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SERVONO PIÙ DOCENTI PER MIGLIORARE LE PERFORMANCE DEGLI ATENEI PDF Stampa E-mail

Il nostro Paese ha (2018) un investimento pubblico nell'università di poco più di 7 miliardi (più o meno lo stesso, in valori nominali, del 2010), contro i 25 della Francia (+10%, 2010-18) e i 31 della Germania (+38%; dati European University Association). Ci vorrebbe una «union sacrée» su un'agenda semplice: molta più università, per molti più ragazzi e ragazze (e adulti) italiani. In tutto il Paese. Contrariamente a quanto si sente ancora ripetere, il numero di università in Italia è minore che in tutti gli altri Paesi europei (anche tenendo conto della differenza dei sistemi nazionali; si veda Whed). E' ben articolato territorialmente. Ed è benissimo che sia così: perché le università svolgono un ruolo fondamentale per lo sviluppo regionale: sia perché consentono una frequenza molto maggiore, anche a quanti non sono in grado di migrare; sia perché interagiscono profondamente con il sistema culturale in senso lato (con la cosiddetta terza missione), sia con il sistema economico (con le fondamentali attività di ricerca collaborativa e di trasferimento, specie se tarate su realtà e bisogni locali) dei territori. Cosa ancora più importante nelle regioni più deboli: nelle cui università dovrebbe essere favorita l'assegnazione e la circolazione di docenti; e non penalizzata, come avviene in Italia grazie ad indicatori per cui il «merito» corrisponde alla ricchezza dei territori. A riguardo, occorrerà massima chiarezza sui «campioni territoriali di ricerca» ipotizzati dal PNRR. Nella complessità delle norme tecniche, in fin dei conti quella universitaria è questione politica. In cui si contrappongono due visioni. Una «oligarchica»: poche sedi eccellenti con pochi, ben noti e autodefinitisi docenti eccellenti e per pochi studenti eccellenti. Una «democratica»; come suggerisce la senatrice Cattaneo: «strategie e programmi per rinforzare le capacità diffuse di ricerca in ogni ambito del sapere», favorendo «l'innovazione e lo sviluppo dei territori». E' questa la scelta da compiere. (F: G. Viesti, CorSera Università 22-03.21)