La riforma dell'istruzione professionale, entrata in vigore il 31 maggio con il decreto legislativo 61/2017, nasce con molte ambizioni: rendere più definita e articolata l'offerta didattica, collegarla più saldamente alla domanda, in buona parte insoddisfatta, proveniente da settori strategici come l'artigianato, il turismo, la sanità, l'agricoltura, ma anche personalizzare la formazione dei giovani grazie a spazi di autonomia e progetti ad hoc che gli istituti potranno elaborare per valorizzare la capacità individuali. La riforma partirà nell'anno scolastico 2018/2019 con le nuove prime classi, e vedrà attivare progressivamente le classi successive, fino ad essere a regime, sostituendo completamente il vecchio ordinamento, nel 2022/23. La didattica si baserà su due canali, differenziati ma permeabili: l'istruzione professionale, lunga un quinquennio, sarà curata da scuole statali e paritarie; l'istruzione e formazione professionale (nome simile ma programma distinto) sarà invece responsabilità delle istituzioni accreditate da Regioni e Province autonome, e permetterà di conseguire una qualifica (dopo tre anni) o un diploma (dopo quattro). Per quanto diversi, i percorsi saranno inseriti in un sistema unitario, quello della Rete nazionale delle scuole professionali, e consentiranno agli studenti, a certe condizioni e secondo criteri da definire in Conferenza Stato-Regioni, di passare da un canale all'altro. (Fonte: M. Periti, IlBo 11-09-17)
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