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20 Febbraio
PERCENTUALE DEI LAUREATI SULLA POPOLAZIONE PDF Stampa E-mail

A oltre un decennio dall’avvio del nuovo ordinamento degli studi universitari, possiamo individuare alcune tendenze del suo impatto sul mercato del lavoro. Ci aiuta il Rapporto della Fondazione Agnelli, “I nuovi laureati. La riforma del 3+2 alla prova del mercato del lavoro” (2012, Roma-Bari, Laterza), presentato a Roma nel gennaio scorso.
I dati OCSE (“Education at a Glance”, 2011), relativi alla quota di laureati nella popolazione italiana in età lavorativa, mettono bene in evidenza che l’Italia, rispetto ad altri Paesi con i quali solitamente avviene il confronto, sta appena recuperando sulla quota dei giovani che raggiungono un titolo d’istruzione terziaria (Tabella).

Se l’obiettivo è di portare al 40%, almeno la percentuale dei laureati sulla popolazione tra i 30-34 anni entro il 2020, s’ipotizzano due soluzioni, diverse per livello di laurea.
Per i percorsi triennali, viene proposta un’ampia autonomia degli atenei nella scelta dei corsi di laurea e dei criteri di ammissione, nel rispetto dei requisiti minimi previsti dal Miur; i finanziamenti per quote pro capite, dovrebbero essere differenziati per aree disciplinari.
Per i percorsi specialistici s’ipotizza che, solo gli atenei accreditati, sulla base della qualità della ricerca, possano attivare, ricevendo il finanziamento dello Stato, corsi di laurea di secondo livello nelle diverse aree disciplinari, e si prevede il numero chiuso per l’ammissione degli studenti; su questo punto, si evoca come cruciale il potenziamento dei fondi per il diritto allo studio.
(Fonte: V. Gallina, educatioduepunto zero 15-02-2012)

 
LA RIFORMA DEI PERCORSI FORMATIVI: È TEMPO DI BILANCI PDF Stampa E-mail
L'Italia è stata uno dei primissimi Paesi ad adattare il proprio sistema universitario secondo le direttive delineate nel processo di Bologna. La riforma dei percorsi universitari, apportata con decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca n. 509 del 1999, a tale scopo ha individuato, oltre alla classica laurea a ciclo unico (quadriennale o quinquennale), due cicli formativi: la Laurea Triennale e la Laurea Specialistica o Magistrale, che prevede altri due anni di specializzazione. La nuova articolazione degli studi universitari ha avuto conseguenze dirette sulla formazione dei giovani professionisti, come regolamentato dal D.P.R. del 5 giugno 2001, n. 328, recante “Modifiche e integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché disciplina dei relativi ordinamenti”. Il DPR 328 ha, infatti, modificato i requisiti di ammissione all’esame di Stato per le professioni tecniche, cui oggi si accede anche con la laurea di primo livello (triennale), avendo introdotto, a questo proposito, i titoli di geometra, perito e agrotecnico laureato. Inoltre, a seguito dell’introduzione delle lauree di primo livello, gli albi delle professioni per il cui accesso era richiesta la laurea sono stati ripartiti in due sezioni: la sezione A, per i laureati di secondo livello, e la sezione B, per i laureati triennali che hanno acquisito il titolo di professionisti “junior”.
(Fonte: A. Mura, http://www.edilbox.it/ 14-02-2012). Testo integrale: parte prima, parte seconda.
 
