Autore: Daniel Markovits. Ed. Penguin Press. 2019. 448 pg. In un saggio a dir poco polemico, The meritocrazy trap (Penguin), Daniel Markovits sostiene che la meritocrazia è diventata oggi esattamente il contrario di ciò per cui era stata concepita, ovvero la promozione sociale degli outsider, l'accesso ai posti più ambiti alle persone dotate di talento e capacità, il grande perno della democrazia. La meritocrazia, invece, è diventata un meccanismo per la concentrazione e la trasmissione dinastica di ricchezza e privilegi attraverso le generazioni. L'ascesa sociale, sostiene Markovits, è diventata una fantasia, e la classe media sprofonda più facilmente nel lavori poveri piuttosto che emergere nelle élite. Marcovits è docente a Yale, una delle otto ivy League. Parla dall'interno di questo mondo, dunque, non da critico esterno. Stavolta la questione non è la dipendenza delle Università Usa dai miliardari che le finanziano per beneficienza. Stavolta il problema investe tutta l'America, sia dal punto di vista sociale che dell'andamento economico del Paese. I "sovrordinate workers", come li chiama Markovits, guadagnano cifre astronomiche rispetto alla media. Un associato al primo anno di uno studio legale riceve facilmente 200.000 dollari l'anno e cita studi legali che "generano profitti per i partner superiori ai 5 milioni l'anno, e più di 70 uffici legali che garantiscono un milioni a partner per anno". A fronte di questi lauti compensi, però, anche il tempo di lavoro cresce in modo esponenziale: spesso questi avvocati lavorano 60-80 anche 100 ore alla settimana. Elevato è anche il ritmo di studio di chi ha accesso alle Università di élite, spinto dalla competitività crescente. Il dato più preoccupante. sempre secondo Markovits, è che questo meccanismo genera un paradosso: limita la creatività, la capacità dí risolvere i problemi. Pensare a fare soldi ogni ora, ogni giorno per sette giorni, sostiene Markovits, "non rinfresca lo spirito". (F: P. Jadeluca, Affari&Finanza 03-10-19)
|