“In questo 2024 L’ANVUR compie diciotto anni. In tempi pre-anvuriani si sentiva dire che una valutazione imperfetta è meglio di nessuna valutazione. Ma qui siamo di fronte a ben altro che a una valutazione imperfetta: siamo in presenza di un vero fallimento. La concezione pervasiva del merito, la fumettistica illusione di poter afferrare questo concetto sfuggente, di distillarlo in una storta per ricavarne, costi quel che costi, un precipitato di numeri e di coefficienti, ha messo il sabato al posto dell’uomo, ha creato una dinamica per cui si trovano tanti soldi per valutare la ricerca e zero soldi per farla. Il merito si può sì valutare, ma dentro un contesto, comparativamente. Valutarlo in astratto, in sé, è come voler contabilizzare la fede, l’amore, la felicità: un’idea fanatica, sovietica, da chiesa medievale. E c’è un aspetto anche più grave, ed è che l’instaurazione di questo nesso ferreo e a vita tra valutazione e carriera spinge il giovane ricercatore verso una produzione conformistica e mainstream, destinata non a far progredire la scienza ma a incontrare i gusti del futuro valutatore, immaginato a torto o a ragione misoneista, distratto, impressionato dalla quantità e desideroso di vedere il proprio nome in bibliografia. La vecchia distribuzione delle risorse, a monte della meritocrazia e dell’eccellenza, aveva un suo côté assistenziale ma era equa. Abbiamo sacrificato la ricerca equa per una ricerca migliore, e il risultato, dopo diciotto candeline, è una ricerca sia iniqua che peggiore, senza il pane per tutti e con brioches per alcuni e nulla per altri”. F: W. Lapini, Corriere della Sera 04.7.24; Roars 18.07.24.
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