Home 2010 02 Agosto Costa troppo il pensionamento a 65 anni dei professori ordinari
Costa troppo il pensionamento a 65 anni dei professori ordinari PDF Stampa E-mail
Dopo tanto parlare, e dopo tanto dichiarare da parte del ministro dell’Istruzione, ma pure della Lega e del Pd,  anche stavolta non si parla minimamente di mandare i prof universitari in pensione a 65 anni. Costa troppo. A fare i primi calcoli è stato il Consiglio Universitario Nazionale, un organo istituzionale che ha il compito di dare pareri tecnici al ministero. Giovedì scorso si è riunito e ha approvato una mozione che è una condanna a morte di tutte le chiacchiere di questi mesi sullo svecchiamento nelle università. Circa 500 milioni di euro l’anno per cinque anni di spese in più a carico del Tesoro che ovviamente non darebbe mai via libera ad un’operazione del genere anche se se dovesse teoricamente condividerla. Alla cifra si arriva piuttosto in fretta se si considera che ci saranno circa 1500 uscite di prof l’anno cui si dovrebbe corrispondere l’indennità di liquidazione - spiega il Cun nella sua mozione - e questo vuol dire spendere circa 300 milioni di euro l’anno. I restanti 200 arrivano dal calcolo delle pensioni aggiuntive, tutte con importi alti, pari a circa l’80% degli attuali stipendi. «La proposta del pensionamento a 65 anni prevede una riduzione troppo drastica e repentina - avverte Andrea Lenzi, presidente del Cun - Nessun comparto può permettersi di perdere il 50% della classe dirigente senza colpo ferire». La mozione del Consiglio si conclude con un ulteriore consiglio che suona come il deprofundis definitivo: «il trend generale in tutti i settori produttivi, per motivi sia economici che demografici (allungamento della durata media della vita), è decisamente avverso all’anticipazione dell’età pensionabile». A sollevare lo stesso tipo di obiezione è Franco Donzelli, economista, docente dell’Università di Milano che ha scritto un’analisi che verrà pubblicata sul sito lavoce.info. Ricorda, infatti, che mandare in pensione i prof universitari a 65 anni «presuppone che qualcuno provveda al pagamento delle corrispondenti pensioni», e che il bilancio pubblico «dovrebbe farsi carico dei costi aggiuntivi indotti dai pre-pensionamenti per un ammontare sostanzialmente pari a quello degli stipendi, al netto dei contributi previdenziali». Anche Donzelli, dopo un rapido calcolo, arriva alla cifra di 550 milioni di euro l’anno e conclude che la proposta «lungi dal rappresentare una politica solidale di redistribuzione dei redditi fra generazioni a costo nulla per la collettività rappresenta in realtà una misura estremamente onerosa per la finanza pubblica» e quindi «non avrà seguito». Ringiovanimento bocciato, insomma. Lo sostiene anche Giuseppe Valditara, senatore del Pdl e relatore del disegno di legge sulla riforma dell’Università su cui stasera si dovrebbe votare in Senato. «Si tratta di una proposta eccessivamente penalizzante. Molti professori universitari a 65 anni sono al culmine della loro esperienza e competenza. Perché privarsene? E poi penalizzerebbe i ricercatori attuali che si troverebbero ad andare in pensione con 34-35 anni di anzianità. E non si riuscirebbe mai a coprire il vuoto di professori che si creerebbe. Alla fine siamo riusciti a trovare un equilibrio ponendo nel disegno di legge come limite di età i 70 anni». Ma il fronte dei favorevoli al ringiovanimento è nutrito, comprende il ministro Gelmini che più volte ha ribadito di essere d’accordo, e Lega e Pd che hanno presentato emendamenti in questo senso. Maria Chiara Carrozza, rettore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e relatrice della proposta del Pd: «E’ chiaro che l’immissione di giovani ha un costo. Il nostro obiettivo era di sensibilizzare il governo su un problema che esiste. D’altra parte il governo non ha nemmeno previsto incentivi per il pensionamento, preferisce pensare ai professori e non ai giovani che continuano ad andare all’estero impoverendo il nostro paese delle sue risorse future migliori. E ha imposto una cura uguale per tutti, università malate e non malate, finendo per bloccare le migliori, quelle che potrebbero andare avanti». Per nulla convinta dell’obiezione sui costi anche l’Apri, l’associazione di ricercatori italiani che ha dato il via per prima alla proposta insieme al Via-Academy, un’organizzazione di accademici italiani all’estero. «In molti Paesi si va tranquillamente in pensione a 65 anni. Lo stesso destino in Italia tocca ai ricercatori degli Enti di Ricerca come il Cnr senza che questi si sentano particolarmente penalizzati. Esistono forme contrattuali per trattenere in servizio i docenti ed i ricercatori ancora essenziali per portare avanti una linea didattica o per la gestione di fondi di ricerca da loro ottenuti». Quanto al Via-Academy due giorni fa ha inviato due giorni fa ancora una lettera ai parlamentari italiani per un ultimo appello alle loro coscienze prima del voto di stasera. (F. Amabile, La Stampa 28-07-2010)