Home 2010 20 Luglio Ipotetica carriera universitaria post-laurea di un bravo studente
Ipotetica carriera universitaria post-laurea di un bravo studente PDF Stampa E-mail

Facciamo riferimento a un immaginario bravo studente e seguiamolo passo passo nella sua carriera ipotetica, dalla laurea in poi. Questo studente si laurea con il massimo dei voti a ventiquattro anni (in regola) in un corso quinquennale. Il professore con cui si è laureato e che lo reputa molto promettente lo invita, ammiccando, a tentare il concorso di dottorato. Nel frattempo è novembre e per il concorso deve aspettare il settembre successivo, non può nemmeno provare a vincere una borsa di collaborazione con la biblioteca o cose così perché ormai si è laureato e, per l’università, non è più uno studente. Comunque, dopo un anno più o meno buttato (ma il nostro studente coscienzioso ha letto molti libri interessanti utili per il futuro della sua ricerca e ha fatto lavori poco impegnativi e part-time per guadagnare qualcosa) e a reddito zero, vince, a venticinque anni, un dottorato con borsa di studio. In poco più di tre anni – nei quali aiuta il suo professore con le lezioni, con gli esami e la preparazione di alcuni annosi progetti di ricerca con cui ottenere i (pochi) fondi concessi dal ministero – consegna la tesi, ben fatta, rispettando la scadenza di febbraio (la borsa però gli è finita il 31 ottobre e si sta già domandando come fare con l’affitto). La discussione della tesi è a giugno, lui chiede al suo professore, molto soddisfatto del lavoro, che succede ora e si sente dire che molto probabilmente il febbraio successivo ci sarà un concorso per un assegno di ricerca biennale a cui, ammiccamento, il nostro potrà partecipare anche se ovviamente lui, il professore, non può promettere niente. Dopo un anno e mezzo in cui il nostro non ha visto il proverbiale becco di un quattrino dall’università vince il sospirato concorso. Per due anni e poi altri due di prolungamento dell’assegno di ricerca è a posto, con i suoi 1.100 euro al mese. Intanto fa ricerca, fa esami, lezioni e partecipa sempre più alle vicende burocratiche del dipartimento cui afferisce. Ha pubblicato un paio di libri su questioni tecniche importanti ma oscure (perché è giovane e non poteva certo occuparsi subito delle grandi questioni riservate agli ordinari) e una decina di articoli su riviste scientifiche. A questo punto, tra una cosa e l’altra, ha trentacinque anni e l’unica cosa cui può sperare è un posto da ricercatore. Intanto può sperare in contratti per docenze da 2.000 euro l’anno (poca roba, ma meglio di niente, anche se ha letto sul giornale che il ministro li vuole abolire) e qualche oscura partecipazione a strani progetti di orientamento e tutorato. Si chiede se non sia il caso di provare a lavorare, ma, obiettivamente, ha trentasei anni, nessuna seria esperienza lavorativa, nella vita ha solo studiato, tanto e bene, ma vaglielo a dire alle aziende che studiare è utile. In tutta onestà ritengo che la cooptazione diretta e palese risolverebbe molto. Le interruzioni di reddito fanno sì che oggi la carriera accademica possa essere intrapresa, grossomodo, solo da tre categorie di studenti: quelli ricchi di famiglia, quelli la cui dedizione allo studio supera il senso pratico o che comunque si accontentano di vivere in povertà pur di fare ricerca e quelli talmente sfiduciati nei propri mezzi da pensare che fare i portaborse per dieci anni a qualche professore sperando nella futura riconoscenza sia comunque la vita migliore cui possono ambire (contando anche sul fatto che quelli più bravi prima o poi si stuferanno e cercheranno lavoro altrove o all’estero – dove, come vuole il fondatissimo luogo comune, le interruzioni di reddito non ci sono e si è pagati molto meglio).

Si potrebbe obiettare che uno deve fare ricerca per passione. Sbagliato, per passione uno fa il poeta e il cantante, non il ricercatore universitario. Tutti i problemi e le soluzioni si riducono a un solo punto. Si deve fare in modo che la carriera accademica inizi subito dopo la laurea e permetta a chi la sceglie (e viene scelto) di vivere dignitosamente.

Comunque arriva il lieto fine che abbiamo annunciato. Dopo quasi sei anni vince il concorso, nell’università di una città molto lontana da quella in cui ha studiato nel quadro di uno scambio di favori tra il suo professore (che per fortuna non è nel frattempo andato in pensione) e un professore di là. (C. Carabba, Rassegna.it 01-07-2010)