Home 2012 18 Marzo
18 Marzo
RECLUTAMENTO. SCHEMA DI DLGS CHE DISCIPLINA LA PROGRAMMAZIONE, IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DI BILANCIO E DI RECLUTAMENTO DEGLI ATENEI PDF Stampa E-mail
Il termine per l’esame dello schema di decreto 437 nelle commissioni parlamentari è fissato per il 27 marzo, e da quel giorno ogni momento sarà buono per l’approvazione finale. Il nuovo decreto sembra un testo complesso, ma non lo è. In breve, il decreto 437: 1. Riduce le possibilità di reclutamento dimezzando, in media, secondo le simulazioni, le possibilità di utilizzo delle risorse per cessazioni. 2. Consente di mantenere livelli accettabili di reclutamento solo a patto di un innalzamento delle tasse. 3. Produce un ranking tra atenei, sulla cui base modulare i finanziamenti e il reclutamento, sino a “eliminare le strutture universitarie inefficienti” (Sezione 5, punto C). 4. Rafforza la tendenza verso il ridimensionamento del sistema universitario, vincolando le esigenze di programmazione a indicatori di “sostenibilità”, equilibrio nella composizione dell’organico, e vincoli di bilancio che nulla hanno a che vedere con la programmazione, bensì potenzialmente finiscono per definirla essi stessi. 5. Suppone che “l’intervento regolatorio […] si riflette positivamente anche sulla più generale competitività del Paese, [...] determinando, di fatto, delle condizioni strutturali a vantaggio della competizione e dello sviluppo deila didattica e della ricerca a beneficio della collettività e dei contesti sociali ed economici del Paese” (Sezione 6), in una relazione acrobatica causa-effetto. 6. Il decreto ripete per otto volte che “dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. 7. Il documento sembra andare nella direzione auspicata dal dossier che la Crui ha consegnato lo scorso 6 Luglio 2011 all’ex Ministro Gelmini, in cui la Conferenza dei Rettori chiedeva esplicitamente l’eliminazione della regola del 20%.
(Fonte: F. Coin, roars 01-02-2012)
 
RECLUTAMENTO. DLGS PROGRAMMAZIONE, MONITORAGGIO, VALUTAZIONE E RECLUTAMENTO. DOCUMENTO DELLA CRUI PDF Stampa E-mail
La CRUI in vista del passaggio parlamentare dello “schema di decreto recante la disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei (n. 437) in attuazione della delega prevista dall’art. 5, c. 1, lettere b) e c) della L. 30/12/2010 n. 240 secondo i principi normativi e i criteri direttivi di cui al c. 4, lettere b), c), e) ed f) e al c. 5.”, ha approntato un primo documento di valutazione in merito, che qui viene sintetizzato riguardo ai punti salienti.
In linea generale del provvedimento non si può in primo luogo non lamentare un’impostazione dirigistica, su base esclusivamente algoritmica, delle politiche gestionali delle Università, già alle prese con l’intera gamma dei decreti attuativi della L. 240/2010 e con la complessa attivazione dei principi della contabilità economico-patrimoniale. Non si può chiedere alle Università italiane, a fronte di un numero di docenti drammaticamente calato (-10,5% nel triennio 2009-2011) e di una conseguente offerta formativa pericolosamente decurtata, di continuare a decrescere anche negli anni successivi al triennio “emergenziale” appena trascorso. Un’ulteriore riduzione del numero di docenti e di ricercatori avrebbe un immediato riflesso negativo sulla capacità del sistema di competere nel contesto europeo. Il provvedimento incide, aggravandola, su una situazione di partenza estremamente differenziata fra gli Atenei. Una vera e propria sperequazione la cui esistenza è riconosciuta dalla stessa legge 240/2010. L’applicazione dei medesimi valori parametrici in situazioni così differenti rischia di pregiudicare in partenza la posizione degli Atenei storicamente sottofinanziati. L’applicazione rigida del sistema di turn-over previsto da questo decreto comporterebbe una riduzione progressiva degli organici, già pesantemente decurtati nel corso dell’ultimo triennio e su livelli molto ridotti in qualunque confronto internazionale. La procedura delineata nel provvedimento, declinata con le soglie definite nel testo, porta a un’estrema compressione dei punti organici complessivi disponibili per tutto il sistema (un sostanziale dimezzamento), solo parzialmente compensata dall’erogazione di punti organico del “piano associati”. Si deve poi lamentare la mancanza di un qualunque riferimento specifico alle Università che abbiano intese con le Regioni per la conduzione di ospedali universitari o di Aziende Ospedaliero-Universitarie Integrate, nei cui confronti hanno un obbligo di copertura delle posizioni di vertice e quindi precisi obblighi di spesa per questo personale, in particolare tecnico e amministrativo. Le spese sostenute dagli Atenei dovrebbero avere un doppio riconoscimento: un alleggerimento al numeratore ma, soprattutto, un’integrazione a denominatore con risorse provenienti dal SSN. Non appare infine più rinviabile l’introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso (art. 8). In particolare si richiede che lo stesso sia calcolato con riferimento a parametri europei riferiti a Paesi di analoga importanza economica.
Nelle osservazioni specifiche, con riferimento all’art. 5, c. 4, rileva il problema derivante dai limiti di cui al DPR 306/1997 ovvero dal limite del 20% sui trasferimenti dello Stato come tetto degli introiti da tasse e contributi. La CRUI propone in merito diverse soluzioni, sostanzialmente speculari fra loro: a) la possibilità di computare tasse e contributi a denominatore esclusivamente fino alla concorrenza del limite di legge esistente; b) la possibilità di computare tasse e contributi rapportandoli a un limite dello 0,2 rispetto all’FFO teorico che discende dal modello di ripartizione (art. 11 della L. 240/2010) o all’FFO standard già sopra richiamato; c) mantenere un tetto di garanzia esclusivamente fino a una certa soglia di reddito; d) la pura e semplice abrogazione dell’art. 5 del DPR 306/97.”
(Fonte: resoconto sommario assemblea crui, 23-02-2012)
 
