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10 Gennaio
RICERCA. LA CONCENTRAZIONE DELLE ECCELLENZE PDF Stampa E-mail
La futura procedura per l’assegnazione dei fondi per la ricerca di base presenta non pochi limiti: per poter essere ammessi al finanziamento bisogna che i progetti prevedano la collaborazione di almeno cinque "unità di ricerca", ovvero di cinque distinti gruppi di ricercatori che appartengono a diversi dipartimenti. In questo modo non si fa altro che scoraggiare le iniziative dei piccoli gruppi di ricerca. Il Ministro dell’istruzione Francesco Profumo afferma che tale prassi ha lo scopo di spingere i singoli atenei alla collaborazione in vista di progetti di più ampio respiro così da elevare da un lato la qualità media della ricerca italiana e dall’altro scoraggiare le singole eccellenze. Il problema centrale riguarda proprio quest’ultimo punto: la maggior parte della ricerca italiana attuale si basa proprio sulle eccellenze, ovvero su piccoli gruppi di ricerca che tuttavia, allo stato attuale, non solo restano inadeguatamente sostenute ma, soprattutto, sono geograficamente dislocate tra loro, cosa quest’ultima che non consente di generare una massa critica adeguata.
Basta un piccolo calcolo per comprendere l’entità del problema: nel 2005, in Italia su 51 progetti finanziati in ambito economico sono risultate vincitrici 54 università: in poche parole quasi tutte le Università. La dislocazione delle sedi universitarie porta non poche conseguenze: è sufficiente pensare che un ricercatore di talento, se venisse circondato da colleghi adeguatamente selezionati, lavorerebbe di gran lunga meglio e i risultati sarebbero sicuramente migliori. Dunque la concentrazione delle eccellenze è uno dei primi passi da compiere per raggiungere un livello elevato nella ricerca.
(Fonte: G. Iervolino, www.controcampus.it 14-12-2011)
 
RICERCA. UN SISTEMA APERTO E INCLUSIVO DI VALUTAZIONE PDF Stampa E-mail
Sono ormai decenni che il mondo accademico – nonché quello professionale e politico – accetta che il miglior modo di valutare la ricerca sia quello basato su Peer Review (PR) o valutazione paritaria. In questo sistema ci si affida al giudizio di 2, 3 o 4 esperti. Molte delle critiche al PR sono dovute al fatto che: (a) il sistema si basa su un numero molto limitato di referees (due o tre); e che (b) la forza trainante del sistema è la necessità di sfrondare ovvero di aiutare i redattori delle riviste a eliminare contributi in modo da dar loro sul piatto quei cinque o sei contributi da pubblicare in ogni numero. In altre parole la funzione del sistema è soprattutto di eliminare più che di contribuire allo sviluppo della ricerca. Ma le tecnologie digitali ora rendono superfluo il punto (b): lo spazio per pubblicazioni non è più un problema. Molti lavori sono ora messi in rete prima di essere pubblicati e la digitalizzazione ha eliminato il problema di limitazione dello spazio cartaceo di cui soffrono le riviste. Non solo, ma le tecnologie digitali ora rendono possibile il coinvolgimento di un gran numero di esperti nella valutazione della ricerca. È nel gran numero è più probabile trovare qualche esperto che si accorge che ci sono gravi errori o plagiarismo o dati fasulli nel lavoro. Inoltre tra i molti esperti che hanno accesso a un lavoro messo in rete è più probabile che si trovi qualcuno che riesce a capire che il lavoro contiene approcci completamente nuovi e forse di importanza fondamentale per il futuro. Ciò è molto meno probabile quando sono solo due o tre esperti – oberati di lavoro e di richieste di revisione – a dover giudicare. In conclusione, le tecnologie digitali rendono possibile ed efficiente un sistema aperto e inclusivo di valutazione della ricerca. Tale sistema ha grandi vantaggi rispetto alla tradizionale valutazione paritaria anonima. Molte riviste accademiche si stanno muovendo in questa direzione. In conclusione le tecnologie digitali rendono possibile ed efficiente un sistema aperto e inclusivo di valutazione della ricerca. Tale sistema ha grandi vantaggi rispetto alla tradizionale valutazione paritaria anonima. Molte riviste accademiche si stanno muovendo in questa direzione. (Fonte: www.roars.it 20-12-2011). Un commento: Mi pare che manchi un presupposto fondamentale. E’ vero che le tecnologie digitali potrebbero permettere la diffusione massima della ricerca (e quindi quel meccanismo allargato  di revisione dei pari che ben si individua nell’articolo), ma, paradossalmente, sono anche ciò che ne impedisce la diffusione. Un meccanismo di revisione aperta come quello descritto è possibile in un sistema della ricerca aperto, non chiuso in piattaforme accessibili solo a pagamento e quindi ai pochi che ancora possano permetterselo.
(Fonte: G. Ietto Gillies.  http://www.roars.it/online/?p=2717 20-12-2011)
 