UN FOCUS SUL RAPPORTO TRA MERCATO DEL LAVORO E RIFORMA DEL "3+2" PDF Stampa E-mail
Il trend di crescita delle immatricolazioni – dovuto anche all'effetto novità, alle "trasmigrazioni" di studenti del vecchio ordinamento o a convenzioni con categorie professionali – ha subìto un’involuzione. Dall'anno accademico 2008-2009 gli iscritti per la prima volta al sistema universitario sono scesi sotto i 300mila, numero basso e poco confortante se paragonato ai 330mila dei primi anni Duemila o al picco dei 370mila degli anni Novanta. Al netto delle tendenze demografiche, il rapporto tra 19enni e immatricolati era 45% nel 2000, è salito a 56% nel 2003 per scendere a 47% nel 2009.  Perché? «Il fenomeno è complesso – spiega l'economista Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli –. C'è meno appeal nel sistema universitario anche perché ormai il valore delle retribuzioni con i semplici diplomati si è molto assottigliato. In molte famiglie si pensa: perché faticare (e spendere) di più se poi arrivo a guadagnare quasi lo stesso di chi cerca lavoro subito dopo l'esame di maturità?». In buona sostanza: per i laureati con il "3+2" c'è stata maggiore occupazione, ma più "precaria" rispetto ai vecchi laureati e con un minor vantaggio salariale. «Eppure prendere la laurea conviene ancora – incalza Gavosto –: l'investimento si valuta sull'arco dell'intera vita professionale. Il vantaggio dei laureati crescerà. E il ritardo italiano in capitale umano è ancora così grande che non c'è rischio di overdeucation». Va aggiunto, però, che le imprese hanno "difficoltà" a distinguere tra i diversi tipi di laurea: «Triennale o specialistica poco importa ai fini dell'assunzione per molte aziende – precisa Gavosto –; contano di più, per intenderci, la conoscenza dell'inglese e la capacità di lavorare in team». Oggi la media europea della percentuale dei laureati nella fascia 25-34 anni è del 32%, l'Italia è ferma al 19%, anche se l'obiettivo è di raggiungere il 40% entro il 2020. Vero è che con il vecchio ordinamento, oltre che meno laureati, si avevano alti tassi di abbandono. Si otteneva il "pezzo di carta" a 28,4 anni di media; ora si è scesi a 26 (per il primo livello) e a 27,1 (per il secondo). Nel 2000 i laureati sono stati 161mila; nel 2010 erano 208mila, corrispondenti a 289mila lauree (incluse quelle magistrali).
(Fonte: Il Sole24Ore 24-01-2012)
 
LA REVISIONE DELLA DIRETTIVA EUROPEA SUL RICONOSCIMENTO DELLE QUALIFICHE PROFESSIONALI PDF Stampa E-mail
La Commissione europea ha adottato una proposta per modernizzare e revisionare la direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali (2005/36/CE). Tale direttiva, che si rivolge ai ventisette paesi dell'Unione europea più Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein, ha avuto l'onere di spiegare cosa s'intende per titolo professionale riconoscibile e di descrivere la procedura di riconoscimento.La proposta nasce dall'esigenza di rendere più semplici le regole per la mobilità dei professionisti all'interno dell'Ue, in conseguenza della diminuzione della popolazione in età lavorativa e della possibile futura carenza di personale qualificato adatto a coprire i nuovi posti di lavoro che si verranno a formare nei prossimi anni. Una delle risposte a questa carenza potrebbe essere la possibilità che una buona parte di professionisti di un paese si trasferiscano in quelli che ne hanno più bisogno. Occorre quindi rendere più semplice e immediato il momento del riconoscimento professionale. La Direttiva europea offre tutte le informazioni necessarie per consentire agli operatori di avviare una nuova attività o trovare un posto di lavoro in un altro Stato membro che richiede una qualifica specifica per esercitare una determinata attività professionale. Le proposte di modifica dovrebbero interessare non solo la mobilità definitiva, ma anche quella temporanea. Gli elementi chiave della proposta sono: l'introduzione di una tessera professionale europea e un certificato elettronico in grado di descrivere le qualifiche di cui si è in possesso; una maggiore trasparenza e garanzia delle informazioni relative al riconoscimento delle qualifiche professionali, mediante la creazione di sportelli unici e procedure online; l'aggiornamento e l'armonizzazione dei requisiti minimi di formazione per medici, dentisti, farmacisti, infermieri, ostetriche, veterinari e architetti. Altre informazioni possono essere consultate nel memorandum scritto dalla Commissione Ue il 19 dicembre 2011 (MEMO/11/923).
(Fonte: D. Gentilozzi, www.rivistauniversitas.it gennaio 2012)
 
