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20 Febbraio
CINQUE PUNTI PER RIPARLARE DI UNIVERSITÀ PDF Stampa E-mail

Non sarebbe certo male se riuscissimo a migliorare la qualità della discussione sull’università, che oggi appare ancora dominata da facili slogan: basterebbe davvero abolire il valore legale dei titoli di studio per risolvere tutti i problemi? Forse si possono proporre alcuni elementi di un’agenda un po’ più completa per la discussione. Proviamo a farlo mettendo in luce cinque punti almeno (per cominciare).
Innanzitutto, all’Italia servono molti più laureati. Viaggiamo nella parte bassa della classifica dell’Unione europea a 27, e rischiamo nei prossimi anni di scivolare ancora più basso. Un elevato numero di laureati, soprattutto in discipline scientifiche, può favorire il rilancio competitivo del Paese. Le imprese che esistono hanno bisogno delle nuove conoscenze tecniche e creative, di cui sono portatori giovani ad alta qualifica; e tutti noi abbiamo bisogno che una parte di questi giovani crei nuove imprese, per mettere a profitto quelle conoscenze e creare nuovo lavoro. E’ un tassello di un possibile rilancio; non l’unico, naturalmente. Ma rassegnarsi a mantenere costante, o addirittura a ridurre il numero di laureati, in base all’attuale richiesta delle imprese (in un momento di grave crisi) certamente aiuta il declino.
Al secondo posto delle nostre priorità viene il fatto che laurearsi deve poter restare uno dei più importanti “ascensori sociali” in un Paese dalla mobilità quasi bloccata, che di ascensori ne ha pochissimi e spesso mal funzionanti. Il rettore dell’Università di Foggia faceva recentemente presente, in un articolo su “il manifesto”, che nella sua sede l’82% dei laureati sono figli di genitori non laureati; il 38% di genitori privi di titolo di studio. Non è una colpa. Un tempo si sarebbe detto che è un merito. Spinge ad avere enorme attenzione, ad esempio, al tema delle tasse studentesche nel quadro dei bilanci degli atenei.
In terzo luogo, il potenziamento del sistema dell’università è un problema nazionale, e va affrontato in un’ottica nazionale. L’autonomia e la responsabilità delle sedi sono elementi preziosi del sistema. Ma la logica dell’“ognuno per sé” è altra cosa. Emergono sempre più evidenti le proposte di quanti disegnano un sistema con pochi atenei di serie A (con un finanziamento più cospicuo e un’intensa attività di ricerca), collocati nelle grandi città più ricche, a diretto contatto con le imprese oggi più forti e con i pochi soggetti che hanno ancora disponibilità finanziarie, verso i quali convogliare i giovani più brillanti. E un più elevato numero (da ridurre nel tempo per puro esaurimento di risorse) di atenei di serie B, destinati a svolgere solo didattica di base, senza disponibilità per la ricerca, per fornire ai primi laureati triennali da specializzare. Se è certo che questo gioverebbe ad alcune sedi, è assai probabile che sarebbe una pessima scelta per l’interesse nazionale.
Viene poi la questione del merito. Premiare il merito è una cosa seria, indispensabile. Ma è assai difficile e va fatto con grande attenzione. Finora in Italia si è invece fatto malissimo. L’eredità Gelmini contiene indicatori discutibili, taluni contrari al buon senso (come la velocità degli studenti nel superare gli esami, evidente premio a valutazioni di favore più che a una buona organizzazione); di criteri definiti dopo il periodo di valutazione, in modo da avere già i numeri per sapere chi premiare. Di indicatori che misurano valori assoluti, e non il vero “merito”: quanto hai ottenuto, con le tue scelte, in base alla tua posizione di partenza e alle risorse disponibili: si pensi solo – per riflettere sulla “virtù” – che nel 2010 il finanziamento pubblico per studente variava da 2200 a 6500 euro, nelle diverse università italiane. Soprattutto, di un meccanismo che non mira a produrre comportamenti più virtuosi da parte di tutti – per migliorare il sistema nazionale dell’istruzione superiore – ma a motivare perché si spostano risorse date (meglio: in riduzione) dagli uni agli altri.
Veniamo ora all'ultimo punto. L’università cammina sulle intelligenze e le capacità dei più giovani, e sulla loro interazione virtuosa con i più anziani. In molte sedi italiane la realtà è un’altra: prepensionamenti massici e contemporaneamente chiusura degli ingressi. Come se davvero assegni di ricerca o posti da ricercatore (o da associato, come nella recentissima, assai controversa decisione) fossero sprechi che non ci dobbiamo più permettere. Un tema certamente assai complesso tecnicamente, ma con una valenza politica straordinaria. Non difficilissima da comprendere, e sulla quale vale la pena esercitarsi, proprio in un momento di risorse pubbliche scarsissime.
(Fonte: G. Viesti, La Nota  http://www.rivistailmulino.it 06-02-2012)