RICERCA. L’INVESTIMENTO PAGA PDF Stampa E-mail
Investire in ricerca paga e il nostro Paese ha una materia prima rara altrove: il cervello. Non sembra però che «brilli» quello dei nostri politici quando si parla di ricerca scientifica. E non da oggi. La recente indagine dell’Istat ha ancora una volta sottolineato un aspetto preoccupante: l’impoverimento delle regioni del Sud, che vedono i loro laureati più brillanti migrare al Nord. O all’estero. Una strategia a dir poco fallimentare. L’Italia, infatti, impegna risorse pubbliche per la formazione scolastica e universitaria dei giovani per poi cedere generosamente i migliori ad altri Paesi, dove produrranno ricchezza attraverso le loro scoperte. Uno studente che completa il suo percorso di studio con il dottorato costa allo Stato italiano circa 500 mila euro, mentre non costa nemmeno un euro ai Paesi che, con politiche di sviluppo intelligenti e lungimiranti, fanno di tutto per valorizzarlo. Il problema è politico: continuiamo a essere il fanalino di coda nel mondo industrializzato con un misero 0,9% del prodotto interno lordo destinato a progetti di ricerca. E non si può continuare a dire che, però, gli italiani pubblicano molto nonostante i pochi fondi. Magra consolazione. La speranza è che il governo dei professori dimostri di avere nella cosiddetta fase due una strategia concreta per la ricerca italiana.
(Fonte: M. Pappagallo, Corsera 30-12-2011)
 
RICERCA. SE COMMISSIONATA A UNIVERSITÀ ED ENTI PUBBLICI DI RICERCA BONUS FISCALE ALLE IMPRESE PDF Stampa E-mail
Le modalità operative del credito d'imposta per la ricerca trovano finalmente il dettaglio con la circolare dell’agenzia delle entrate n. 51 del 28 novembre 2011. Il documento di prassi era atteso da tempo, dal momento che la norma istitutiva del contributo, articolo 1 del Dl 70/2011, e il successivo provvedimento attuativo (del direttore dell'Agenzia n. 130237 del 9 settembre 2011) avevano lasciato in sospeso la regolamentazione di aspetti fondamentali per la fruizione del bonus. Con riferimento alla delimitazione precisa dei destinatari e della tipologia di investimenti agevolabili, trovano conferma le disposizioni che erano state adottate con la precedente edizione del bonus (di cui all'articolo 1, commi da 280 a 283, della legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Condizione fondamentale per la fruizione del credito d'imposta è che le attività di ricerca siano commissionate all'esterno a «Università ed enti pubblici di ricerca». In questa espressione la norma ha voluto comprendere: università, statali e non statali, e istituti universitari, statali e non statali, legalmente riconosciuti; enti pubblici di ricerca di cui all'articolo 6 del contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione per il quadriennio 2006-2009; l’agenzia spaziale italiana (Asi); gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; gli "organismi di ricerca", come definiti nella comunicazione della Commissione n. 2006/C/323/01. Tutti gli enti appena elencati possono sviluppare i progetti anche in associazione, in consorzio, in joint venture con altre «qualificate strutture di ricerca, anche private, di equivalente livello scientifico».
(Fonte: A. Sacrestano, IlSole24Ore 09-‘1-2012)
 