VALUTAZIONE DEI CORSI DI LAUREA. BREVE INTERVISTA AL PRESIDENTE DELL’ANVUR PDF Stampa E-mail

Professor Stefano Fantoni, lei è il presidente dell'Anvur, l'agenzia per la valutazione delle università. Come si fa a dare un voto a un corso di laurea?
Esistono numerosi parametri, dalla qualifica del professore, delle ricerche pubblicate, dall'esistenza di strutture idonee al corso, biblioteche... Ci chiediamo se quel corso di laurea è sostenibile e quanto produce", anche in termine di soddisfazione degli studenti.
Chi sono i valutatori?
Un pull di 450 professori, sia italiani che non, top scientist.
Quanto guadagnano?
Nulla, o hanno poco più di un rimborso spese.
Professore, se non dovesse mai passare l'abolizione del valore legale del titolo di studio, a cosa servirà il vostro lavoro?
La valutazione è fondamentale nella riforma dell'università. Abbiamo 5 anni per ultimare il lavoro ed entro fine anno saranno esaminati 200 mila progetti di ricerca.
(Fonte: Metro 31-01-2012)

 
IL PROBLEMA DELLA DURATA DEGLI STUDI PDF Stampa E-mail
Come dimostrano i dati forniti da AlmaLaurea per i tre livelli del Bologna Process, in Italia 3 + 2 non fa 5 ma circa 6,5, cioè la somma della laurea triennale e quella della laurea magistrale in media fa quasi due anni in più. E se si considera il terzo livello, 3 + 2 + 3 non fa 8 ma più di 10, anche al netto degli iscritti in ritardo all'immatricolazione. È pur vero che gli stessi dati di Alma Laurea mostrano una situazione molto migliore dopo l'adozione del Bologna Process (checché ne dicano i perpetui detrattori...) dai tempi in cui lauree di 4 anni diventavano di 7, ma rimane pur sempre il fatto che i nostri laureati sono mediamente troppo vecchi, e comunque mediamente più vecchi dei laureati di altri Paesi europei. Da dove viene questo ritardo? Certamente c'è un aspetto di autonomia delle scelte degli studenti ma qualche "causa tecnica" c'è e andrebbe considerata. Le tre sessioni d'esame, per esempio. Ha senso, per capirci, che uno studente abbia sessioni di esami, incluso quello di laurea, nell'anno solare successivo a quello nominale o di conclusione degli studi pur rimanendo in corso? Un laureato triennale che si laurea "in corso" ma nel quarto anno, a primavera, s’iscriverà un anno dopo rispetto al percorso nominale. Se ripeterà la stessa cosa con la laurea magistrale, laureandosi "in corso" in tre anni solari e non in due, avrà generato altro ritardo, senza per questo essere né asino né altro – magari anche bravissimo. Se poi dovrà attendere altri mesi per il concorso di dottorato e magari discutere la tesi dottorale nel quarto anno ecco che il nostro dottore di ricerca tipo, magari bravo anzi bravissimo, finisce gli studi a...trent'anni. Più difficile a quel punto entrare nel mercato del lavoro. Il sistema delle tre sessioni di esame e di laurea genera "ritardi tecnici" perché – se pur è vero che molti riescono a stare al passo - sia i docenti sia gli studenti tendono a organizzare contenuti formativi ed esami di profitto su una base allargata generando frammentazione, aumento del numero di esami veri (non quelli nominali), esami trial-and-error, e dilatazione dei tempi di tesi. Forse è ora di guardare anche a questi aspetti del nostro sistema universitario.
(Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 13-02-2012)
 
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