RECLUTAMENTO. DLGS PROGRAMMAZIONE, MONITORAGGIO, VALUTAZIONE E RECLUTAMENTO. DOCUMENTO DEL CUN PDF Stampa E-mail

In linea con le indicazioni offerte dalla Legge 30 gennaio 2010, n. 240, lo schema di decreto 437 si propone di introdurre incentivi all’autocontrollo e alla qualificazione della spesa per il personale degli atenei, riprende la normativa sulle politiche di indebitamento (cercando di rimuovere, per via gestionale, il vincolo normativo dell’indebitamento come mutuo e investimento) e contempla principi e criteri di processo e di misura per qualificare le decisioni spettanti sia agli Atenei sia al MIUR. Si tratta di soluzioni nelle quali è facile riconoscere il proseguimento delle politiche di ridimensionamento, o comunque contenimento, del sistema universitario. Su questo il CUN esprime un parere fortemente critico, in quanto sono molteplici e diffusi nel sistema i segni di una crescente consapevolezza e responsabilità nella gestione delle risorse. Il riconoscimento di una qualificata “autonomia responsabile” negli atenei, con una severa valutazione a posteriori che preveda anche sanzioni esplicite per i casi meno virtuosi, potrebbe rappresentare una formula più adatta rispetto alla sommatoria di norme e parametri per loro natura di difficile gestione e affidabilità. Dal punto di vista politico-programmatico, lo schema di decreto in esame, destinato a operare solo nei confronti delle Università statali italiane, conferma il ridimensionamento del sistema universitario pubblico avviato dalla Legge n. 133/2008 e proseguito con la Legge n.240/2010, mentre non tocca il settore non statale e telematico. Di seguito, se ne indicano i più significativi indici rivelatori.
Lo schema di decreto riformula l’indicatore delle spese del personale sulle entrate annue e consente agli atenei più “virtuosi”, che presentano un valore inferiore al 70% di tale indicatore, di procedere all’investimento in reclutamenti fino al 50% del turnover con aggiustamenti incrementali successivi. Gli atenei che presentano un valore superiore al 70% e inferiori all’80% (nuovo valore soglia), vale a dire la grande maggioranza, potranno investire quote minori del turnover (intorno al 25%), mentre è concessa una soluzione del 10% agli atenei con l’indicatore oltre l’80%, ma con una posizione debitoria complessiva soddisfacente. L’assioma che ne risulta può essere sintetizzato in: “Meno risorse uguale meno reclutamenti, con spinta verso la ricerca di più fondi da tasse e contributi, e con più efficienza interna”. E’ una linea progettuale che sembra rimuovere il fatto che l’FFO 2012 è programmato in severa discesa a 7.083 milioni di euro, l’FFO 2013 a 6.645 e l’FFO 2014 a 6.595 fermandosi alla soglia dell’ammontare pressoché eguale fra stanziamento statale e livello complessivo delle spese fisse per stipendi nelle università.
Da un lato il decreto introduce principi e criteri condivisibili, utili per mettere in moto processi di autocontrollo locale della spesa, ma dall’altro presenta soluzioni largamente dirigistiche e meccaniche.
(Fonte: CUN. Audizione presso la Commissione Cultura del Senato della Repubblica relativa all’atto del Governo n. 437, 21-02-2012. Testo integrale)

