato o medico più facilmente rispetto agli altri aspiranti, è evidente che la regolamentazione non funziona o non funziona per lo scopo per cui è stata disegnata.
(Fonte: J. Orsini e M. Pellizzari, lavoce.info 30-03-2012)
 
INCREMENTARE LE RETTE COME STRUMENTO DEGLI ATENEI PER EVITARE LA PARALISI DEL RECLUTAMENTO PDF Stampa E-mail
Nel Dlgs 437 l’esigenza di armonizzare efficienza degli atenei e sostenibilità della spesa è senz’altro condivisibile, ma nel valutare le previsioni contenute nel Dlgs non si può non tener conto del fatto che l’università italiana è già da anni sottoposta a rilevanti riduzioni del finanziamento, che aggravano ulteriormente la distanza del nostro Paese dalla media UE, e a una consistente riduzione del personale docente. Va inoltre precisato che la simulazione riportata nella relazione illustrativa al Dlgs si riferisce al 2010. Altra cosa è prevedere o simulare quale possa essere la situazione che si verrà a creare con la progressiva diminuzione dell’FFO prevista per i prossimi anni. E’ lecito supporre che la stima di un turnover medio (in termini di punti organici) di poco inferiore al 25% sia perfino ottimistica, in assenza di un significativo incremento delle rette universitarie corrisposte dagli studenti: infatti, l’incremento delle rette, secondo il dettato del Dlgs, pare l’unico strumento a disposizione degli atenei per evitare una paralisi del reclutamento che con ogni probabilità porterà alla chiusura di strutture e eventualmente di corsi di laurea per mancanza della numerosità minima. Non stupisce dunque che la CRUI abbia avanzato la richiesta di sopprimere il vincolo previsto dalla normativa vigente che impone di contenere l’importo cumulativo delle rette universitarie entro il 20% di quanto percepito come FFO da ogni singola sede.
(Fonte: ROARS 22-03-2012)
 
RAPPORTO TRA FASCE DOCENTI. ABILITAZIONI NAZIONALI. CHIAMATE DIRETTE PDF Stampa E-mail
Il Dlgs 437 (art. 4 c. 2) mira, conformemente a quanto previsto dalla l. 240/2010 a raggiungere un rapporto equilibrato fra fasce docenti all’interno dei singoli atenei, prevedendo, salvo eccezioni, un rapporto ottimale fra ricercatori (50%), associati (60% del restante 50%) e ordinari (40% del rimanente). Il raggiungimento entro i tempi previsti di un tale rapporto non è pensabile senza l’avvio delle abilitazioni nazionali. Va però detto, che mentre è ancora oscuro quando tali abilitazioni saranno avviate, lo schema di Dlgs (art. 7 c. 2 a) contribuisce ad aprire un secondo canale di reclutamento, rafforzando l'indirizzo introdotto dall’art. 29 c. 7 della L.240/2010. In questo senso vanno ben considerati i commi a-f dell'articolo 9, che danno conto dei parametri da utilizzare per la valutazione ex post del reclutamento, e stimolano potenzialmente, come ha osservato il CUN, un ricorso fuori controllo alle chiamate dirette e al reclutamento “di studiosi da paesi esteri, senza valutare la possibilità di premiare anche la capacità di reclutare e trattenere studiosi italiani di qualità”. Va osservato a questo proposito che non si tratta unicamente di favorire una tendenza all’internazionalizzazione, attraverso l’assunzione di personale docente e ricercatore proveniente dall’estero e/o coperto da finanziamenti esterni. Infatti, quanto previsto dall’art. 29 c.7 della l. 240/2010 sembra consentire anche progressioni di carriera di soggetti già strutturati nelle università italiane, che siano stati vincitori di progetti di ricerca di particolare rilievo. Come ricorda efficacemente il CUN, la chiamata può dunque dar luogo a “progressione di carriera di personale docente che è già nei ruoli dell’Università configurando in tal modo  un canale alternativo all’abilitazione nazionale di recente introduzione”.
(Fonte: ROARS 22-03-2012)
 
ON LINE DUE UNIVERSITÀ FASULLE PDF Stampa E-mail
Avevano pagato mille euro pensando di aver ottenuto un titolo valido per una svolta nel mondo del lavoro. E invece quei due atenei che si facevano pubblicità anche su internet erano del tutto fasulli. A scoprirlo Gat Nucleo Speciale Frodi Telematiche della Guardia di Finanza nell'ambito di un'indagine della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. L'inventore dei fantomatici atenei è un docente che, come specificato dall'università della Tuscia: «Non è stato mai dipendente dell'ateneo della Tuscia. Il docente, di origine greca, ha avuto a Viterbo solo un incarico a tempo alcuni anni fa. Alla scadenza il contratto non è stato più rinnovato». I siti con cui venivano reclamizzate le infondate attività di studio e le ancor meno veritiere certificazioni di diplomi e lauree sono stati sottoposti a sequestro: si tratta di www.logosegiustizia.com (una sorta di portale in cui venivano prospettate opportunità irripetibili di formazione ad alto livello), www.unilusi.it (corrispondente alla sedicente Università Giovanni Paolo II o Università Karol Wojtila) e www.unisuis.com (Sophia University of International Studies). Per iscriversi alle due Università fasulle, prive di una sede e di aule, bastavano mille euro e si potevano anche ottenere sconti se ci si iscriveva a più corsi. A cadere nella trappola studenti-lavoratori alla ricerca di titoli da utilizzare nell'ambito di concorsi pubblici. Tra i percorsi didattici inesistenti il Master in diritto di famiglia civile e penale, quello in diritto comunitario del lavoro e processuale o ancora in diritto del lavoro e processuale amministrativo.
(Fonte: Il Messaggero 02-04-2012)
 
IL CONTRATTO DI DOTTORATO PDF Stampa E-mail
Maria Chiara Carrozza, rettore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, parlando a Firenze in occasione della tappa fiorentina del tour di 'Giornata di consapevolezza europea' promosso dall'Istituto Dirpolis (diritto, politica, sviluppo) della Scuola Sant'Anna: ''E' necessario che arrivi al più presto una risposta chiara sul numero dei dottorandi attualmente senza borsa e, soprattutto, su quanto l'Italia investa sul dottorato di ricerca e sui dottorandi, che non possono essere considerati solo studenti. In termini di ricerca e di innovazione, da loro arriva un contributo assolutamente rilevante. Occorre fare chiarezza sulla questione dottorandi senza borsa, sono posizioni che apparentemente offrono un’opportunità ma che in realtà impongono un lavoro senza compenso e senza speranza per tre anni della vita di una persona, non si deve lavorare gratis all'università'. Io sono favorevole a quello che viene chiamato 'contratto di dottorato' e che considera il dottorando come un 'ricercatore in formazione', che pertanto assume una serie di responsabilità e di altrettante responsabilità si fa carico l'Università' presso di cui svolge attività di ricerca, appunto come ricercatore in formazione''.
(Fonte: ASCA 28-03-2012)
 
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