 
RICHIESTA DI TRASFORMAZIONE DELLE ACCADEMIE STATALI DI BELLE ARTI IN FACOLTÀ DI BELLE ARTI PDF Stampa E-mail

Le Accademie statali di Belle Arti, in particolare quelle di antica fondazione e tradizione storica, sono Patrimonio della Nazione e, con le loro sedi incardinate nei centri storici, Patrimonio dell’Umanità. Esse costituiscono, dal XVI secolo in avanti, il modello fondativo di riferimento per la nascita e la strutturazione delle istituzioni di formazione artistica superiore in tutto il mondo. In Germania, Austria, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Scandinavia, Spagna, Portogallo, Turchia, Egitto, Canada e Stati Uniti, la formazione superiore nel campo delle Belle Arti è stata integrata a pieno titolo nelle Università in modo totalmente distinto dalla formazione musicale. Al contrario in Italia l’unione forzata delle Accademie con i Conservatori all’interno di un sistema separato dall’Università ha estromesso il nostro Paese dalla competizione europea e internazionale.
Professori e Studenti delle Accademie statali di Belle Arti chiedono alla VII Commissione della Camera dei Deputati di integrare il disegno di legge n. 4822, attualmente in discussione, con una serie di emendamenti che comportino:
1. La trasformazione delle Accademie statali di Belle Arti in Facoltà di Belle Arti nell’ambito degli Atenei territoriali di riferimento;
2. La trasformazione dei Diplomi accademici di primo e di secondo livello e dei Corsi accademici di formazione alla ricerca rispettivamente in Lauree triennali, Magistrali e Dottorati di Ricerca, ex DM 270 del 2004 e successive modiche e integrazioni;
3. Il riconoscimento, a partire da gennaio 2013, dello Status giuridico ed economico universitario per i Docenti di Prima e Seconda fascia attualmente in servizio;
4. Una speciale norma di salvaguardia per il patrimonio immobiliare e mobiliare delle Accademie storiche;5. L’attuazione del comma 6, articolo 33 della Costituzione della Repubblica Italiana.
(Fonte: Consiglio nazionale degli studenti per la riforma universitaria delle accademie. Consiglio nazionale dei professori delle accademie di belle arti, www.siamoallafrutta.org 11-02-2012)