 
RICERCA. VQR 2004-2010: CRITERI DEI GEV (GRUPPI DI ESPERTI DELLA VALUTAZIONE) PDF Stampa E-mail

Il 29 febbraio 2012 sono stati pubblicati i documenti redatti dai GEV che descrivono i criteri che saranno seguiti per la valutazione dei prodotti di ricerca presentati dalle strutture entro il 30 aprile.
Tutti i documenti sono disponibili nella sezione VQR 2004-2010/GEV unitamente ad un documento di accompagnamento. Per altre informazioni.

 
RICERCA. LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELLA RICERCA NELL’AMBITO DELLE SCIENZE GIURIDICHE PDF Stampa E-mail

Si segnala l’articolo di Giorgio Grasso  “La valutazione dei risultati della ricerca nell’ambito delle scienze giuridiche (a margine di due recenti documenti del CUN e dell’ANVUR su criteri e parametri per la valutazione di candidati e commissari dell’abilitazione scientifica nazionale)  apparso sulla Rivista Telematica Giuridica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti (4/2011). Di seguito il sommario dell’articolo:
0. Prologo: ricordando Alessandra. – 1. La valutazione della ricerca: profili generali. Gli spunti della legge n. 240 del 2010. – 2. La valutazione dei risultati della ricerca nel campo delle scienze giuridiche: à rebours tra i generi letterari tipici di tale scienza ed elementi utili a costruire strumenti e indicatori di valutazione. – 3. La proposta del CUN su criteri e parametri per la valutazione, ai fini di cui all’art. 16, comma 3, lett. a e h, della legge n. 240 del 2010. – 4. Il documento ANVUR su criteri e parametri di valutazione dei candidati e dei commissari dell’abilitazione scientifica nazionale. – 5. Qualche provvisoria conclusione.
(Fonte: redazione roars 04-03-2012)

