Home 2010 24 Novembre All’università non vanno in maggioranza i benestanti
All’università non vanno in maggioranza i benestanti PDF Stampa E-mail

Sul Sole 24 Ore del 12 novembre Roberto Perotti striglia da par suo gli studenti inglesi che protestano contro l'aumento delle tasse universitarie. Il nocciolo della sua argomentazione, che ripete convinzioni più volte espresse, è che, tanto in Gran Bretagna quanto in Italia, l'istruzione superiore deve essere pagata da chi ne usufruisce: e visto che gli studenti sono in prevalenza "figli di papà", e quindi possono permettersi tasse più alte, è ingiusto che siano tutti i cittadini, compresi i meno abbienti, a pagare le spese dell'istruzione universitaria. Un ragionamento, quello di Perotti, che è condivisibile solo a una condizione.

Che vi sia una netta sperequazione nella rappresentanza sociale degli studenti universitari. Se gli atenei fossero pieni di figli di benestanti, allora i "tanti ricchi" dovrebbero giustamente mettere mano al portafoglio per pagare le spese ai relativamente "pochi poveri". In realtà, contrariamente a una diffusissima idea ricevuta, l'origine sociale degli studenti italiani non è così concentrata tra le famiglie ad alto reddito. L'ultima inchiesta condotta da Almalaurea nel 2009 su un campione di più di 170mila studenti mostra che i figli della borghesia in senso proprio (liberi professionisti, dirigenti e imprenditori con almeno 15 dipendenti) sono il 21,7%; i figli dei lavoratori salariati subordinati (impiegati esecutivi, operai) il 23,5 per cento. L'immagine di un'università a forma di piramide sociale rovesciata non sembra più applicabile al caso italiano. (P. Ignazi, Il Sole 24 Ore 17-11-2010)