RICERCA. LA VALUTAZIONE IN CAMPO GIURIDICO PDF Stampa E-mail
La nota riporta alcune riflessioni sulla (in)applicabilità alla ricerca in campo giuridico dei principali criteri di valutazione adottati nel mondo delle “scienze dure”, muovendo dagli indici più spesso utilizzati per giudicare la bontà di un contributo: numero delle citazioni, sede di pubblicazione, rilevanza interna o internazionale. Con il dichiarato intento di porre in luce alcune innegabili specificità, che andrebbero considerate con attenzione prima di sospettare gli studiosi del diritto di resistenza al cambiamento.
1. Le citazioni in campo giuridico: modi, significati e regole non scritte. La citazione, in campo giuridico, serve anzitutto a dimostrare la quantità delle letture fatte, più che la qualità degli autori citati.
2. Impact factor? L’impatto delle ricerche in campo giuridico spesso si spinge fuori dai confini del mondo accademico, o almeno ciò è quello che gli studiosi auspicano. Accade non di rado che le opinioni della dottrina siano alla base di rilevanti svolte nel mondo del diritto. Questo impact factor non è in alcun modo misurabile, a meno di non chiedere alla magistratura, all’avvocatura e al parlamento di dar conto di quando seguono o non seguono le ricostruzioni dei giuristi.
3. Gerarchia fra le riviste. La pubblicazione di un lavoro in una data rivista piuttosto che in un’altra non conta granché, al momento, nel mondo del diritto: moltissime, in ambito giuridico, sono le riviste considerate di qualità, ed è molto difficile individuare fra loro precise gerarchie. Se in futuro le riviste verranno classificate (e si sta tentando di farlo), si innescheranno probabilmente dei circoli virtuosi.
4. Confini nazionali. Altro profilo che differenzia la maggior parte dei giuristi dagli studiosi di altri settori è la rilevanza prevalentemente nazionale dei loro scritti. Questo vale soprattutto per le discipline di diritto positivo interno (che sono la più parte). Contributi fondamentali, che hanno avuto un impatto decisivo nel nostro ordinamento, non vengono pubblicati all’estero: nessuno sarebbe interessato a questioni che, altrove, sono regolate in modo differente; nessuno, spesso, sarebbe nemmeno in grado di capirle. I contributi che vengono richiesti da riviste straniere sono spesso di natura meramente “informativa”: si incarica lo studioso italiano di spiegare ai lettori stranieri come funziona, sul nostro territorio, un certo istituto.
5. Possibili indici di qualità di uno scritto in campo giuridico. Il problema di stabilire obiettivi indicatori di qualità di una pubblicazione giuridica e di tradurre in cifre il suo valore si sta già ponendo in modo impellente. Il primo e più importante fra questi indici è senza dubbio la tipologia del contributo. Non conta tanto – almeno per il momento – la sede in cui un lavoro è stato pubblicato (quale rivista, quale editore, quale nazione), ma il tipo di pubblicazione prodotta. In futuro, a fronte di graduatorie approvate dalla comunità di riferimento, potrebbe pesare la rivista (o l’editore) di destinazione, così come la presenza di revisori anonimi. (Fonte: S. Carnevale, http://www.roars.it/online/?p=2881 29-12-2011)
Un commento. Ringrazio l’autrice per aver stimolato il necessario confronto sulle molte specificità della ricerca e della relativa valutazione in campo giuridico. Condivido le perplessità sull’utilizzo del criterio delle citazioni, dato il modo in cui normalmente e per lunga tradizione tali citazioni sono fatte negli studi giuridici. L’ipotesi di cambiare il modo di fare le citazioni, ad esempio selezionando i contributi ritenuti da ciascun autore rilevanti nell’ottica ed ai fini della propria ricerca ed abbandonando le citazioni tese a dare il quadro completo degli studi su un dato argomento non è di per sé da scartare, anzi. Però mi pare che dovrebbe essere una decisione dello studioso mossa da ragioni autonome (ad es. stilistiche, di gusto personale, etc.) da quelle che saranno le scelte del legislatore sulla valutazione. Il problema più generale che forse andrebbe posto è: riuscirà la scienza a conservare propri criteri di valutazione indipendenti dalle scelte legislative? E’ giusto discutere di tali scelte e se possibile influenzarle, ma forse una comunità scientifica dovrebbe in quanto tale comunque avere propri criteri di valutazione sulla bontà o meno di un “prodotto scientifico”, anche se non rilevanti per distribuire fondi o passare concorsi. Forse si dovrebbe ripartire da lì, dal chiedersi se tali criteri esistono e quali sono.
(Fonte: S. D'Antonio 02-01-2012)
 
RICERCA. LA VALUTAZIONE IN ECONOMIA PDF Stampa E-mail
Il dibattito interno all’area degli studi economici circa la valutazione è ben noto agli economisti, meno ai componenti le altre aree disciplinari. Si tratta di una discussione di grande interesse per le ricadute della valutazione sul pluralismo della disciplina, il che si ripercuote a sua volta sulle politiche economiche del Paese. (Fonte: G. Tabellini, con la dissenting opinion di L. Pasinetti, Relazione finale del panel di area 13 – Economia -. panel_13. 24-12-2011)
Conclusions. The panel thinks that this first research evaluation exercise has been remarkably
successful in processing a large number of products in relatively short period. Further, despite the large amount of heterogeneity among the products and the diverging views held by some Panelists, the consensus has been achieved unanimously for 99% of the products of the Statistics/Econometrics consensus group, 97% of products of the Management/Finance consensus group, and 72% of the products of the Economics consensus group. Even when consensus was not unanimous, in most cases the dissenting view was that of only one panelist, most often Pasinetti, whose dissenting arguments are presented in Appendix 4 to this report.
(Fonte: F. Peracchi, presidente del Panel)
 
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