È PROPRIO LA RICERCA CHE RENDE INDISPENSABILE LA COOPTAZIONE |
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Il problema dei concorsi universitari è un problema che non risolveremo fino a quando all'università saremo costretti a "cooptare mediante concorso". Costretti a praticare un ossimoro da una percezione errata del lavoro accademico. Il professore universitario insegna e fa ricerca. È la ricerca il grande discrimine, la caratteristica peculiare, la grande differenza con i docenti delle scuole primarie e secondarie (ai quali non vogliamo togliere nulla, perché sono proprio loro a gettare le basi sulle quali noi costruiamo). Ed è proprio la ricerca che rende indispensabile la cooptazione: un ateneo, un dipartimento deve poter scegliere il tipo di competenza che serve perché i ricercatori non sono intercambiabili. È un concetto difficile da assimilare per chi non conosce le università del mondo o è legato a una visione burocratica della docenza. Comunque, per migliorare il reclutamento senza rimettere tutto in discussione, è possibile agire da subito nell'ambito della normativa attuale su due "fondamentali": mobilità e trasparenza. Per incentivare la mobilità (e contrastare i rapporti di fedeltà accademica) è sufficiente eliminare l'oggettivo vantaggio economico per le casse degli atenei derivante dalla promozione di interni. Meglio ancora se si renderà vantaggioso chiamare ricercatori e professori da altre sedi con risorse ad hoc di mobilità e di installazione. Per elevare il livello di trasparenza dei momenti concorsuali basta esporre i CV dei candidati – come le partecipazioni di matrimonio - in modo che tutti possano rendersi conto di quali competenze sono a confronto (e non si tiri fuori la privacy: sono concorsi per ruoli pubblici), chiedere referenze, e chiamare tutti i candidati a svolgere seminari pubblici dipartimentali. Chi partecipa potrà porre domande e valutare le risposte che riceve. Le commissioni decideranno in piena autonomia ma con maggiore accountability. (Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 06-10-17)
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