L’Italia è il Paese Ocse con meno INFERMIERI in assoluto: sono 6,4 ogni mille abitanti contro una media europea di 9,5. E siamo in fondo alle classifiche delle nazioni sviluppate su un piano industriale anche per i LAUREATI IN INFERMIERISTICA: solo 17 ogni centomila abitanti quando la media è di 48, il triplo. Per la prima volta, in alcuni atenei lo scorso anno non è stato raggiunto il numero dei posti messi a bando. La riduzione media è stata del 10 per cento rispetto al 2022-’23: -12,6 per cento al Nord, -15 per cento al Centro e -5,7 per cento al Sud. Per invertire la crisi e dare una prospettiva al sistema, la Federazione oggi avanza alcune proposte: aumento della base contrattuale, riconoscimento delle competenze specialistiche, EVOLUZIONE DEL PERCORSO FORMATIVO UNIVERSITARIO. Per realizzarle, sarà necessario mettere mano alla Legge 43/2006 che regolamenta le professioni sanitarie e già prevede una vera e propria laurea magistrale clinica. Bene, una revisione della fase formativa – studiata insieme ai ministeri della Salute e dell’Università e al sistema universitario nel suo complesso – ha individuato TRE AREE DI SVILUPPO SPECIALISTICO: CURE PRIMARIE, CURE PEDIATRICHE E NEONATALI, CURE INTENSIVE ED EMERGENZA. Serve poi far crescere i DOCENTI DEDICATI (settore Med 45). Oggi i PROFESSORI-INFERMIERI in Italia sono 68, ma gli atenei in cui sono presenti i corsi sono 47 e le sedi dove si svolgono 236: mancano, quindi, all’appello 168 docenti. L’Ocse, peraltro, ha contato che in Europa siano presenti oltre 50.000 infermieri che si sono laureati in Italia. Considerando che la formazione di un infermiere impegna 13.500 euro sul triennio, il costo sostenuto dallo Stato italiano, senza un ritorno effettivo in professionalità, è pari a 900 milioni. F: C. Z., La Repubblica 04.07.24.
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