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DAL 2008 IL NUMERO DI POSIZIONI, LA VELOCITÀ DI CARRIERA E L’ENTITÀ DELLE RETRIBUZIONI PER RICERCATORI E PROFESSORI UNIVERSITARI SI SONO DRASTICAMENTE RIDOTTI PDF Stampa E-mail

I tre meccanismi attraverso cui il sistema universitario italiano ha perso attrattività soprattutto agli occhi dei più giovani e dei più qualificati che sempre più numerosi decidono di lasciare il nostro paese alla ricerca di migliori opportunità si possono riassumere con le 3L delle parole inglesi: «Less (staff), Later (careers), Lower (salaries)» . Secondo la nostra analisi il personale under 40 si è praticamente dimezzato nel decennio 2009-2019 e ha visto ritardato il proprio ingresso in ruolo a tempo indeterminato a seguito della nascita della figura del ricercatore a tempo determinato (di tipo A e B). La perdita economica per questi soggetti è impressionante: per chi aveva tra i 30 e i 40 anni nel 2008 può essere paragonata, in un decennio, al valore medio del mutuo per l'acquisto di una casa (tra i 100 e i 150 mila euro). La perdita monetaria ha penalizzato soprattutto le donne che nel 2010 rappresentavano il 19% dei professori ordinari, il 34% degli associati e ben il 45% dei ricercatori a tempo indeterminato ed erano quindi concentrate tra le fasce d'età più giovani. La teoria economica ci insegna che i soggetti con una maggior qualità non osservata sono i primi a lasciare il mercato qualora il sistema di incentivi non sia ben posto. Ne consegue che il sistema universitario nel suo insieme corre il rischio di subire una perdita della qualità generale del personale e, in prospettiva, una diminuzione della capacità del sistema di svolgere efficacemente i suoi compiti, primo fra tutti la formazione del capitale umano per il rilancio del paese, ancor più necessario dopo la pandemia Covid. (F: A. Civera et al., IlSole24Ore Università 11.08.20)