 
IL NUOVO MOTORE DI RICERCA VOLUNIA PRESENTATO ALL’UNIVERSITÀ DI PADOVA PDF Stampa E-mail
È appena nato ed è già oggetto di forti polemiche. Parliamo di Volunia, il nuovo e rivoluzionario motore di ricerca completamente made in Italy. Il Google italiano, per intenderci, anche se il riferimento è molto ambizioso. Presentato ieri nel corso di una conferenza stampa nella Sala dell'Archivio Antico di Palazzo del Bo dell'Università di Padova, ne è stata subito sottolineata la mission in grado di rivoluzionare gli attuali sistemi di ricerca con una visione innovativa del web. Massimo Marchiori, docente di Reti e Tecnologie Web dell'Università di Padova già noto come uno degli inventori dell'algoritmo di Google, ha spiegato in diretta streaming mondiale come Volunia offra una prospettiva nuova, in 12 lingue e con i contenuti di tutto il mondo. Seek & Meet, recita lo slogan, che, di fatto, si traduce in un motore di ricerca che è anche luogo d’incontri virtuali: già dalla pagina dei risultati sarà, infatti, possibile conoscere quante persone stanno navigando sullo stesso sito per il quale è presentata anche una mappa. Molto probabile che gli utenti abbiano interessi comuni e quindi motivo di conoscenza reciproca. L'idea è senz'altro innovativa. Volunia non vuole abbandonare gli utenti, piuttosto prova a guidarli nelle navigazioni ma non sarà certo l'anti google, tiene a precisare Marchiori che ha tolto così i veli al nuovo progetto al quale per il momento possono accedere solo 150mila persone mentre tra una settimana dovrebbe aprirsi al pubblico permettendo connessioni a milioni d’internauti. Maggiore facilità di esplorazione, quindi, attraverso una sorta di mappa vista dall'alto. Ma l'idea non convince del tutto. In particolar modo nella grafica giudicata troppo scarna e nell'impostazione concettuale. Deludono nome e logo, mentre qualche dubbio si pone in chiave sicurezza e privacy. C'è però chi trova il nuovo motore di ricerca geniale, c'è chi invece non è del tutto convinto dalla struttura che rischia di essere troppo pesante preferendo meno funzioni e più velocità di caricamento. Una cosa è certa. Volunia rappresenta una sfida, tutta italiana.
(Fonte: A. Lopedote, www.vitadidonna.org 07-02-2012). Si veda anche l’articolo di F. Bottazzini.
 
POTENZIATO IL SISTEMA INFORMATIVO CON IL PROTOCOLLO D'INTESA MIUR- ISTAT PDF Stampa E-mail
Dal prossimo anno accademico ogni aspirante alla professione di medico, architetto, geometra o esperto contabile saprà per certo che iscrivendosi a un corso di laurea lo aspetterà un preciso percorso. E ogni matricola universitaria, magari con le idee poco chiare, saprà come riuscirà a «spendere» il fatidico pezzo di carta. Il tutto sarà possibile grazie ad un recente protocollo d'intesa Miur-Istat che punta a integrare il progetto «Sistema informativo sulle professioni» già operativo da anni, con le informazioni inserite nella Banca dati dell'offerta formativa universitaria. In sostanza, dal 2012-13, all'esistente database che già contiene le informazioni dettagliate di tutte le professioni classificate dall'Istat si aggiungeranno quelle provenienti dal mondo accademico. Che, dal canto suo, dovrà essere più dettagliato nelle sue informazioni e quindi ogni corso di laurea, accanto agli obiettivi formativi e gli insegnamenti attivi, dovrà contenere anche informazioni sui futuri sbocchi occupazionali. L'obiettivo è quello dí fornire un più efficace strumento di orientamento per gli studenti soprattutto considerando che le informazioni degli sbocchi professionali inseriti nei Rad, cioè i regolamenti didattici dell'ateneo e poi nella Banca dati offerta formativa, hanno mostrato negli anni «incongruenze ed errori legati spesso a un uso improprio della classificazione Istat nella fase d’individuazione della professione cui preparerebbe il corso di studio». In questo senso per una singola professione analizzata nell'ambito del Sistema, sarà possibile ottenere, interrogando la base dati tutte le informazioni disponibili relative a quella determinata professione e inoltre la distribuzione territoriale dei corsi di laurea che individuano quella stessa professione come sbocco lavorativo. Per ogni professione si potrà, poi, ottenere la dinamica occupazionale, le aree territoriali in cui è più richiesta, le principali caratteristiche della professione, le capacità, le conoscenze e le doti personali associate a chi le esercita, i percorsi formativi utili per esercitarle ma anche le eventuali professioni collegate.
(Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 14-02-2012)
 
