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SULLA CONTRATTUALIZZAZIONE DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA. RISPOSTA DI SPAGNOLO A SINOPOLI PDF Stampa E-mail

La richiesta di contrattualizzazione della docenza appare figlia di una impostazione giuslavoristica che tiene poco conto del valore pubblico del sapere: si tratterebbe della risposta sbagliata ad un problema vero. Capisco l'argomento tattico secondo cui la contrattualizzazione renderebbe più forte una categoria frammentata, ma vedo prevalere i rischi strategici di introiettare l'attuale assetto "aziendale" degli atenei: non si asseconderebbe così la tendenza ad una privatizzazione dei saperi? Se la sentirebbe la FLC di assumersi la responsabilità storica di abbattere il principale baluardo dell'indipendenza dei docenti, per consegnarli definitivamente a soffocanti logiche corporative?
Cosa è una università? Storicamente, le università sono delle comunità di studi, tra pari, in cui i docenti e i discenti formano una "repubblica" dedita alla conoscenza. L'autonomia non è un problema da cancellare, è il cuore dell'università. L'unità di didattica e ricerca ne è la cifra e non si ingabbia in mansioni che attengono invece ai ruoli amministrativi a supporto delle due funzioni precedenti. Interpreti e protagonisti dell'università sono i docenti e i ricercatori assieme agli studenti, mentre le amministrazioni devono sostenerli e accompagnarli. La distinzione funzionale tra docenti e amministrazione – che il sindacato tende erroneamente a percepire come conflitto mentre il conflitto sta nella guerra tra poveri – va salvaguardata nel rispetto reciproco. La riforma Gelmini ha invece spostato peso decisionale dalla docenza all'amministrazione, al punto che un direttore generale è meglio retribuito di un rettore e di un professore. Il carico burocratico dei processi di controllo interni, delle valutazioni e della ricerca di fondi sta svilendo la funzione intellettuale della ricerca. L'autonomia si salvaguarda oggi con un progetto nazionale di investimento sulla ricerca, accompagnato da una più chiara distinzione tra percorsi professionalizzanti e percorsi di alta formazione culturale e di ricerca. Al contrario, la contrattualizzazione favorirebbe la prevalenza della didattica professionalizzante sulla ricerca di base e così cancellerebbe gli spazi di libertà assicurati dalla legge. Segnalo due argomenti che mi paiono decisivi. Il primo è di principio: lo status giuridico pubblicistico e la progressione stipendiale definita a priori hanno sin qui assicurato una complessiva autonomia della ricerca, la quale resta l'unica vera attrazione affinché i migliori cervelli guardino ancora all'università come un luogo per il quale possa valere la pena sacrificare anni di studio e di precariato. Il secondo, di carattere pratico, riguarda il significato possibile della contrattualizzazione in Italia. In presenza di una differenziazione marcata dei bilanci degli atenei, la contrattualizzazione riguarderebbe probabilmente soltanto le "mansioni", imponendo condizioni uniformi di lavoro laddove invece la ricerca non si ingabbia in compiti e orari che è bene restino flessibili e diversi. Come assimilare i compiti e le presenze di un medico ospedaliero, un filosofo, un linguista e un fisico astronomico? Un buon ricercatore lavora soprattutto fuori dagli orari della didattica e delle prassi burocratiche, va all'estero, si aggiorna, va in biblioteca e in laboratorio. L'esito sarebbe o un eccesso di burocrazia o un eccesso di localismo. (Fonte: C. Spagnolo, Roars 11-10-17)