 
RICERCA. COME VALUTARE LE RIVISTE UMANISTICHE PDF Stampa E-mail

La premessa necessaria è che tutto questo ragionare su come valutare le riviste umanistiche deriva dal fatto che – a torto o a ragione – si ritiene che nelle discipline tecnico-sperimentali le riviste siano classificabili e classificate con strumenti consolidati e accettati a livello internazionale e quindi inattaccabili. Nelle discipline socio-umanistiche invece ciò non avviene: non avviene per mancata o ridottissima presenza all’interno dei grandi database commerciali e non avviene soprattutto se consideriamo i singoli ambiti nazionali, nei quali la comunità degli studi è ancora (probabilmente per sua natura) articolata. Ma qualcuno, in varie realtà europee e alla fine anche in Italia, ha pensato, non da oggi certamente, alla possibilità di elaborare ranking delle riviste socio-umanistiche e di farlo con metodi sostanzialmente diversi da quelli bibliometrici classici. Alla fine del 2011 si disponeva comunque di un buon numero di ranking di riviste umanistiche redatti per varie discipline nonostante le operazioni non avessero avuto alcun tipo di coordinamento e sebbene non mancassero elementi di dubbio (forti disparità di valutazione di riviste intersettoriali a seconda del settore che le ha valutate). A questo punto l’effetto combinato ANVUR-VQR ha indotto uno stato di fibrillazione. Le liste di riviste classificate erano troppo ampie, troppo diverse, troppo discordanti tra loro, troppo disugualmente distribuite per discipline, troppo poco discusse e condivise per rappresentare uno strumento affidabile. L’ANVUR non si è intromessa nella valutazione, non ha interferito con i criteri, non ha predeterminato la distribuzione percentuale in fasce di merito, ha solo chiesto che le classifiche distinguessero tipologie di riviste (settoriali, intersettoriali, fascia A e fascia B, nazionali e internazionali: e, attenzione, l’ha fatto anche con riferimento alla materia spinosissima delle case editrici).
Vediamo allora la sostanza della materia e chiediamoci se, in generale, hanno senso i ranking delle riviste umanistiche. Il mio parere personale è che abbiano senso eccome, a patto di sgombrare il campo da due idee fasulle (per le humanities ma anche per tutti gli altri saperi tecnologico-sperimentali): la prima è che strumenti del genere possano dare rappresentazioni di valore oggettive, incontestabili e come tali suscettibili di diventare inespugnabile baluardo contro l’arbitrio dei favoritismi e dei personalismi; la seconda idea totalmente fasulla è che ci sia corrispondenza automatica tra qualità del contenitore e qualità del contenuto.
Ranking delle riviste e bibliometria possono coincidere, ma possono anche costituire due cose completamente diverse. Possono essere costruiti, come nei grandi database e indici citazionali commerciali, mediante valori ricavati da analisi quantitative (fattori di impatto raffinatissimi, numeri di citazioni, numeri medi, assoluti, normalizzati, numeri di pagine, prezzo di copertina o quel che vogliamo) rese possibili dall’esistenza di dati suscettibili di analisi automatizzata. Ma possono anche essere elaborati in base a valutazioni di carattere qualitativo, che riguardino cioè il profilo editoriale di una rivista, identificabile in base a una serie di parametri piuttosto – anzi, sicuramente – condivisi a livello internazionale. Analizzare quei parametri (sui quali non mi soffermo per ragioni di spazio, ma sono evidentemente questi gli oggetti di cui discutere) non significa fare bibliometria. Significa che una persona esperta prende in esame una rivista su un dato numero di annate e ne valuta non tutto il contenuto (come si farebbe in un vero peer review delle riviste, in questo caso impossibile), bensì il profilo scientifico-editoriale secondo parametri dotati di un certo valore e in base a scale di pesi prestabilite. Ne emerge un valore numerico che però serve solo a esprimere sinteticamente quel lavoro analitico qualitativo e anche con un certo margine di soggettività. Questa non la chiamerei bibliometria, ma analisi diretta qualitativa su parametri dati. Naturalmente, in una simile procedura di valutazione, sono i parametri a dover essere oggetto di discussione preliminare e di consenso. Stabiliti questi, sarà possibile sottoporre gli oggetti da valutare a un’analisi che darà luogo a una scala di posizioni. Questa potrà poi essere verificata non perché i valutati abbiano modo di dire se l’esito va loro a genio o se non sia meglio cambiare le regole, ma per capire se ci sono paradossi o evidenti errori o sproporzioni di pesi e se si debba tarare diversamente lo strumento. Così fatto, un ranking di riviste potrà sicuramente dare informazioni. Non sul valore oggettivo dei singoli articoli e saggi, ma su come quello strumento di comunicazione scientifica agisce nell’interesse della stessa e quindi anche degli autori che vi pubblicano. Ma c’è qualcosa di più. Tale ranking avrà reso necessaria preliminarmente un’analisi ravvicinata del mondo editoriale accademico disciplina per disciplina, ne avrà potuti evidenziare debolezze e punti di forza, avrà permesso di verificare la diffusione reale delle migliori pratiche riconosciute internazionalmente, cosa che verosimilmente aiuterà a elevare gli standard operativi scientifici, redazionali e editoriali. Si dice che le piccole riviste (o le piccole case editrici) ne soffriranno e rischieranno di scomparire. Ma si tratta spesso di un mondo arretrato, chiuso, ripiegato su se stesso, dove ancora capita di sentire battute del genere: “ma quale peer review? se decido io è buono e basta!”. Vogliamo negare che questo sia uno degli aspetti di maggiore debolezza della situazione italiana? Ben venga dunque un lavoro analitico di conoscenza diretta e approfondita del mondo delle riviste accademiche di discipline umanistiche.
Conclusione: i ranking causano certamente irritazione e scottature (“rankling”). Però sono possibili, sono utili, sollecitano le comunità, le inducono ad autovalutarsi, aiutano la diffusione delle migliori pratiche, attenuano l’autoreferenzialità. Basta però saperli organizzare, coordinare, mettere su basi solide e condivise ed eseguirli nei tempi necessari
(Fonte: G. Abbattista, roars 05-03-2012)

 
Altri articoli...
« InizioPrec.12345678910Succ.Fine »

Pagina 3 di 14