UNA PROPOSTA ALTERNATIVA PER LA BANCA DATI VQR PDF Stampa E-mail

Le discipline socio-umanistiche, a differenza delle scienze dure, non hanno come riferimento (salvo significative eccezioni) un’unica comunità internazionale o un’unica lingua veicolare, e neppure oggetti e metodi di studio ampiamente condivisi e trasversali. Ciò trova immediato riflesso nella diversità di pratiche editoriali e citazionali che si registra tra le une e le altre. Per queste ragioni non ci si può sbrigativamente limitare a raccomandare l’inclusione delle riviste socio-umanistiche in WoS o in Scopus, ammesso che questo sia un obiettivo ragionevolmente perseguibile, con procedure accessibili e snelle. Occorre semmai riflettere su come dar vita, almeno a livello nazionale, a strumenti che abbiano la stessa credibilità e affidabilità delle banche dati di Thomson e di Elsevier.
Prodotti di questo tipo non s’improvvisano: richiedono una progettazione attenta e scrupolosa. Ecco perché sarebbe un vero peccato sprecare l’opportunità di servirsi della banca dati costituita ai fini della VQR come di una leva per sperimentare (rigorosamente al di fuori delle procedure di valutazione) la risposta di quei settori scientifico-disciplinari alle sollecitazioni dell’analisi citazionale. La banca dati delle pubblicazioni conferite alla VQR, nonostante sia rappresentativa solo di una frazione della produzione scientifica nazionale, può rivelarsi uno strumento di eccezionale portata. Nello specifico, potrebbe essere utilizzata per testare l’applicazione dell’analisi citazionale a discipline che finora non se ne sono mai avvalse. Si potrebbero in tal modo accumulare informazioni utili per porre le basi di un futuro database specialistico del settore SSH. I benefici che ne trarrebbero la comunità scientifica sarebbero considerevoli; l’utilizzo del database da parte della stessa ANVUR, per i successivi esercizi di valutazione, potrebbe essere uno di questi, anche se non necessariamente il più rilevante.
Fonte: F. Chiocchetti, http://www.roars.it/online/?p=4190 13-02-2012)

 
USA. I TAGLI RISPARMIANO LA RICERCA PDF Stampa E-mail

Nel nuovo budget federale 2012-2013 ci sono tagli per quasi tutti i settori, ma gli investimenti in ricerca e sviluppo a scopi civili fanno eccezione. Più 5% netto, 65 miliardi di dollari. Uno degli strumenti prediletti da Obama è la National Science Foundation (Nsf), il cui fondo di dotazione sale anch'esso de15% a 7,4 miliardi: più del 40% viene erogato a gran velocità e finisce direttamente a disposizione dei ricercatori nelle università, compresigli scienziati early career (a inizio carriera) e i neolaureati che intraprendono progetti di ricerca. Tra i progetti sperimentali che ricevono finanziamenti aggiuntivi, spiccano quelli che hanno a che vedere con la difesa dell'ambiente: una proliferazione senza precedenti di nuovi osservatori oceanografici, e una rete di "stazioni di monitoraggio" dell'inquinamento. Poi ci sono fondi speciali per migliorare la qualità dell'insegnamento nelle discipline scientifiche (49 milioni), e addestrare una nuova generazione di scienziati (mezzo miliardo).
La National Science Foundation è un fiore all'occhiello tra le istituzioni federali che sostengono la ricerca, e Obama ha voluto rafforzarne il ruolo, ma è ben lungi dall'essere l'unica. In realtà nel budget federale appena presentato dalla Casa Bianca i "regali" alla ricerca affluiscono da molti altri canali, anche meglio dotati. Nel campo biomedico, per esempio, la parte del leone la -no i National Institutes of Health: per loro la dotazione complessiva rimane ferma a 30,7 miliardi annui, però salgono quei capitoli di spesa che sono esclusivamente destinati a finanziare la ricerca: +11%. Lo stesso vale per un altro grosso serbatoio di finanziamenti che è il ministero dell’'Energia.
(Fonte: La Repubblica 15-02-2012)

 
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