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FONDI DESTINATI ALLA RICERCA UNIVERSITARIA NEL PNRR PDF Stampa E-mail

Nel PNRR approvato dal Parlamento, parte consistente di fondi (più di € 10 miliardi) sono destinati all'università e al trasferimento tecnologico. Vale a dire il ponte tra ricerca, produzione industriale e di servizi.
Quei fondi sono particolarmente preziosi. Una ragione è il legame tra «ricerca di base» accademica e «ricerca applicata» industriale. Come la storia economica ci ha insegnato a partire dalla seconda rivoluzione industriale, le due sono inscindibili. A maggior ragione in un momento storico dove le sfide che stiamo vivendo ci fanno entrare nel mondo dell'ignoto e richiedono nuova conoscenza accademica, basti pensare a come stiamo combattendo il Covid 19: a colpi di articoli su riviste scientifiche e vaccini velocemente introdotti nel mercato.
Ma iniettare fondi nel sistema universitario, spesso ha anche un secondo ruolo fondamentale. Aiuta il Paese ad allinearsi alle logiche accademiche del mondo che conta e che sa utilizzare la capacità di formare. Capacità che significa anche sapere cosa c'è di nuovo da insegnare, che è uno dei compiti della ricerca. Oltre ad aiutare lo sviluppo della conoscenza complessiva del sistema Paese con la speranza che i Giorgio Parisi, Nobel per la Fisica del 2021, non si contino più sulle dita di una o due mani.
I meccanismi di assegnazione delle risorse sono stati disegnati seguendo le logiche di bando internazionali e soprattutto europee. Così facendo, l'esercizio del PNRR permetterà alle università meno abituate al confronto internazionale a «imparare» a richiedere fondi e interagire con gli organismi nel mondo anche dopo la pandemia. Il processo, tuttavia, non è esente da rischi. L'erogazione richiederà la costituzione di nuove entità giuridiche (consorzi e fondazioni, tra tutti) che in futuro potrebbero essere a loro volta ostaggio di logiche politiche. (F: D. Manca e G. Verona, CorSera 25.01.22)