Ferdinando Cotugno (marieclaire.it 10.09.24) ha intervistato Alberto Baccini, professore ordinario di economia politica all'Università di Siena, una delle voci più documentate nel descrivere come stanno andando le cose nell'università italiana: “Gli ATENEI delle città metropolitane e quelli storici (Bologna, Padova) diventano sempre più grandi e attrattivi, rendendo allo stesso tempo più difficile la vita in città non attrezzate ad accogliere così tanti STUDENTI (vedi il caso delle proteste dei fuorisede con le tende), mentre la didattica al Sud e in provincia sta perdendo risorse e allievi. Il contesto è che l'Italia è un paese che spende troppo poco per le sue università. INVESTIMENTI. Secondo un rapporto dell'area studi di Mediobanca, investiamo solo l'1 per cento del PIL, contro l'1,3 per cento della media dell'Unione Europea, e l'1,5 per cento dei paesi OCSE, cioè i più sviluppati. In Europa le famiglie devono accollarsi il 14 per cento delle spese complessive degli studi, mentre in Italia più del doppio, il 33 per cento. Il PNRR, secondo gli analisti di La Voce, è stata una grande occasione persa per l'università. I fondi (960 milioni di euro) e i meccanismi messi in campo ridurranno i costi del 10 per cento per l'ALLOGGIO DEI FUORISEDE, ma nelle grandi città non basteranno nemmeno a coprire l'aumento del mercato degli affitti causato dall'inflazione. Oggi i docenti fanno carriera solo se ottengono PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE, non per quanto siano o meno bravi o efficaci a insegnare. L'università gli offre ogni incentivo possibile a occuparsi solo per lo stretto necessario di didattica, cioè di formare gli studenti, perché il loro destino è strettamente connesso solo alla prima missione, il successo delle loro ricerche. I PROFESSORI UNIVERSITARI A CONTRATTO sono tantissimi (32mila) e di fatto mandano avanti l'università in Italia, sono pagati poco e sono soggetti al rinnovo del contratto ogni anno. Nei prossimi quindici anni si prospetta un tracollo degli studenti iscritti: mancheranno all'appello 415mila matricole, il 21,2 per cento in meno, con flessioni che in regioni come il Molise, la Basilicata, la Puglia e la Sardegna saranno superiori al 30 per cento. Il risultato è mezzo miliardo di euro in meno di entrate. FUGA DEI LAUREATI, quasi uno su dieci subito dopo la fine degli studi si trasferisce all'estero, e lo fa per guadagnare il 41 per cento in più di chi resta, secondo uno studio del Sole 24 Ore su dati Istat, Almalaurea, Unesco e SVIMEZ”. F: F. Cotugno, marieclaire.it 10.09.24.
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